U Sucau ( Cosa gh’emmu suvia a nostre teste)

U Sucau vistu dai Ersci

Quandu vegne settembre, ottubre, quelli Sciu d Teiru, mia pe l’oia, pe vedde che tempu faià.

Mian in ertu e veddan quellu briccu, cuscì grande e grossu, che u fa puia!……..ma u l’è riundu cumme na succa…..e cuscì l’han ciamò Sucau!

Visto da lontano il monte Zucchero, toponimo “addolcito” e modificato forse dall’originale Zuccaro, appare imponente, incombente sull’abitato di Varazze, è la vetta più alta con i suoi 429 m, quella più vicina al mare, nel comprensorio di Varazze.

Da tempo, volevo arrivare alla sua sommità, conosciamo monti e cime per ogni dove, in Italia e all’estero, ma non quellu che ghemmu suvia a nostra testa, da ragazzi, mai siamo riusciti ad arrivare alla sua vetta, perché cacciati dai cani, che qui facevano buona guardia agli alberi da frutta!

Riuscimmo a conquistare, solamente la vetta del Vignolo, dove sono ora i ripetitori TV e ricordo ancora oggi, la fatica di quell’ardua salita, partiti dalla nostra capannetta in mezzo al bosco e poi arrivati alla meta, per boschi e sentieri da capre e antichissinmi terrazzamenti.

Via Scavino 4 ottobre 2010

La mia curiosità è legata a questo monte, dalla tragica esondazione del 4 ottobre del 2010, quando una massa d’acqua impressionante, precipitò lungo i suoi pendii, facendo esondare il rio Riva’, provocando allagamenti, trasportando con se un’ingente quantità di fango e un’enorme quantità di residui legnosi.

Il prodotto naturale ed evidente, di un bosco e sottobosco da decenni abbandonato all’incuria.

Per una fortunata casualità, quel giorno, non ci furono vittime, perché una famiglia, vicina di casa, riuscì ad abbandonare in tempo, la camera da letto, prima che la stessa fosse allagata fino al soffitto!

Via Scavino 4 ottobre 2010

Acqua e fango, penetrarono nei garage nei pianterreni, sfondarono le porte del magazzino di mio papà allagandolo, oggi una linea scura all’interno di un vano del magazzino, alta circa un metro è testimone del livello raggiunto, dalla furia di quell’evento.

Via Scavino 4 ottobre 2010

Ho le foto, scattate dodici anni fa, è stato un nubifragio senza precedenti, l’acqua scendeva a strisce dal cielo, entrava in casa dalle fessure delle finestre sospinta dal vento di scirocco, in poco tempo la strada diventò un fiume.

Contro gli eventi atmosferici, nulla di umano si può fare, ma nei limiti dell’umano agire, le acque possono essere regimentate e mai accorgersi troppo tardi di una mancata manutenzione o della presenza di opere, che ostacolino il normale afflusso delle acque, come succede nella parte finale di tutti gli affluenti del Teiro che nel loro percorso urbano, sono tombinati, con sezioni che oggi sembrano essere insufficienti, per sopportare un improvviso, imponente afflusso di acqua.

Via Scavino 4 ottobre 2010

E’cambiato il clima ma anche l’agir delle persone. In altri tempi, erano gli stessi residenti, che curavano l’ambiente con i “surchi”.

L’acqua, era costretta a seguire il volere dell’uomo, ricordo mio papà con i miei zii e i vicini, sempre pronti a dare una mano e alle prime piogge autunnali, la strada ancora non era asfaltata, tenevano pulito o rifacevano “u surcu” il solco che nella curva, dirigeva l’acqua nel sottostante fiume.

Ma le cose sarebbero cambiate, dopo qualche decennio, non eravamo più una piccola comunità solidale, ognuno pensava solo al proprio orticello e così fu, l’acqua in quella curva, non defluì più in Teiro.

L’opera fu completata e resa definitiva, quando fu posta in opera una ringhiera di protezione, con relativo muretto di ancoraggio, una diga perfetta!

Via Scavino 4 ottobre 2010

Una diga formata dalla vegetazione trasportata dall’esondazione del rio Riva’, che quella mattina di ottobre, convogliò tutta questa forza distruttiva, lungo la strada.

In dieci anni poco è stato fatto, dagli enti preposti alla nostra sicurezza, niente di significativo tale da farmi riposare tranquillo, in una notte di temporali, e cosi ad ogni scroscio d’acqua, anche in piena notte, mi alzo, vado alla finestra.

Lascio l’auto al Vignolo e vado alla ricerca dei “surchi” o delle loro tracce.

Cappella di S.Anna du Vignò

La salita è molto ripida, un primo solco lo trovo, nei pressi della cappella di S.Anna du Vignò, edificata, con una bella vista sul mare nel 1878, il”surcu” è ben curato, cementato e dirige le acque, nell’altro versante.

