
Due delle più antiche, consunte strade, oggi consegnate all’oblio degli uomini, che valicavano la nostra montagna, u Beigua, verso il Sasselese, si trovano, una nell’area di Fo Lungo, parallela al tratto iniziale del Teiro, e l’altra in direzione du Cian du Curlu, parallela au Frascinoa, il rio Frasinelle.

Valichi naturali, con percorsi pianeggianti, che aggiravano i contrafforti ovest del Monte Beigua e conducevano oltre giogo.
Fo Lungo è zona adibita al taglio del bosco e a seguito della costruzione di nuove strade, funzionali per il taglio e trasporto della legna, si sono perse le tracce dell’originale tracciato, che si ritrova per una discreta lunghezza , in vista del Teiro.

La strada, che corre parallela al Frascinoa, invece conserva buona parte dell’antico sedime di pietre.
Zone di valichi montani, di transito e scambio di merci, di persone e animali al pascolo.

Se percorriamo queste antiche strade, specie nel periodo invernale, l’assenza di foglie sugli alberi, permette ampie viste nelle foreste di faggi e castagni, ed è impossibile, non accorgersi delle antiche frequentazioni umane.
Il ricordo dei nostri avi, il nome di una località di una casa o di un seccou si è perso negli ultimi anni, e con esso non ricordiamo più le loro fatiche e gli stenti patiti, sui nostri bricchi e nei boschi che fornivano i fabbisogni necessari alla sussistenza di centinaia di famiglie del nostro entroterra.
Chissà perchè gli anziani, detentori del sapere hanno smesso di raccontare, o meglio perchè, nessuno ha chiesto più nulla della loro vita delle loro radici e delle loro tradizioni, dimenticando tutto, nel volgere di un paio di generazioni.
Le conoscenze primordiali, furono perse per il mancato radicamento di esseri umani sul territorio.
In principio erano solo tribù nomadi, magari stanziali per qualche periodo e poi in cammino alla ricerca di cibo, poi arrivarono i primi insediamenti fissi con i ripari sottoroccia i castellari e villaggi di capanne.
Ma come afferma Battista, ci si accorge, in questi boschi, di un vuoto storico, come se per secoli queste montagne fossero state abbandonate, si passa dai simboli classificati come del neolitico, età del bronzo/ferro, ai simboli di un cristianesimo, che forse o senza ombra di dubbio, ha cancellato del tutto, distrutto o inglobato, precedenti simboli pagani, abitazioni e sepolture di quel popolo, che governava tutto il mediterraneo nord occidentale, i Liguri, sconfitti, umiliati e deportati dai romani.

Rocce incise, affilatoi, primitive incisioni e scritte più recenti.
Pietre a formare il selciato de stra da lese, che hanno lasciato il segno del lori andirivieni sciu e su dai bricchi.
Massi spaccati, accatastati a formar provvidenziali trunee, dove rifugiarsi dai temporali estivi.
Ripari sotto roccia per passare le notti, protetti dalla madre terra.
Pose, cumuli di pietre dove posare lensò o belaini-ne de fen o fasci de legna, per qualche minuto di sollievo.
Muggi de prie, che spesso si incontrano girovagando per boschi, che cosa erano, forse dei castellari o la risulta della bonifica dalle pietre, per creare zone prative?
E quei recinti di pietre? Zone sacre o recinti per animali?
Ho telefonato e incontrato, Battista Perata, classe 1947, per parlare degli Armuzzi, case celtiche ecc. il discorso divaga e si finisce a parlar di Africa, dove anche lui e andato come volontario, presso una missione, a Bangui nella Repubblica Centroafricana.

Si ritorna nel nostro piccolo mondo e mi propone la visita, ad una pietra scritta/affilatoio, strategicamente posta in una zona di probabili battute di caccia.

Si parte in un’uggioso pomeriggio di novembre, da Alpicella, con la nebbia che avvolge la cima del Beigua, ma noi deviamo, versu u Teiru e u Sansoggia, con l’auto fuoristrada, del figlio Marco, una rassicurante L20, in direzione delle Casermette e prima di arrivare al Bric Al Berti, si prosegue a piedi.

Battista fa da guida e racconta la storia di questi boschi, che conosce come le sue tasche. Nel Bric Al Berti regna il pino nero, piantumato durante il ventennio, per colonizzare un tratto senza vegetazione, azione propedeutica, all’introduzione del faggio, ma l’operazione fu interrotta o meglio abbandonata, a seguito dei tuoni di guerra e ora resta un intrigo di alberi, di alto fusto, tutti uguali, che non offrono nessun punto di riferimento per ritrovare la via del ritorno!
Si cammina per almeno mezz’ora, superata la cima del bric Al Berti, si inizia a scendere, in direzione de Rive de Mrziu, ora sono i faggi a farla da padrone

Seguiamo un ruscello e poi una antichissima strada, quella che prosegue per il Curlo e valica l’Appenino.

La strada con il suo originale selciato, in prie de costa, arriva al cospetto di una grande solitaria formazione serpentinocistica, tutta fittamente incisa,intagliata e forata da centinaia di coppelle.

La roccia, occupa una parte della sede stradale e crea un dosso, punto obbligato di passaggio, è ad altezza giusta, pe posò a schenna, per posare pesanti fardelli, riprendere le forze e continuare per la propria destinazione.

