
Dell’esistenza o scoperta, di antiche tumulazioni, del popolo dei Liguri, sul Monte Beigua, se ne parla da tempo, forse sono state scoperte, ma non è dato sapere dove si trovano.

Ma c’è una zona, alle pendici sud de in Zimma ai Bricchi, una zona boscosa al disopra delle rocche de Giuse, dove, risalendo il crinale, al cospetto di un’immensa foresta di Pino Nero, in prossimità di alcune smogge, si ha la sensazione di essere al centro di decine di tumulazioni.

Qui, su questo ripido pendio, ho fotografato, almeno una trentina di cumuli di pietra, ben squadrati, alti circa un metro, posti a distanza regolare gli uni dagli altri.

Sono lì da immemore tempo, alcuni giacciono diruti, per cause naturali o forse divelti dalla ricerca, di qualcosa, che si pensava celato al suo interno.

Potrebbero essere de pose, superfici dove appoggiare, un lensò o na belain-a, per riposarsi, durante il trasporto del fieno, ma è un’ipotesi da scartare perché non si trovano in prossimità di nessuna strada o sentiero, come quelli che saliscendono dalle soprastanti zone prative du Pro du Fen o du Bric Strinò.
Rimane allora un’interrogativo, chi ha accatastato cosi ordinatamente quelle pietre?

La risposta è sopra le nostre teste.

Salendo in auto, verso la vetta del Monte Beigua, arrivati in ta curva du Grupassu, ci si trova improvvisamente immersi, in una fitta ombrosa foresta di conifere, un’ambiente montano, che specie nel periodo invernale, nulla ha da invidiare a quelli più blasonate delle alpi.

Ma ad un’escursionista attento, non può sfuggire la strana regolare distanza tra un fusto e l’altro di queste piante.
Che sia stata la mano dell’uomo, a piantumare queste piante?

Agli inizi del XIX secolo, i nostri monti, sfruttati per secoli, dal prelievo di legname, erano diventati specie nel versante marittimo, tutti Bricchi Spelè.

I pendii dei nostri bricchi, privati dei loro boschi, non più protetti dall’azione di dilavamento, divennero in alcune zone, aride pietraie, non più in grado di trattenere l’acqua, in caso di forti piogge, questa fu la causa principale dei devastanti eventi alluvionali del 1909 e del 1915.

Con la Legge 20 giugno 1877 n. 3917 (“Norme relative alle foreste”, Gazz. Uff. 11 luglio 1877, n.161), il Senatore Salvatore Majorana Calatabiano, Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d’Italia per primo comincia operativamente ad affrontare la problematica dei “boschi e delle terre spogliate di piante legnose sulle cime e pendici dei monti”. Questa Legge rappresenta il primo passo dello Stato unitario verso l’organizzazione della materia forestale introducendo all’Art.1 il “vincolo forestale”, con divieto di disboscamento e di dissodamento per tutte le terre interessate dalla presenza di boschi, o dall’assenza di piante legnose ma coincidenti con cime e pendii montuosi, sopra il limite superiore della zona del castagno (700-800 metri), e per tutti quei territori che “per la loro specie e situazione possono, disboscandosi o dissodandosi, dar luogo a smottamenti, interramenti, frane, valanghe, e, con danno pubblico, disordinare il corso delle acque, o alterare la consistenza del suolo, oppure danneggiare le condizioni igieniche locali.”
In seguito, furono emanate altre leggi, in materia di rimboschimento, citate al link che segue.
https://foresta.sisef.org/contents/?id=efor2985-015

Oggi l’escursionista, che percorre i versanti sud, del gruppo del Beigua, immerso nelle grandi foreste di resinose è al cospetto di un’immensa opera di rimboschimento.
Milioni di alberi, furono piantumati o seminati, in primis, il Pinus Nigra, il pino nero, messo a dimora negli anni 20/30, nell’intento di favorire la formazione dell’humus necessario, per preparare la terra a nuove piantumazioni di caducifoglie.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale, pose fine a questo ambizioso progetto, non scevro di errori di valutazione.
A questo link alcune notozie sul Pino Nero
http://pianteinviaggio.it/index.php/it/le-piante-protagoniste/item/315-pino-nero-nero-e-maledetto

Il pino nero, in maggior parte proveniente dai vivai calabresi è una pianta frugale, di rapido accasamento e accrescimento, ma il suo legno, di scarso valore commerciale, non ha nessun utilizzo pratico ed è difficoltoso effettuarne il taglio e il trasporto, visto anche l’impenetrabilità delle fustaie.
Con Battista Perata, abbiamo già visitato, diverse di queste foreste, quelle del Bric Berti, Bernengu, Bric Strinà e du Grupassu.
Parlo dell’attività di rimboschimento, anche con Berto Cerruti, abitante au Runcu, classe 1936, non fu solo il Pinus Nigra, a essere introdotto nell’habitat del Beigua, ma anche altre specie di conifere, come il larice, il pino silvestre e gli abeti rossi, buona parte degli abeti, che dalla cima del Beigua costeggiano la strada verso Prato Rotondo, sono stati piantumati da Berto negli anni 50

Nella Peioa furono piantumati frasci e fo.
Berto ricorda la semina degli abeti, quelli oggi ai lati du Pro du Fen, questa operazione fu effettuata dalle donne, anche loro impegnate nel rimboschimento, in ogni fossetta, era messo a dimora un seme, ricoperto con due strati di terra, in uno era sotterrato anche del veleno a base di strichinina contro i roditori.

Spesso le giovani piantine, erano piantumate nei pendii pietrosi e allora era necessario effettuare una pesante bonifica, le pietre di risulta erano utilizzate per far de mascee, punti, butassi o per regimentare qualche rian, anche quei cumuli visti alle pendici de in Zimma ai Bricchi, sono il risultato di queste grandiosi opere bonifica per il rimboschimento.
Questa attività continuò fino agli anni 50 del secolo scorso, gestita dalla Forestale, offrì un’opportunità di lavoro alle comunità montane.

Resta il mistero e del perché e soprattutto chi ha, accuratamente accatastato tutte quelle pietre.
La nostra comunità sta inesorabilmente, perdendo ogni giorno che passa la memoria del suo passato, chi erano quelle persone e come è stata la loro vita il loro lavoro, sciu da un briccu, in te un pro da fen o sciu da Teiru e cumme han fetu a tiò sciù de niè de figgi?

Ma e ora di ritornare, il tempo minaccia, nuvole nere sono sopra la vetta del Priafaia, mentre il Montebè è già avvolto nella nebbia, in direzione del mare è probabilmente già in atto, una burrasca
Ringrazio Battista Perata e Berto Cerruti, per la loro sempre gradita disponibilità, a raccontare la storia del nostro bellissimo entroterra.
foto in b/n Archivio Fotografico Varazze
la foto invernale du Grupassu è, per gentile concessione, di Valeria Barberis.