U surcu

Oltrepassata la cappella, ecco un abbozzo di solco, non ripristinato, che dovrebbe convogliare le acque nell’altro versante, quello in sponda destra del fiume Teiro, in località Frati.

Cappella di S.Anna du Vignò

In questo punto, facendo una piccola deviazione, sopra una roccia, sporgente in un abisso di boschi, si ha un belvedere insolito verso Casanova e il Beigua.

il gruppo del Beigua Casanova e il Muntadò

Lo scheletro di una seicento, prima serie, traforata dalla ruggine, introduce al sentiero dei calorifici..

Sono alcune vecchie piaste radianti, messe per impedire l’afflusso dell’acqua, nel sottostante uliveto, a testimonianza della necessità di arginare la notevole portata d’acqua, proveniente dalla cima di questo monte.

Della vecchia seicento resta solo uno scheletro privo di tutte le parti meccaniche.

Il sentiero ora diventa difficoltoso, per la presenza, di innumerevoli pietre , e mi chiedo il perché di questo ingente deposito di pietrame, sono tutte pietre spaccate strano… ma tra poco, la mia curiosità sarà appagata.

Il sentiero sempre irto, mi conduce dentro ad un bosco, misto di castagni e eriche giganti, qualche “ersciu” molte ginestre sfiorite e un panorama mozzafiato intravisto tra i varchi della vegetazione.

Scopro la provenienza di quelle pietre, sono la risulta, precipitata a valle, dello scavo di una lunga trincea, che taglia in senso trasversale tutto questo versante, mi sento Jndiana Jones e mi addentro in questo scavo, è alto in certi punti, almeno un metro e mezzo, il fondo è ricoperto di foglie, ma fatti una ventina di metri, devo desistere dall’intento di proseguire, è troppa la vegetazione, ci vorrebbe un “marassu” per tagliare i tronchi di erica e de “serveghi” che qui sono cresciuti, senza regole, dopo il rovinoso incendio del 1990, di cui si trovano ancora le testimonianze sparse per il bosco, con diversi resti di tronchi carbonizzati.

Probabilmente è un’opera militare e come nelle trincee ci sono dei cambi di direzione, dove possono stare due persone, troppo per essere un solco di regimentazione delle acque piovane.

Ma questa opera, in caso di nubifragio, può essere deleteria, poiché raccoglie le acque, che scendono dal pendio e le convoglia in un solo punto, facendole defluire a valle in grande quantità, dilavando il sentiero.

Seguo il suo percorso, dalla parte opposta, che è in discesa, verso un avvallamento e qui, se ne perdono definitivamente le tracce.

Percorso in trincea

Faccio qualche foto, con il cellulare, ma molte le cestino, per la scarsa qualità dovuta ai chiaroscuri che si creano con la luce solare.

Continuo il percorso per arrivare al traliccio AT, che si nota anche dal centro urbano di Varazze, quella è la vetta del monte Zucchero.

Il bosco è abbandonato a se stesso, il sentiero ad un certo punto, invaso dalle ” brughe” sparisce, lascio qualche pietra come segna passo, che mi faccia ritrovare la direzione del ritorno, quello che sto seguendo, viste le molte pasture presenti è il percorso degli animali selvatici, di cui percepisco la presenza, quando sorpresi dal mio arrivo, si allontanano di colpo con il tonfo sordo sul terreno, fatto dalle loro zampe, non riesco a vederli, ma penso siano caprioli o animali della stessa famiglia.

Oggi non è giornata di caccia, altrimenti si sentirebbero latrare i segugi da cinghiali, che in queste foreste sono presenti in diversi branchi.

Una breve sosta, per uno spuntino e noto due pietre fitte a lato del ritrovato sentiero, una probabile delimitazione di proprietà o chissà che, la presenza di molte pietre sparse, può far pensare a qualche manufatto che qui si ergeva molti anni fa, forse un castellaro.

Poco oltre, un avvallamento, segna l’inizio del rio Goitu, un’affluente del torrente Rianello.

Vista verso le Lenchè e sullo sfondo Savona e Capo Noli

Oltrepasso lo spartiacque e ora la visione è verso le Lenchè con lo sfondo di Savona e Capo Noli.

Seguo un segnavia giallo, dipinto su delle pietre e arrivo dal traliccio qui è vertiginosa la discesa, dei cavi di alta tensione, tesi in direzione di Genova sulla verticale della località Frati.

Anche qui rumori di selvaggina in fuga, oltre questa radura il bosco si infittisce e solo con dei mezzi da taglio è possibile avanzare.

Ritorno sui miei passi, la mia escursione sul monte Zucchero è terminata, ho finalmente visto cosa incombe sulle nostre teste, l’incuria dei boschi dovuta all’abbandono di ogni attività ad esso collegata, porta inevitabilmente a delle conseguenze nel nostro Sciu da Teiru, in caso di forti piogge.

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