
Vi è siete mai chiesto il perché di quella lussureggiante vegetazione, che prospera durante la stagione estiva, anche quando il fiume è asciutto, nei pressi e a valle del ponte ferroviario sul Teiro?

E quella specie di palude dau Marasin?
E quel lago che forma l’Arrestra, sotto al ponte dell’ex ferrovia, al confine con Cogoleto, dove anche d’estate ci sono le anatre e l’acqua è sempre limpida?
Tre domande, stessa risposta è la Vinvagna da Ferruvia, l’acqua che, drenata dall’interno della galleria Invrea, tramite una tubazione è conferita al Teiro e all’Arrestra.

Le infrastrutture viarie, costruite nel nostro territorio, sconvolsero il paesaggio con i viadotti autostradali e ferroviari, ma nascosti alla vista, provocarono altri sconvolgimenti, all’apparato idrico sotterraneo, mai sufficientemente indagati.

Ricordo da bambino, l’affievolimento della sorgente du Pisciuellin, un termine diminutivo, ma la sua portata era capace di riempire na Peschea, per irrigare gli orti dau Campusantu Vegiu, l’afflusso d’acqua si interruppe poi del tutto, a seguito della costruzione della galleria Cantalupo, che occluse quella sorgente e deviò le acque sotteraneee, in un’inarrestabile vena d’acqua, che sgorga anche nel periodo estivo, nell’alveo del fiume, in via Scavino, al disotto del pilone autostradale.
Parlo con Nello Cabassa, di quella enorme falda che fu perforata durante la realizzazione della galleria ferroviaria Invrea, nelle viscere del monte Grosso.

Lui era addetto alla movimentazione terra durante i lavori per la costruzione di quella galleria lunga 6,5 km effettuati negli anni 67/68
L’esecuzione del tunnel fu affidata a due imprese di scavo, lato Varazze all’impresa Voli e quella di Cogoleto all’impresa Salci.
L’accordo non prevedeva la spartizione in parti uguali del tunnel, fu lasciato di proposito la libertà di scavare, quindi più ci si addentrava nelle viscere della montagna e più si faceva profitto.
Dopo il preforo, chiamato in gergo da minatori, “avanzamento”, c’erano i lavori di “strozzo”, ovvero l’abbassamento della sede viaria alle dimensioni definitive.

Nel tunnel lato Varazze, l’attività di movimentazione inerti, fu affidata tramite subappalto, alla ditta Cerruti GB, U Bin
Il materiale di risulta, dopo il brillamento delle cariche di esplosivo era caricato sopra gli autocarri da Nello con una pala Caterpillar, trasportato in località Parasio, dove era in funzione un frantoio, di proprietà dei Cerruti, che produceva ghiaia nelle diverse pezzature, utilizzate nell’impasto per il calcestruzzo o riportate all’interno delle costruende galleria per formare il fondo di drenaggio.

Dopo circa 2000 metri di scavo, a seguito dello scoppio di una “volata” (termine da minatori che si riferisce al brillamento delle mine), il tunnel fu invaso dall’acqua, un’enorme falda era presente nelle viscere della montagna, contenuta all’interno del serpentinoscisto nero dell’Invrea, al disopra della costruenda galleria.
Questa falda bloccò per alcuni giorni l’avanzamento, la roccia resa permeabile a seguito delle “volate” rilasciò milioni di metri cubi d’acqua all’interno della costruenda galleria, interruppe e poi complicò molto il lavoro dei minatori. Costretti a lavorare in condizioni molto gravose sottoposti ad un continuo stillicidio di acqua.
Era una vita grama quella dei minatori, durante gli scavi delle innumerevoli gallerie del treno e delle autostrade nella nostra regione, non esistevano le sofisticate e automatizzate “talpe”, un’unica macchina oggi utilizzata per le diverse operazioni, scavo, estrazione inerti e posa in opera dei conci i prefabbricati per la volta delle gallerie.
Negli anni 70 si usava ancora la cosiddetta “marmotta” un generatore di corrente che azionava il detonatore dell’esplosivo, fatto brillare in rapida sequenza, dal centro verso l’esterno, contenuto all’interno di una corona di fori effettuati con un martello pneumatico.

