Sergio

Sciu da Teiru, In ta Cin-a, u ghe sta u Sergio, u l’e du 1928, me grande amigu!Pe fome arvì a porta, ghe diggu che sun Garibaldi…ciu o menu sun de leva!

Sergio Romano

Con Sergio, abbiamo iniziato a parlar di strumenti musicali a fiato, costruiti nel Lurbasco, con la corteccia del castagno, localmente chiamati, muse, borgne e sciurei, e poi questo racconto è diventato la storia del suo lavoro, dal Lurbasco, alle foreste della Borgogna in Francia e poi in un’impresa edile nella nostra città dove attualmente risiede, Sciu da Teiru

Fu così che conobbi suo figlio, Giorgio, grande sfortunato amico mio, amici negli anni più belli della nostra vita.

Sergio, da buon Lurbasco, conosce quei strumenti musicali e sorridendo mi dice che anche lui costruiva gli sciurei, ricavati dai rami, non più grandi di cinque centimetri di diametro, quando la pianta è in “sugo” ed è facile distaccare la corteccia dall’alburno, operazione da effettuare in primavera, quando il castagno, rinato dal letargo invernale, allunga e ingrossa i suoi rami e fa sbocciar le gemme fogliari.

Ma la costruzione di questi flauti, è lo spunto per un’altra storia.

Sergio, fu il primo de na nio’ de figgi, nella casa au Maraschin in Vara Superiore, della famiglia Romano Antonio e Pesce Rina, seguito da Delio, Marisa, Ines, Tina e Giancarlo.

Dopo un anno e un mese, dalla nascita di Sergio, venne alla luce il secondogenito, Delio, ma fu un parto molto travagliato, la mamma fu dichiarata in fin di vita, riuscì a sopravvivere, ma ebbe bisogno, in seguito di molte cure. Sergio, piccolino, si trasferì in località Cian Malone, nei pressi di Acquabianca, in casa della nonna materna Maria.

Sergio ha un buon ricordo della nonna e ogni volta che la nomina, si percepisce il senso di gratitudine nei suoi confronti, in quella casa a Cian Malone, trovò l’affetto e tutto quanto necessario per la sua infanzia.

Rimase per quasi dieci anni, nella casa della nonna. Era la lalla Maria, ad aver cura di lui, mi racconta di quella sua zia, che era molto comprensiva e premurosa, a volte lo accompagnava au Maraschin, a trovare la sua vera famiglia, ma la strada da fare era lunga e allora spesso lo portava in spalletta, a Sergio piaceva star lassù e guardar le cose dall’alto.

Maria era una bella ragazza e non passò molto tempo, prima che qualche ragazzo di paese le facesse dei complimenti. Ma a lei non interessavano i suoi conterranei, in una festa di paese, aveva conosciuto quello che poi sarebbe diventato suo marito, u Pedrin.

Pedrin abitava a Masone, in linea d’aria non molto distante da Equagianca, ma era un lungo tragitto, da fare a piedi, per sentiero, in mezzo a boschi, superando colline e corsi d’acqua.

Lo spasimante di Maria, arrivava la domenica mattina, per poi ripartire nel pomeriggio, prima che facesse buio. Fu Pedrin che costruì al giovane Sergio la sua prima sciurei e gli insegnò l’arte della fabbricazione di questi strumenti musicali a fiato, forse per tenerselo buono e impegnarlo in quel lavoro, in caso di qualche evenienza… .

Sergio nel 1950 militare di leva nei Radiotelegrafisti

Era divenuto grandicello Sergio e ora era lui, inviato dalla nonna, che doveva accudire la lalla Maria, sorvegliare da vicino i due fidanzatini, perché si diceva, che bisognava stare molto attenti e tener distanti fuoco e paglia… un incendio era sempre possibile…..

Chiedo a Sergio, se era mai stato corrotto, da quei due fidanzatini, mi risponde, che mai aveva lasciato da sola la Maria, con Pedrin, la nonna era stata tassativa e lui, anche se non era a conoscenza, del perché era lì a far da terzo incomodo, stette agli ordini ricevuti. Dico a Sergio se si rende conto, di quanto non fosse gradita la sua presenza e lui sorridendo, mi dice che a quell’età, non ne sapeva niente di come funzionava il mondo!

