Gli Autoscontri (2)

Questo racconto, degli anni più belli, lo dedico a Giorgio, grande, sfortunato amico mio

-seconda parte

Per noi ragazzini andare sugli autoscontri, era una sorta di iniziazione, un primo approccio a quella nostra prossima nuova età della vita, l’adolescenza.

Le cose presto sarebbero cambiate con le prime cose fatte da soli o con gli amici, le prime contestazioni e decisioni, delusioni ed emozioni.

E guidare quella automobilina, era come affrontare la vita, ora incerta, poi veloce, attenta a schivare i colpi e quando era il momento, pronta a colpire.

Ricordo un ragazzo della nostra età, aveva però qualche problema, ma sopra la sua automobilina, sempre la stessa, era felice, per proteggerlo, evitavamo di colpirlo, lui però non contraccambiava la cortesia, ma noi sopportavamo con pazienza i suoi scontri.

Era presente quasi tutti i giorni, le sorelle Valetti, gli regalavano dei gettoni e lui contraccambiava, sistemando le macchinine, anche quando noi abbandonammo, per raggiunti limiti di età e per altre attrattive, il mondo del Luna Park, lui continuò ad aspettare ogni anno l‘arrivo degli autoscontri felice di ritrovare la sua automobilina.

Ogni tanto lo rivedo, anche su di lui, il tempo è passato e gli ha cancellato dal volto, quel suo bel sorriso.

Le prime volte, si era come pesciolini in un acquario, si continuava a girare in tondo seguendo tutti gli altri, ma facendo attenzione però ai predatori, quelli spesso andavano contromano e colpivano senza pietà….

Era il nostro punto di ritrovo, si aspettava l’amico per entrare in pista e a guidare si faceva a turno.

Chissà perché, ma c’erano delle automobiline più veloci delle altre, ed erano le più ambite, prima ancora che finisse il giro, si entrava in pista, pronti a saltare sopra il bolide, non di rado aiutandosi con qualche spintone per scoraggiare altri pretendenti.

Se però l’attesa era troppa e gli occupanti erano dei “pivelli” e non volevano abbandonare la vettura allora si riusciva nell’intento, con qualche minaccia e se non bastava, si prelevava a scopo ricattatorio, qualche accessorio, del tipo berretto sciarpa o addiritura, una scarpa sottratta con la forza.

Questo comportamento prevaricatorio lo avevamo imparato a nostre spese, mai portare in pista oggetti facilmente asportabili.

D’inverno sul ponte, ean peccetti il vento freddo gelava orecchie e naso, ma guai mettersi un berretto in testa!

Con il tempo si diventava anche bravi, ma non bastava la perizia della guida, bisognava avere anche buone capacità strategiche e geometriche.

Nel recinto della pista, era necessario calcolare le varie traiettorie e le conseguenti velocità, per evitare o cercare gli impatti, imparammo così diversi trucchi.

Il più semplice era come far sbandare l’automobilina che ci precedeva, oppure simulare uno scontro, vedere il panico negli occhi della vittima e poi all’ultimo istante sterzare e schivare.

Un altro scherzo era fatto in combutta con un complice, si affiancava la macchinina avversaria, obbligandola ad andare a sbattere contro il bordo pista a questo punto, dopo la prima botta, arrivava anche la seconda, con l’amico-complice che la tamponava facendola rimbalzare un altra volta contro il bordo della pista.

A volte, a seguito di un impatto particolarmente violento, se la macchinina era colpita di lato, si sollevava e gli occupanti, per istinto di sopravvivenza, abbandonavano precipitosamente l’autoscontro che ricadeva con un tonfo sordo sulla pista, con grande disappunto di chi alla cassa aveva visto l’accaduto e rimproverava gli autori con l’altoparlante.

Imparammo anche la tecnica del controsterzo molto utile per correggere le traiettorie o da fare un attimo prima di ricevere un impatto.

Spettacolare era il duello tipo “mezzogiorno di fuoco”, era uno scontro frontale, le macchinine partivano dai bordi opposti e l’impatto avveniva al centro della pista, anche se le velocità erano modeste, al momento dell’impatto come in un crash test i corpi erano proiettati con violenza in avanti, naturalmente vinceva chi aveva un rapporto peso-potenza maggiore e faceva arretrare la macchinina avversaria.

A mio parere per creare dei buoni guidatori, bisognerebbe rendere obbligatorio un certo tirocinio alla guida di queste automobiline, così facendo si allenano i riflessi, ci si abitua alla guida, a schivare altri veicoli a fare piccole manovre a essere vigili e pronti prima di un impatto.

A volte gli scontri in pista avevano degli strascichi e al termine della corsa ci si azzuffava per una scortesia o qualche insulto ricevuto, allora prontamente arrivava l’addetto alla pista e per dividere i contendenti a volte bastava solo la minaccia di essere interdetti all’utilizzo degli autoscontri per gli anni a venire e subito si calmavano gli animi.