Il barramine, è un piccolo martello pneumatico, dotato di una lunga punta cava, la barra, messa in rotazione battente, perfora la parete rocciosa, il foro viene mantenuto pulito dai residui di roccia o terra da un getto d’aria compressa che fuoriesce sulla punta.
Nello, cambiando tono di voce, con commozione, ricorda le persone conosciute durante quello scavo, perlopiù lombardi e veneti, era l’alcool sempre presente in cantiere, che faceva sopportare attenuare e non pensare, alla fatica e ai pericoli quotidiani, che incombevano sopra la testa di quella povera gente, che ogni giorno si spaccava schiena e polmoni in un lavoro massacrante.
La galleria Invrea fu ultimata, ma anche l’esecuzione di questo manufatto, fece la sua vittima, un giovane operaio, perse la vita, schiacciato mentre si procedeva allo spostamento di un macchinario, questa tragedia si aggiunse a mille inconvenienti e altre complicanze, ma nel 1968 nella galleria Invrea passò il primo treno.
Anche queste, sono storie dimenticate, chi erano quelle persone che hanno lavorato in condizioni disumane, nel buio delle gallerie o sospesi sopra un ponte autostradale o ferroviario?
E’ stato ingente il tributo di vittime, nell’attraversamento del territorio del comune di Varazze, sono state quattro le morti durante la costruzione di queste infrastrutture autostradali e ferroviarie.
Autostrade oggi molto criticate, sempre al collasso, ma vitali per l’economia della nostra Liguria.
A seguito della rottura di quella falda, in alcuni punti si riuscì a malapena ad avanzare di 20 metri in 60 giorni! Per procedere con la volata l’acqua era estratta dai fori praticati con i barramine, prima di essere caricati di esplosivo e fatti brillare.
Il consolidamento della roccia fu effettuato utilizzando il cemento Amoco, una malta a presa rapida. Per il drenaggio di quell’ingente massa d’acqua si rese necessaria la costruzione di una “finestra di lavoro”un tunnel di sfogo che scaricava l’acqua nel torrente Arzocco, altre due tubazioni di drenaggio riversano ancora oggi l’acqua di falda nel Teiro e nell’Arrestra.

Gli effetti della rottura della falda artesiana nelle viscere del monte Grosso si manifestarono dopo qualche tempo con il prosciugamento delle sorgive che permettevano l’irrigazione di tutta quella bellissima fascia pedemontana, riparata dai venti da nord, da sempre produttrice de primisse da ortu e da fruta de Vase della: Vignetta, Cian du Tummu, Sarsciu e S.Ambrogiu.

Rimase senz’acqua anche la sorgiva della bella zona terrazzata detta dei Funtanin, sulle pendici del Monte Grosso, mentre la zona del castello d’Invrea con i poderi era già stata tagliata in due dalla Camionale negli anni 60, ma era approvvigionata con l’acqua proveniente dalla ciusa du Spurtigiò.

La ricerca di queste fonti idriche fu oggetto di alcune escursioni effettuate con l’amico Germano Gadina proprietario di una bella azienda agricola, au Cian du Timmu, inoltrandoci in zone abbandonate dalle attività umane e oramai completamente invase dalla vegetazione, scoprimmo i grandi terrazzamenti dai Funtanin, testimonianze di un passato di estese colture sulle pendici del Monte Grosso.

Ma chi può essere a conoscenza della storia del contenzioso che nacque con l’Ente Ferrovie dello Stato e gli abitanti della Vignetta Cian du Timmu Sarsciu ecc. quando a seguito della perforazione della galleria si prosciugarono sorgenti e ruscelli?
Chiedo a chi conosce bene la Vignetta perché lì è cresciuto o vi abita, domando a Enrico Dabove che mi dice di parlar con Berto Caviglia il quale a sua volta conosce poco la storia da Vinvagna da Ferruvia e mi consiglia di cercare la signora Lina Ghigliazza che abita poco distante in una graziosa casetta con un bel prato e una stupenda vista mare.

Oltrepassato il cavalcavia sulla Camionale la strada prosegue in salita, vedo due signore sedute in un giardino intente a far due chiacchere, chiedo informazioni ma una delle due signore è proprio lei, la signora Lina che cercavo, in compagnia di Rosetta Ghigliazza.
Mi qualifico come un rompiscatole, che vuol conoscere quella storia di molti anni fa, a questo punto ottenute le informazioni che cercavo, insieme a queste due gentili signore ripercorriamo un bel pezzo di storia di queste zona della Vignetta che io conosco solo dal punto di vista escursionistico, ma non serve più far domande, la signora Lina è un fiume in piena e mi racconta con dovizia di particolari storie di persone fatti accaduti e nel suo intercalare è supportata da Rosetta che aggiunge altri particolari e ricordi al racconto.

Dopo l’ultimazione dei lavori del tratto Voltri Varazze della ferrovia, iniziò un progressivo inaridimento delle vinvagne e dei rian che erano usati per l’irrigazione delle coltivazioni.

La prima sorgente che cessò la sua erogazione fu quella du Briccu da Pansa, che tramite una tubazione portava l’acqua in una vasca alla Vignetta, poi venne meno anche l’apporto idrico della sorgente dei Funtanin, che permetteva l’irrigazione dell’omonima zona e tramite un tubo riempiva le due grandi vasche au Cian du Timmu

Anche i rian de Rive, da Moa e da Furca diminuirono sensibilmente la loro portata d’acqua.
La cronaca locale, dette molto risalto al prosciugamento del Funtanin da scià Rusin, una componente della famiglia Lavarello, moglie di Francesco Cilea, da cui partiva un beu, un canale, che sottopassando la strada, portava l’acqua alla villa del maestro, il Funtanin un’abitazione furono distrutti durante la costruzione del raddoppio autostradale.