Al disotto della strada, una rientranza e una grande lastra abbattuta, fa pensare alla presenza di un possibile riparo per pastori o cacciatori, che secondo la tesi di Battista, assolutamente verosimile, in questa posizione dominante, attendevano gli animali, costretti a transitare in una strettoia tra il Brica Al Berti e la Frascinoa

L’ipotesi caccia è evidente dagli innumerevoli affilatoi presenti sulla roccia, sembrano creati da mani impazienti, nervose in attesa delle ambite prede, forse sospinte messe in fuga dalle loro zone di pascolo, verso questo agguato, dalle urla e rumori di donne e bambini .
Le armi servivano per finire e scuoiare gli animali, che erano verosimilmente abbattuti o menomati, dal lancio di pietre e massi, probabilmente prelevati dalla soprastante cava di pietra a spacco.

Negli spazi, sulla superfice della pietra, lasciati liberi dai lunghi solchi, ci sono piccole o grandi coppelle, forse usate per intingere gli utensili nel grasso o acqua, per meglio far scorrere durante le operazioni di affilatura attrezzi o armi.
Per quanto relativo al mistero delle coppelle, diverse ipotesi possono essere prese in considerazione, potevano avere una funzione matematica, con la conta degli elementi di una mandria o segnare quante volte si era passati da quel punto, se presenti su di una superfice orizzontale, essere dei contenitori per i più disparati usi, non si esclude un uso rituale o una sorta di mappa celeste degli astri.
Oppure tralasciando il nostro ottuso, modo moderno, di giustificare ogni cosa, con la logica del profitto o della convenienza, potrebbero essere i segni fatti per ingannare l’attesa dell’arrivo di una preda o semplicemente un beato passatempo!

Nelle zone della pietra, non adibite all’affilatura, sono presenti innumerevoli cruciformi, con coppelle o senza dei primi cristiani, che hanno cancellato qualche segno a Phi, simboleggiante l’essere umano, molte scritte, date e iniziali.
La tecnologia è d’aiuto, ingrandendo le foto, si scoprono in secondo piano, indelebili segni di molte precedenti incisioni, spesso perse per la sovrapposizione delle scritte, ad un attento esame, si evidenzia la figura di un ominide, segni circolari ovali.

Quelle quattro linee parallele, forse erano il contorno delle dita di una mano.

Starei ancora a osservar ogni piccolo segno inciso su questa pietra ma si rischia di far notte!

Ricerco sul web la catalogazione di questa pietra, non trovando riscontri, decidiamo io e Battista, di darle il nome del toponimo locale, A pria scrita de Verne de Bilai. (Verne sono gli alberi di ontano e Bilai, bilan sono così chiamati i cocci.)
La presenza di una piccola svastica, fa pensare ad una passaggio o un stazionamento di truppe nazifasciste, durante il secondo conflitto mondiale.
In questo punto vi era un posto di osservazione e di seconda resistenza, come quelli del Bric del Dente e della Rocca della Biscia, era di vitale importanza sorvegliare questi valichi, per garantirsi un’eventuale ritirata a piedi, in direzione del Giovo Ligure e della pianura Padana, in caso di sabotaggio della strada carrabile.
Da questo punto di osservazione si poteva avere il controllo anche del passo di Fo Lungo

Mi arrampico in direzione di quella cava de prie sciappè e mi imbatto, sopra una posizione sopraelevata, in una piccola postazione di difesa/osservazione.
Ma chissà chi u l’avià impilatu tutte ste prie, surdatti du novesentu o dell’ottusentu?
Ai primi dell’ottocento sul Monte Beigua e dintorni si scontrarono le truppe francesi e austro ungariche, durante la seconda Campagna d’Italia, e a costruir un piccolo fortino prelevando le pietre che erano già presenti o demolendo un precedente manufatto, ci voleva molto poco.

Lasciamo e Verne de Bilai e risaliamo le pendici del Bric Al Berti, la luce diurna è diminuita notevolmente, la nebbia per fortuna è rimasta sulle cime degli alberi.
Con Battista e Marco, strada facendo raccogliamo qualche sanguin
Infiniti ringraziamenti a Battista e Marco Perata, per quest’escursione nei boschi ho potuto ammirare un’altra meraviglia del nostro entroterra, non solo quella pietra ricca di storia, ma anche quel tratto di strada, ancora ben conservato, percorso da chissà quanta altra gente nell’andirivieni attraverso questi valichi.

Un’antica strada, che avrà visto passare tante volte Giulio u Biscazè, al secolo Angelo Perata, classe 1916, il papà di Battista, che la percorreva due volte la settimana, in qualsiasi condizione di tempo, partendo dall’Alpicella, per arrivare alle scuole di Sassello, dove era bidello, e nella stagione fredda arrivava alla scuola, quando ancora era buio, per accendere le stufe, riscaldando quelle gelide aule, in attesa dell’arrivo degli scolari.

Storie di altri tempi, dove per lavoro, ma anche in occasioni di festività o altro, era normale raggiungere località, anche distanti, attraversando per sentieri i nostri bricchi, a volte anche in minor tempo, rispetto ad avventurosi viaggi, con le prime auto in circolazione, su strade sterrate e dissestate.
