Di ritorno dai Funtanin, alla Vignetta facciamo un incontro fortuito, con Lina Ghigliazza, classe 1938 molto gentile e sempre disponibile a ricordare le vicissitudini di questa zona della città.
Io e Germano restiamo, nei pressi della sua abitazione, alla Vignetta, per quasi un’ora ad ascoltare i racconti di Lina, con la storia della sua famiglia e delle persone che si sono avvicendate tra i Funtanin, i Cianetti, Cian Retin, Cian du Tunno ( Lina mi conferma questo nome in sostituzione del mio Timmu) la Fellonica, dove era la seconda grande vasca per irrigazione e poi quella grande casa patronale della famiglia Camogli .




In questa parte della città, c è un pezzo di storia di quella che era, una delle più potenti famiglie di Varazze, i Camuggi.
I Camogli erano proprietari di ampie zone all’Aspia, in ta Camminò e dau Munte Grossu.
In queste foto la grande casa patronale, costruita dai Camuggi poi ceduta ai Passega e ora con un’altra proprietà. Questa grande dimora signorile, si trova in una località denominata Fellonica, al disotto du Cian du Tunnu.
Lina ricorda il viale di quella grande tenuta, con i bellissimi roseti, i gazebi con i tavolini e le sedie, il pergolato a ombreggiare la terrazza con l’immancabile glicine e quell’enorme palma, recisa un paio d’anni fa perché aggredita dal punteruolo, quella palma, dove i suoi nonni oltre un secolo fa, posarono per una foto.

Tutto il terreno verso mare del monte Grosso era di proprietà Camuggi che spartivano la cima dell’odierna Madonna della Guardia, con gli Invrea dei Cianetti e a famiggia Delfin.
Sotto la supervisione dei Camogli, furono costruiti i terrazzamenti dei Funtanin, scavata quell’opera di presa, da noi resa nuovamente visibile, un’invaso un canale di sottopasso e tutte quelle opere idriche che in un terreno molto acclive e poco permeabile, raccoglievano le acque piovane regimentandole in bei deviandole con delle paratoie per riempire le vasche du Cian du Tunnu, qui l’acqua era prelevata e inviata ad una capillare rete de surchi per irrigare gli orti.

Sempre, al cospetto degli innumerevoli manufatti, della nostra citta e del suo entroterra, penso chi erano le persone che hanno costruito na ca, na mascea, un beo o na crosa e come è stato possibile averne perso la memoria, non conoscere piu’ la loro storia, i loro nomi.

Il nonno di Lina, Domenico Parodi classe 1860, lavorava come manente du Cian du Tunnu e dei Funtanin, dove si coltivava prevalentemente grano e patate.
La crisi del 29 ebbe gravi conseguenze per i commerci della famiglia Camogli, che si vide costretta a vendere queste proprietà acquistate dalla famiglia Passega.
Lina ricorda con affetto, lo zio Benedetto Parodi detto u Grigò, che perpetrò l’attività del padre, manente au Cian du Tunnu.
Bello ascoltare Lina Ghigliazza dei Feipi, con i suoi ricordi, spesso legati al conflitto mondiale storie di sfollati, di rifugi antiarei, poi sempre tanto lavoro, quello della generazione dei nostri padri e madri, capaci con la sola forza delle loro braccia e di un pezzo di terra strappato ad un pendio, trarre sostentamento e tiò sciu niè de figgi.
Quando ogni cosa era importante, come u giassu il tappeto di fogliame dei boschi, da adoperare come giaciglio nelle stalle, si partiva al mattino presto e si aspettava il sorgere del sole, dalla chiesa della Madonna della Guardia, bisognava far presto, prima che il padrone di quei boschi si svegliasse, con il rischio di essere colti in flagrante, a raccogliere quel prezioso prodotto del sottobosco.

La località Vignetta, stupendo anfiteatro sul mare, nel corso del conflitto mondiale, fu requisita dai tedeschi, che stavano fortificando la Riviera Ligure e avevano costruito un grande bunker nella parte alta della località Mola.

