U Fo du Vultui

La terra dei Liguri, è povera di grano e di vino, non c’è zolla senza pietra, i Liguri coltivano con ardore e fatiche la terra sassosa, si nutrono di animali domestici, di verdure che crescono nei loro campi.

Il paese è selvoso, alcuni fanno il boscaioli, maneggiando le grosse asce di ferro, spaccano i macigni, hanno corpi magri e vigorosi, la loro terra è priva dei doni di Demetria e Dionisio, le donne vivono in genere come gli uomini, il più vigoroso dei Galli è vinto da un gracile Ligure, sono coraggiosi e valorosi nelle circostanze pericolose della vita, navigano esponendosi a gravissimi pericoli anche gli abitanti della Liguria Marittima, affezionati alle loro rupi, nemici dell’ozio e delle agiatezze, senza grandi fatiche e assidua coltura, il loro terreno nulla produce, ma sono i Liguri che stritolando il macigno e ingrassando la terra nelle valli, seminano biade e sui poggi educano le api e piantano viti.

Con questa prefazione, tratta da un antico testo, non c’è da restar stupiti, se il popolo dei Liguri, diviso in tribù, dette del filo da torcere per quasi 500 anni alle legioni romane, che tentarono la conquista della nostra regione.

L’attaccamento alla propria terra è un legame molto profondo e un Ligure era pronto a sacrificare la propria vita, per difendere ogni rupe, ogni lembo di quella terra inospitale impervia, ma che lui aveva strappato alla montagna, viveva in simbiosi con la natura, temeva le sue intemperie e ne rispettava i simboli, come le grandi piante.

Furono gli alberi, i grandi faggi centenari, ma soprattutto le querce, che servivano in abbondanza per i cantieri navali, sulle spiagge di Ad Navalia, ad attrarre i romani, già padroni delle spiagge e del primo entroterra, verso quegli alberi, quei boschi, quelle rupi, quella terra strappata alla montagna, dove viveva il popolo Ligure.

U Fo du Vultui

Oggi si tramanda la storia/leggenda, di un grande albero, un fo, altissimo, dalla grande chioma, con un tronco enorme, venerato da una tribù dei Liguri che viveva sotto la sua protezione.

Quell’albero per i romani era una sfida, lo avrebbero volentieri tagliato e strappato dalla terra di quel popolo rozzo incivile, ma invincibile e come un trofeo eretto nel Castrum Romano o tagliato, per farne u fasciamme o e stamanee di qualche trireme.

Quel grande fo per i Liguri era come una presenza divina, lo veneravano e ne osservavano i suoi cambiamenti stagionali, percepivano molte sensazioni provenienti da quell’albero, dal colore delle sue foglie, quando in primavera si vestiva di un verde acceso, allora quello era di buon auspicio, per la bella stagione e all’approssimarsi dell’autunno, scrutavano quelle bellissime tonalità, rosso arancio intenso delle foglie, che annunciavano l’arrivo dei primi freddi, una sensibilità umana persa per sempre, ma che era propria di chi era a contatto stretto con madre natura.

Quell’albero forse non era il più grande del territorio, ma visibile da ogni parte, lassu’ sul Bric Vultui, ma chissà che significa il nome di quel bricco che sovrastava la località degli Armuzzi.?

I romani volevano quell’albero, erano stati guidati sul posto in avanscoperta da altri liguri “romanizzati” e avevano escogitato un piano, avrebbero tagliato l’albero e lo avrebbero legato ad un tiro di beu e trascinato verso l’accampamento del Campo Marzio, un drappello di arcieri dall’alto, avrebbe tenuto a bada la reazione dei Liguri, tenendoli occupati, il tempo necessario per il taglio e il trasporto del grande faggio e per l’arrivo di un’altra guarnigione pronta per dar battaglia.

Il piano “ordito era ardito il taglio dei quel fo, sarebbe stata una grande umiliazione per quei ribelli indomabili, l’offesa subita avrebbe fatto perdere l’uso della ragione e la loro proverbiale prudenza, a quei selvaggi, sarebbero usciti, accecati dalla rabbia, allo scoperto e inevitabilmente in uno scontro in campo libero le falangi romane, avrebbero avuto la meglio e finalmente sterminato quella tribù dei Liguri, depredato le loro mandrie e reso in schiavitù donne e bambini, i boschi sarebbero stati finalmente al sicuro per poter procurare tutto il legname che serviva all’industria cantieristica di Ad Navalia.

Ma per realizzare quel piano, si doveva aspettare la fine dell’inverno, lo scioglimento delle nevi e l’arrivo delle foglie sugli alberi, i romani, avrebbero atteso di vedere diventare verdi quei boschi, l’azione fu rimandata alla primavera successiva.

I liguri ignari di quanto era stato escogitato, sul quel bricco sopra le loro teste, si preparavano dopo un duro inverno alla stagione della caccia e delle transumanze.

L’aria iniziava a riscaldarsi e le giornate diventavano sempre più lunghe.

Quel grande fo era lassù era come un gigantesco totem, era il Dio Fo a proteggere quelle povere genti nelle caverne e capanne degli Armuzzi, quell’albero era la prima cosa che con lo sguardo di un nuovo giorno, i Liguri cercavano.

Non si è mai saputo il perché i romani non riuscirono nel loro intento, si disse che ai primi colpi d’accetta, dai rami e dal tronco, uscirono migliaia di voltor, vultui, avvoltoi, che ghermirono chi avevano osato destarli dai posatoi e dai loro nidi, celati nelle cavità di quell’albero.

I Liguri allertati dalle urla, accorsero in massa e cacciarono i romani, che lasciarono sul campo, preda dei vultui le carcasse di quaranta loro commilitoni, completamente spolpati dagli avvoltoiI superstiti scapparono via, in preda al panico, inseguiti da quei volatili, abbandonarono tutte le armi anche le due coppie di buoi, che erano state portate fino al Poggio, per trasportare il grande fo.

Uno di questi buoi, divenne il pranzo di quei liguri, tagliato in due con i piccusin e cotto sopra un letto di brace, su quel pianoro delle Ciaze, nei pressi di quella che oggi è chiamata Rocca di S.Anna, in un bel momento conviviale, si festeggio così l’inizio della primavera con una vittoria sui romani, un bel bottino di archi, frecce e i buoi.

Fu un buon pranzo rallegrato dal vino un buon auspicio per il futuro di quelle genti.

Gli studiosi hanno accertato che in una zona della nostra scatola cranica si annida una sorta di memoria preistorica, legata alla nostra sopravvivenza come specie umana.

Tou lì! Perché a poca distanza dalla rupe di S.Anna, nello spiazzo delle Ciaze, ogni anno gruppi di arpiscellin fajanti e gente de Vase, si ritrovavano in un momento conviviale, alla sagra della mucca!

E quel bricco fu chiamato Bric Voltui !Storia o leggenda?

E’ però verosimile che nei pressi della rocca S.Anna, stazionasse una colonia di rapaci saprofagi che in questa zona trovava abbondanza di cibo a seguito delle attività umane.

Sul pianoro antistante la cappella, difronte ad un suggestivo panorama con quell’inquietante precipizio, in antiche ere, erano effettuati dei sacrifici agli dei, comunque da sempre luogo di culto e dove secondo gli studiosi, qui si praticava un particolare tipo di caccia che consisteva nell’inseguire e far precipitare dalla rocca gli animali, quelli più grandi difficili da abbattere.

A lato del pianoro la grotta una dei tanti ripari sotto roccia tipici di questi monti, uno dei primi luoghi di devozione diventato poi culto cristiano, con la presenza di una nicchia votiva,

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