Sto bene con Sergio, siamo vecchi amici e basta un commento, un’allusione e si ride per un nonnulla.

Questo è stato il preludio per raccontare del suo lavoro, mentre mi parla sta rifinendo un mestolo da cucina, in acero, suo legno preferito per il suo grande passatempo l’intaglio dal pieno di mestoli cucchiai e qualche forchetta poi regalati a parenti, amici e conoscenti.

I lurbaschi, di ritorno dalla Francia, quelli che per primi erano andati a fare i taglialegna, tornavano a casa nei mesi estivi, per un periodo di riposo.

Con i loro racconti e la prospettiva, specie per i giovani, di buoni guadagni “fomentarono” una massiccia emigrazione dall’alta Val d’Orba, verso la Francia, solitamente nella regione della Borgogna, dove gran parte del territorio, era ricoperto da foreste di querce, rovere e faggi.

Sergio con na rue, rovere abbattuto

Così fu, anche per Sergio e suo cugino, insieme ai rispettivi padri, intrapresero il lungo viaggio in treno, Genova – Digione.

L’alloggio, lo si trovava nei paesini a ridosso del bosco, dove prima dell’alba, si partiva a piedi o in bicicletta per raggiungere il luogo del taglio.

Si lavorava in squadre, divise per tipologie di attività, i taglialegna e i segantini, quest’ultimi, erano quelli che squadravano i tronchi, ricavandone traversine per binari ferroviari, e sul permesso di lavoro erano distinti in: Bucheron e in Scier de Suvre.

Sergio, era adibito alla costruzione delle traversine.

Erano due gli addetti al taglio, da effettuare con una sega avente una lunga lama, con due impugnature alle sue estremità, uno doveva stare sopra al tronco, per tirare verso l’alto l’attrezzo e seguire la linea di taglio, il tronco era messo sopra un cavalletto, ad un’altezza sufficiente, perché l’altro, poteva così azionare la sega verso il basso.

Serviva un buon grado di affiatamento forza fisica, e una buona affilatura della lama, perche’ l’attrezzo, potesse eseguire un taglio preciso e rapido.

La produzione per ogni coppia era di circa 10 traverse al giorno.

Le dimensioni, in centimetri, delle traversine erano 260x30x20, con una tolleranza di 2 cm.

Il bosco, non presentava grandi dislivelli o zone impervie, in virtù di questo gli alberi solitamente, crescevano in modo regolare. L ‘aspetto simmetrico di un albero è garanzia di un buon abbattimento.

Il tronco era tagliato con la scure, anche questa operazione era effettuata da due addetti, che si alternavano per effettuare la “tappa” una profonda incisione, fatta in direzione della caduta dell’albero, poi con l’ausilio di cunei, si procedeva al taglio con la sega e poi a colpi di mazza sui cunei, si determinava la caduta dell’albero.

Con precisione millimetrica la pianta era fatta precipitare nella direzione voluta.

Sergio con na ciascia, acero abbattuto

A questo punto, erano i più giovani, come Sergio, che si arrampicavano sopra l’albero appena tagliato, per tagliare i rami, a volte questa operazione era effettuata quando l’albero rimasto impigliato, con i suoi rami era rimasto pericolosamente inclinato. Sergio racconta della pericolosità di questa operazione, con il rischio di cadute a seguito dello spostamento dell’albero, liberato dei rami che impedivano l’atterramento della pianta .

I tronchi “remunde’ ” dai suoi rami, erano trasportati da autisti francesi, alla guida dei giganteschi e inarrestabili camion GMC, veicoli militari americani, lasciati poi al termine del conflitto sul suolo francese.

Si faceva la pausa pranzo, riscaldando il portavivande, quando era possibile in bagno maria e consumando il pasto sul posto di lavoro, se la giornata era fredda si accendeva un fuoco, un momento conviviale, una pausa dalla fatica.

Si lavorava fino all’imbrunire, sabato compreso, per poi ritornare dopo un viaggio a volte di un paio d’ore al proprio alloggio.