Nei terrazzamenti della Vignetta era accampato un reparto della Wehrmacht avevano eretto delle tende, tra cui una grande tenda comando, requisirono alcune abitazioni, tra cui la casa natale di Lina, che fu adibita a posto di osservazione costiera.
La famiglia Ghigliazza fu sfollata e trovò rifugio nella grande casa patronale dei Passega, dove già lavorava lo zio Benedetto.
Lina racconta del carattere bonario, di quelle truppe tedesche di stanza alla Vignetta, nei confronti di loro bambini.
Non ci furono screzi, anche quando i soldati tedeschi dividevano l’appartamento con i residenti, avevano riguardo verso le persone anziane e i gli sfollati, potevano ritornare alla Vignetta a coltivare i loro campi.

Non fu così quando dopo il 1943 progressivamente i soldati tedeschi abbandonarono la piazzaforte della Vignetta, sostituiti da militari italiani molto meno riguardosi verso i civili.
Lina ricorda il suo stupore, di una bambina di sei anni, quando vide piangere un soldato tedesco, grande e grosso, in procinto di partire , addolorato di non veder più quei bambini della Vignetta, che tanto gli ricordavano la sua terra.
Nel natale del 44 le famiglie sfollate della Vignetta, fecero ritorno alle loro case, la guerra per i nazifascisti era definitivamente persa, non ci fu quel temuto sbarco alleato sulle coste liguri, le truppe alleate, con lo sbarco in Provenza e l’avanzata della quinta armata americana, verso La Spezia, stavano per stringere in una morsa la Liguria.
La nuova strategia era quella del si salvi chi può e i nazifascisti pensarono solo a proteggere la loro ritirata oltre il Giovo Ligure.

Un regime agonizzante, assettato di vendetta, giustiziò sommariamente Gianni Iannelli, il comandante partigiano Nincek, colpito a morte dai suoi aguzzini, al cospetto del grande pino, poco prima dell’ultimo pezzo in discesa, della via Romana, in vista di Varazze.
Lina ricorda, che fu un cugino del padre u Cicin, Giusto Giobatta, che raccolse il cadavere di Nincek e lo trasportò, sopra una lesa, in città.
La scritta, Strada Romana fu coperta da un cartello, con su scritto Via Iannelli

“Nincek” Gianni Iannelli, nativo di Morcone BN, che dopo varie vicissitudini, divenne un capo partigiano e si ritrovò suoi nostri monti a combattere contro il nazifascismo
Passatempi di bambini, ignari degli orrori della guerra, padroni di quel meraviglioso lembo di terra chiamato la Vignetta, anche giochi pericolosi, come quelli effettuati sui bordi delle peschee a tirar pietre a rane e rospi, dove l’unico deterrente, per scongiurare i pericoli di una fatale caduta in quelle pozze di acqua stagnante, erano i racconti degli adulti, che favoleggiavano la presenza nelle peschee, della Rampan-na, una creatura che viveva in quelle acque scure e melmose, pronta a ghermire bambini e animali.
Personaggi nobili a cui menar rispetto,ma ironicamente chiamati con dei nomignoli, come la sorella della marchesa d’Invrea, conosciuta come a Cavagea derivante dalla cava di gea, da ferrovia che aveva la famiglia Invrea a Puntabella.
Un’aneddoto raccontato da Lina è relativo a G.B. Camogli sindaco di Varazze dal 1884 al 1901

Amministratore di larghe vedute, a lui si devono alcune migliorie della città, tra cui l’illuminazione stradale.
Ma l’utilizzo di risorse pubbliche, per illuminare le strade, fu causa di una violenta protesta popolare, la gente scese in strada al grido di “Famme e lusce” , come dire a Vase abbiamo le luci ma abbiamo fame
Questa minacciosa sollevazione popolare, lo costrinse a scappare nottetempo, dalla sua abitazione e a rifugiarsi, in una delle proprietà dei Camogli sotto au Cian du Tunnu o Timmu, nella zona della Vignetta.
Ringrazio ancora una volta, Lina Ghigliazza, capace di raccontare con dovizia di particolari, storie di lavoro, famiglie legate a questo bellissima parte della nostra città .
Le foto b/n di Varazze sono tratte dall’Archivio Fotografico Varagine
