Gli Autoscontri (1)

Questo racconto, degli anni più belli, lo dedico a Giorgio grande e sfortunato amico mio.

– prima parte

Furono gli autoscontri a farmi conoscere il mio grande amico Giorgio.

Arrivavano ogni anno, con l’approssimarsi delle festività natalizie.

Erano della famiglia Valetti, di Monforte d’Alba, presenti a Varazze dal 1947, le prime volte erano ospitati nella zona dell’ex cinema Eden, poi secondo la disponibilità, delle aree pubbliche, anche in altre zone della città, nei pressi dell’ex stazione ferroviaria, ma anche in p.zza Dante, dalla Provvidenza e ora da qualche anno sostano dalle “bandiere”.

In questo racconto userò i verbi al passato anche per descrivere cose ancora oggi in uso.

Negli anni 70 la pista degli autoscontri, era posta all’inizio del parcheggio, sorto dopo la dismissione delle aree dell’ex stazione ferroviaria.

La zona è comunemente chiamata “sul ponte” perché si trova in prossimità della copertura del fiume Teiro.

Il pullman-cassa, era un torpedone, riadattato a centrale elettrica, ed era solitamente parcheggiato parallelo all’aiuola, quella bella macchia di verde in mezzo all’asfalto con i grandi alberi di eucaliptolo e le magnolie che purtroppo non ci sono più.

Ancora oggi, è questo il “centro della citta” qui arrivano e si diramano le strade da e per l’entroterra e quelle verso levante e ponente e prima o poi a piedi o a bordo di un’auto nell’arco di una giornata si è costretti a passare da qua.

Negli anni 70/80 era anche un punto di aggregazione, ci si ritrovava “sul ponte” magari seduti sulla recinzione che contornava lo spazio verde.

Dirimpetto all’aiuola, c’era una larga striscia pedonale, parallela alla strada principale, qui facevano bella mostra i cartelloni dei cinema con i film in programma e alcune locandine dei partiti politici e di associazioni di volontariato.

Dal lato opposto all’ ombra degli alberi, nel periodo estivo, non mancava mai il banco che vendeva l’anguria.

Tre grandi lampioni ad arco illuminavano “il ponte” e le nostre prime serate, fuori casa, insieme agli amici.

Dopo qualche anno, accanto all’aiuola arrivò la giostra dei dischi volanti, la cassa, inserita in un più moderno veicolo, era spostata dal lato opposto, verso l’edificio, allora ancora esistente, della stazione vecchia.

Completavano il parco divertimenti, due stand per il tiro a segno, uno con il fucile ad aria compressa e l’altro, da effettuare tirando con le mani delle palline, altri giochini funzionanti a monetine erano posti intorno alla pista fra cui “La Corrida” un gioco di forza che consisteva nell’avvicinare fra loro le ipotetiche corna di un toro con al centro una lancetta che indicava con nomignoli il livello di forza raggiunto, poi ancora un paio di punchball e altre macchinette dispensatrici di palline in plastica con sorpresa.

In prossimità degli autoscontri, sostava il tecnologico palazzetto in vetro e alluminio, che ospitava flipper, calcio balilla e i primi giochi elettronici.

Questa struttura era di Andres che dal “72 seguiva sempre, con la “Casa del Torrone”, gli spostamenti in riviera della famiglia Valetti.

L’imminente arrivo degli autoscontri, era annunciato dalla presenza delle case mobili, di solito parcheggiate lungo il tracciato della vecchia ferrovia.

Così dopo qualche giorno, arrivavano gli autotreni, che trasportavano gli elementi smontati del luna park, erano vecchi camion a rimorchio, che come premio dei tanti chilometri percorsi, si limitavano oramai ai soli viaggi di andata e ritorno da e per Varazze.

Era necessario non solo un discreto numero di persone, per l’assemblaggio delle strutture, ma anche buone capacità organizzative, per procedere con ordine.

Ogni particolare era accatastato seguendo la sua numerazione, terminate le operazioni di scarico, iniziava il montaggio, era come comporre un gigantesco puzzle, tutto era effettuato a mano, ancora non esistevano gli impianti oleodinamici, che oggi semplificano e rendono meno faticoso questo lavoro.

