
Possiamo dire, che all’interno della Carpenteria in Ferro di Michele e Gabriele Ciavarella, specializzata in serramenti, ringhiere e costruzioni di saldo carpenteria, coesistono due realtà lontane nel tempo, quella più moderna dove all’ingresso dell’officina ci sono i grandi banchi da lavoro per le costruzioni metalliche a freddo e poi a sinistra la fucina, costruita nel 1955 da Pietro Rebora insieme al fratello Battista “Baci”. Qualche anno dopo anche il cognato Ciavarella Domenico “Mingo” che già faceva il fabbro si aggregò a loro, nell’Officina Rebora.

La ditta era specializzata nella costruzione di attrezzi per ogni uso lavorativo, dalla macelleria, cutelassi e marassi, all’agricoltura, sappe, sappette, bagaggi, piccuin, buei, furco’, scuria’ e messuie, alla falegnameria scopelli, ciune e ciunetti poi ancora feri da cavallu e cioi zinche’, per i cantieri navali, e in tempo di guerra i cioi pe i bruchin.

Serviva l’acciaio di qualità, di solito era quello delle balestre, ma anche l’abilità nel saper usare la forgia, poi la precisione nel battere con il maglio e tanta esperienza per dare la tempra giusta.
Una di queste macchine, un maglio è ancora presente, ed espleta egregiamente il suo compito, non più azionato dall’energia idraulica, ma da un motore elettrico.

L’officina si trova in località Frati, in sponda destra del Teiro. Per arrivarci: passata la località Cin-a, in vista dell’ex Cartiera dei Defissi, prima del ristorante Dal Gombo, si attraversa il ponte ricostruito dopo l’alluvione del 1968-

La ruota a pale in passato era alimentata dalla ciusa dei Defissi, forniva energia cinetica ad altri due magli, quattro mole a smeriglio e due ventilatori per le forge.
L’alluvione del 1968 con la distruzione dell’opera di presa, decretò la fine dell’utilizzo del beo e della ruota.

Pur essendo costruita sull’argine del fiume, l’officina è stata sempre risparmiata dalla furia delle acque. La curva che compie l’alveo del fiume in questo punto, genera una forza centrifuga, che ha preservato da esondazioni la sponda destra.

Michelino, mi guida in quello che è un vero e proprio museo di famiglia, fra morsce, banchi da travaggiu e anchise un vero e proprio spettacolo della lavorazione a caldo dell’acciaio, con gli attrezzi che erano stati costruiti da suo nonno e poi da suo papà Domenico, ancora custoditi, in un ripostiglio e in bella vista, appesi ai muri della sua fucina, ci sono le grandi tenagge per lavorare il “ferro finchè è caldo” mannaie e coltellacci per macelleria, poi ancora ferri da cavallo e poi infiniti ferri ritorti per ringhiere e cancelli, in zeneise ghirigori con le relative dime, per dargli la forma giusta.

Mi parla delle consegne che faceva il nonno, anche in bicicletta trainando un carrettino stracolmo di attrezzatura per macellai e contadini, traspare in Michelino, la voglia di raccontare di questa attività di famiglia, una delle poche ancora tramandate, dal nonno al genero e poi al nipote. Oggi Michelino fa il “garsunetto” al figlio Gabriele, giovane discendente di questa famiglia di fabbri, un pezzo di Storia di Varazze.

foto b/n Archivio Storico Varagine.
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