Si capì da subito il nesso di quella perdita di risorse idriche, con lo scavo di quel tunnel e poi c’era l’evidenza, di quell’ingente quantità di acqua, che fuoriusciva dalla galleria e finiva nel Teiro, Arzocco e Arrestra, era quella sottratta ai ruscelli e alle sorgenti soprastanti.
Fu intentata una causa civile contro Ferrovie dello Stato ree di aver interrotto la falda artesiana, togliendo l’apporto idrico per le coltivazioni.
La lunga durata del procedimento giudiziario portò alla defezione di alcuni proprietari dei poderi, danneggiati dalla perforazione della falda, che rinunciarono alla causa accettando un indennizzo forfettario.
Rimasero solo in tre Delfino Ghigliazza GB e Gerolamo ad ostinarsi per riavere l’acqua nelle loro coltivazioni, il braccio di ferro si concluse a luglio del 1976, la legge condannò Ferrovie dello Stato a porre rimedio a questa incresciosa situazione.

A risarcimento del danno subito, per il prosciugamento delle fonti di irrigazione, fu installato a spese dell’Ente Statale un sistema di pompaggio all’interno della galleria di sfogo nei pressi del torrente Arzocco, l’acqua ancora oggi è pompata in una cisterna che fu costruita sulle pendici del bricco delle Rive.
L’importo liquidato non era però sufficiente per completare i lavori e una parte delle spese furono a carico dei tre proprietari.
Lina ricorda il papà che si commosse quando vide arrivare nel mese di luglio del 1976, dopo 8 anni di contenzioso, l’acqua per uso irriguo nei campi della Vignetta.
Altri tempi, dove la gente partecipava di persona, manualmente per l’esecuzione di opere destinate al bene di tutti, esisteva la solidarietà quella vera quella del buon vicino di casa erano momenti conviviali, dove spesso al termine di una giornata di lavoro ci si ritrovava sotto ad un pergolato o in un prato a mangiare e bere fra chiacchere e risate.

L’installazione del sistema di pompaggio e la costruzione di una vasca di contenimento furono gli aspetti meno problematici di quel sistema idraulico.

La posa della tubazione tutt’ora efficiente, fu un’impresa ciclopica realizzata completamente a mano, da due idraulici di Cogoleto e da altre persone dell’impresa Craviotto, non si conosce l’esatto percorso del tubo, ma dall’alveo dell’Arzocco dove si trova la stazione pompante, fu eseguito uno scavo per l’alloggiamento del tubo, in salita verso a Ca de Toe, l’Equa Ferruginusa u Cavettu da e Oche, poi in discesa verso u Rian da Moa e la risalita sulle pendici del Briccu de Rive.

Lina ricorda quegli operai costretti a legarsi ad alberi o rocce per poter scavare con il rischio di precipitare nei dirupi, e poi la costruzione di un apposito carrello adibito al trasporto del cemento per la costruzione delle fondamenta e della vasca che fu posizionata a metà del briccu de Rive.

Il sistema è ad autoclave una valvola a galleggiante interrompe l’afflusso di acqua alla vasca e in caso di troppo pieno l’acqua è scaricata verso u rian da Moa.
Lina racconta quando era necessario avviare manualmente e poi spegnere il sistema di pompaggio e dovevano partire dalla Vignetta e poi scendere nell’Arzocco nei pressi del tunnel di sfogo, e la paura di dover andare da soli .

Oggi a carico degli utenti è il consumo di energia elettrica, la manutenzione e la quota destinata al Demanio terrestre per l’utilizzo dell’acqua.
Questo altro racconto finisce qua, mi congedo dalle due gentili signore, che ringrazio della loro disponibilità, starei ancora a lungo, qua alla Vignetta in questo giardino, in loro compagnia, con la vista del mare, ora con la luce del tramonto, a sentire altri racconti, ricordi ancora vivi di un tempo passato, di lavoro e di fatica e di quelle cose semplici che davano una felicità che abbiamo perduto. .
Mi scuso ancora della mia intromissione, ma per loro non c’è alcun problema e fa piacere, quando mi dicono, che è una bella cosa la mia, quella di raccontare queste storie oramai quasi del tutto dimenticate.
“Ma u l’è vegnuu tardi e bisogna mette una pignatta in so fogu se vuremmu mangiò quarcosa pe senna”.
Le saluto e ci accordiamo per un’altra visita, quando porterò copia del testo di questo racconto.
foto in B/N Archivio Fotografico Varagine.