Gli addetti alla pista avevano il compito principale, di tenere sotto controllo il “traffico” intervenire quando un’automobilina si fermava, di solito per eccesso di sterzatura o non partiva nonostante fosse stato regolarmente introdotto il gettone, oppure quando si formavano gli “ingorghi” magari colpa di qualche autista non particolarmente abile.

Era forte la nostra ammirazione quando erano all’opera e facevano precise traiettorie, per riportare in parcheggio le automobiline abbandonate lungo la pista, i più bravi saltavano fuori, quando ancora erano in movimento, estraendo il famoso gettone a recupero magari riuscire ad averne uno!

Ogni tanto questo desiderio si avverava!

Quando loro erano impegnati in altre cose, in piccole riparazioni o si dovevano assentare, allora ci consegnavano il gettone magico ed eravamo noi a riportare le macchinine a posto, e di colpo ci sentivamo “grandi” e gratificati come un segnale di stima e fiducia nei nostri confronti.

Eravamo degli habitué e a volte alla cassa ci regalavano dei gettoni.

Il costo di un gettone era 50 lire ma con 500 lire ne potevi averne dodici.

All’inizio si stava seduti all’interno dell’autoscontro, ma questo era un comportamento da novizio e poco virile, allora per imitazione di quelli più adulti e forse per ostentare un fisico maggiore, non appena si acquisiva la padronanza del mezzo e per dimostrare la nostra abilità, si stava seduti sul bordo di gomma dell’abitacolo.

Il pilota era costretto, però, a stare aggrappato al volante perché raggiungeva a malapena il pedale dell’acceleratore, il passeggero invece si assicurava con una mano all’antenna quella per l’alimentazione elettrica e con un piede pericolosamente appoggiato al paraurti.

Vanamente eravamo richiamati all’ordine dall’altoparlante.

Se all’inizio, era solo un puro desiderio di divertimento e lo scopo primario era di destreggiarsi con un volante tra le mani, ora invece in preda dagli ormoni dell’adolescenza gli autoscontri erano luogo di scontro-incontro fra adolescenti.

Era uno spettacolo!

Le automobiline che piroettavano in pista, le voci dei ragazzi, le urla delle ragazze prima di uno scontro, le luci e la musica degli altoparlanti, con le canzoni in hit parade di quegli anni, ricordo soprattutto le canzoni dei Pooh, erano le più ripetute, forse una loro fan tra le figlie.

Dopo l’imbrunire eravamo noi padroni degli autoscontri.

E naturalmente i nostri obbiettivi, erano le ragazze, noi cacciatori e le prede senza scampo nel recinto della pista!

A volte si formavano delle alleanze, contro qualcheduno, magari arrivato dalle città vicine o da qualche frazione, allora l’intruso diventava un bersaglio, ci coordinavamo e riuscivamo a colpire il malcapitato più volte in contemporanea, proprio come succede in un branco e lo stesso trattamento era riservato ai giovani maschi che osavano avvicinarsi alle nostre femmine!

Erano tutti approcci violenti, per manifestare interesse a qualche ragazza, si colpiva la sua macchinina e più forti e ripetuti erano gli impatti maggiore era l’interesse che si voleva dimostrare, e per trasmettere maggior energia si accompagnava l’urto anche con un colpo di reni.

A volte negli stand del tiro a segno si vincevano dei palloncini di plastica legati a un filo elastico, erano ideali per colpire le malcapitate.

Guai però se portavano i capelli lunghi e sciolti, la pallina a volte restava impigliata nelle ciocche, a questo punto, l’elastico si tendeva in modo pericoloso, due erano le possibilità, o affrontare le ingiurie e qualche calcio nel tentativo di recuperare la pallina o mollare l’elastico…….

Che ora libero sfogava con un sibilo la forza accumulata e, di solito, per un’oscura forza del destino colpiva un lembo di pelle scoperto collo, orecchio, naso o una mano.

Scoprii così l’ira funesta che si celava anche in ragazzine all’apparenza mite che sembravano innocue, forse anche pacifiste e visto il periodo storico contrarie alle violenze della guerra in Vietnam, ma che invece erano dotate di un latente istinto omicida e ora mi stavano inseguendo per una qualche punizione corporale!

Nell’operazione di liberazione dall’elastico era coinvolta anche l’amica del cuore che cercava di dipanare la tragica matassa di filo e capelli, la poveretta si lamentava vistosamente a ogni capello strappato, giuravano vendetta ma poi tutto ritornava come prima.

Non credo però che le ragazzine, scegliessero un probabile futuro fidanzatino in base al numero di botte ricevute sugli autoscontri ci voleva dell’altro, ma questo per il momento non era ancora percepito da parte nostra.

Gli ormoni scalpitavano e avevano bisogno di scaricarsi e così la frequentazione degli autoscontri era come una specie di valvola di sfogo a questi nostri istinti esistenziali.

Con il tempo il nostro modo di fare si fece meno spigoloso e le ragazze diventarono nostre amiche e per qualcuno di noi , galeotti furono gli autoscontri, conobbe quella che sarebbe in seguito diventata la compagna della sua vita.

-continua

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