Ma la giornata ancora non era finita, c’ era da fare la spesa, il bucato, preparar cena e le vivande per il giorno dopo.

La domenica era giorno di riposo, ma il mattino era dedicato al riassetto dell’alloggio e alle operazioni di affilatura degli attrezzi.

In gita a Parigi

Il pomeriggio era libero.

I giovani cercavano compagnia, in qualche ritrovo o locale da ballo.

Ascoltare questa storia con le parole di chi l’ha vissuta, fa pensare a un mondo lontano dove la fatica era la compagna di tutti i giorni.

Quanto lavoro ha dovuto fare la generazione dei nostri padri, vita grama, nel dopoguerra, tragica conseguenza, lasciata da un regime dittatoriale che ha insanguinato l’Europa, ristrettezze economiche, fatica, disagi, lontananza da casa, vanno annoverate come un’ulteriore colpa di chi in preda a visioni deliranti, portò l’Italia, un povero paese di contadini, in un conflitto mondiale.

L’Italia al termine della guerra era in ginocchio e in alcune zone, come nell’alta Val d’Orba, ridotta alla fame e con nessuna prospettiva per il futuro, dove chi voleva avere una vita dignitosa, farsi una famiglia o anche solo metter via del soldi, acquistare un’ auto e avendo solo due mani per lavorare, era costretto a lasciare la sua terra ed emigrare in un paese straniero, che spesso mal sopportava, a causa della guerra appena conclusa, la presenza degli italiani a torto o a ragione, anche di chi andava lì per lavorare.

Lucia Giorgio Sergio

Sergio rimase una decina d’anni, a tagliar alberi e a far traversine in Francia, e come tutti i lurbaschi, ritornava a casa nei mesi estivi, da giugno fino a settembre e poteva così dare una mano con il lavoro nei campi .

Alla domanda qual’è il ricordo più’ vivo oggi, di quel periodo della sua vita lavorativa, Sergio riflette un poco poi decide: era il freddo! Specie quando c’era vento, neve e ghiaccio, il freddo penetrava dappertutto, a malapena si riusciva a tenere aperti gli occhi e a poco servivano i fuochi accesi, dove ad ogni pausa, ci si riscaldava un po’. Nell’inverno del 1956, la temperatura si abbassò fino ad arrivare a meno 26°C!

Dalla Francia Sergio riceve ogni mese una piccola pensione per i contributi versati negli anni di lavoro nei boschi della Borgogna.

Sergio sposò Lucia e nel 1957 nacque Giorgio.

A poco a poco, in Italia, il tenore di vita migliorò, negli anni sessanta ci fu il boom economico, aumentarono le offerte di lavoro e serviva anche quella mano d’opera, emigrata in Francia.

All’inizio e al termine della giornata lavorativa Sergio doveva salire sul traliccio della gru per bloccare/sbloccare il sistema di rotazione del braccio.

C’era bisogno di nuove abitazioni a seguito dell’incremento demografico e della costante immigrazione dalle regioni del sud d’Italia, verso le città industriali di Genova, Milano, Torino.

Copertura del Teiro

Sergio lavorò per molti anni, con Impresa Edile Perata di Varazze, muratore e poi con la mansione di gruista. Faceva parte delle maestranze che costruirono la copertura sul fiume Teiro, di cui ricorda i disagi durante i lavori nell’alveo del fiume, il porticciolo di Varazze, la grande vasca dell’acquedotto all’Invrea, alcuni palazzi in centro città ecc.

Lucia sulla Lambretta

Prese la residenza a Varazze, Sciu da Teiru e nel Lurbasco a Vara Superiore ci ritornava nei fine settimana, durante la bella stagione, con la Lambretta, a volte erano in tre Sergio, Lucia e Giorgio. Poi con l’acquisto di un’auto fu più agevole affrontare il lungo tragitto da Varazze a Vara Superiore, 50 km e ben 180 curve!

La 600 di Sergio e Lucia.

La Seicento di Sergio fu la prima auto guidata da Giorgio……. ma questa è un’altra storia.

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