Particolare cura, era necessaria, nella posa in opera delle lastre di acciaio della pista, che dovevano essere accuratamente livellate, poi si procedeva all’assemblaggio dell’incastellatura di acciaio per il sostegno della rete elettrica, i piloni di sostegno e le travi dovevano essere fissate con bulloni, era questa la parte più pericolosa del lavoro, poiché le strutture dovevano essere disposte a oltre tre metri di altezza.

Frequenti erano i nostri sopralluoghi per controllare lo stato di avanzamento lavori.

Per ultimo erano posizionate le plastiche colorate, al cui interno erano alloggiate le luci, nascondevano le strutture metalliche e proteggevano da eventuali urti.

Terminata questa delicata fase, si fissavano le pedane di contorno della pista, anche loro composte di lastre in metallo antiscivolo, sotto alle quali, durante la permanenza degli autoscontri, si accumulava di tutto, in gran parte “rumenta” sospinta dal vento.

Ma sotto queste pedane, finivano anche tanti altri oggetti, i più disparati, persi, scappati di mano o fuoriusciti da qualche tasca e ognuno con la propria storia, anche piccole tragedie famigliari come la perdita di anelli, orecchini o soldi spiccioli, il tutto condito da inevitabili imprecazioni e lacrime, e se la perdita era difficile da dimenticare, allora arrivava sul posto un adulto, per il tentativo a volte riuscito, del recupero, effettuato stando sdraiato sull’asfalto.

In un paio di giorni la pista era sistemata, a questo punto arrivava il camion con le automobiline, erano di solito una ventina di autoscontri di colori diversi e con il proprio numero, il grande paraurti di gomma nera e la parte anteriore con la mascherina, vagamente ispirata alle auto in circolazione, in caso di pioggia, erano pronte delle coperture impermeabili.

Gli autoscontri erano introdotti nella pista tramite uno scivolo, qui era montata l’antenna per l’alimentazione elettrica e la bandierina con i colori delle squadre di calcio.

Il posto di guida era dotato di un piccolo divanetto con schienale, dove si stava abbastanza stretti, un bordo di gomma morbida seguiva il profilo dell’abitacolo e proteggeva spalle e braccia dagli urti, il piano d’appoggio dei piedi era in acciaio lucidato dall’uso frequente.

L’interazione con l’automobilina, avveniva tramite: un pedale quello dell’acceleratore, il piccolo volante e la feritoia, dove introdurre il gettone, al confronto le auto odierne sono delle astronavi!

Terminati gli ultimi collegamenti elettrici, posizionate le casse acustiche agli angoli della pista, si effettuavano le prove di funzionamento.

Per tutta la durata della permanenza a Varazze, quasi tutta la famiglia Valetti si trasferiva in riviera, insieme a papà e mamma erano presenti anche le prime tre figlie, tutte carine e simpatiche con i capelli biondi, Angela e Silvana ed Elena la più piccola della triade.

Si alternavano alla cassa degli autoscontri, dove, oltre a vendere i gettoni e mettere i dischi, era loro libero arbitrio determinare la durata dei giri, poi a turno, erano presenti anche negli stand dei tiri a segno.

Uno o due addetti al controllo e alla manutenzione, a volte reclutati tra la mano d’opera locale, completavano lo staff.

L’inizio e la fine del giro, era annunciato da un suono caratteristico.

La domenica mattina la pista era monopolizzata dalle famiglie, che finita la partecipazione alla messa, raggiugevano il Luna Park e sopra le automobiline salivano, non senza qualche difficoltà, il papà o la mamma con il figlio, per i primi rudimenti di guida, nel primo pomeriggio invece, anche nei giorni feriali, erano i ragazzini, i “novizi” freschi del nulla osta ottenuto dai genitori per girare da soli in pista.

A volte, in prossimità della pista si aggiravano degli adulti, all’apparenza disinteressati alle evoluzioni delle automobiline, ma un attento osservatore, avrebbe notato quegli sguardi pieni di apprensione, erano il papà o la mamma che osservavano di sottecchi con ansia i primi “incidenti” dei loro figlioli…..

– continua

foto sottotitolo di Silvana Valetti

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