Il 17 gennaio 1945, Piombo Mario, fu ucciso, nel campo di sterminio di Dachau, aveva 25 anni, stessa sorte subirono, il fratello Angelo, Antonio e Bartolomeo Accinelli, deportati e sterminati, perchè avevano rifiutato di indossare la divisa di un’esercito, che combatteva una folle guerra.

Una tragedia dimenticata dalla nostra comunità, l’eccidio dei fratelli Accinelli e Piombo.

La chiesetta di S.Caterina della Ruota, alla Costa di Casanova, si trova al centro di un crocevia, tra la via Bianca, che saliscende dal Muntadò/Beato Jacopo e le due strade laterali, a destra verso la località de Liè, in direzione dell’Arzocco e a sinistra, verso la località de Canne, in vista da Giescia di Casanova.
I viandanti e gli escursionisti, prima di affrontare la parte finale, quella più ripida del percorso, con la salita del Muntadò, verso la chiesa del Beato Jacopo, giunti alla chiesetta di Santa Caterina della Ruota, sostano, anche solo per riprendere il fiato, al cospetto di questo luogo di preghiera e se alzano lo sguardo in alto, sotto la nicchia del Beato Jacopo, possono vedere una lapide, di pregevole fattura, posta dagli amici il 21 luglio del 1946, dove sono incisi i nomi dei fratelli Accinelli e Piombo.

Questa lapide, è una Pietra di Inciampo, posta nel luogo, dove vivevano e dove sono stati prelevati quattro nostri concittadini, per essere deportati in un campo di sterminio, da dove non sarebbero più ritornati, un luogo della memoria, che ci fa pensare ad un triste periodo, vissuto dalla nostra comunità, reso ancor più struggente, dalle giovani età di quei quattro fratelli.
A questo link il perchè delle Pietre d’Inciampo: https://www.scuolaememoria.it/site/it/2021/10/01/le-pietre-dinciampo/?rit=lettura-contenuto
Furono 23.826 (22.204 uomini e 1.514 donne) gli italiani, che furono deportati nei lager nazisti.
Di questi 10.129 non tornarono più alle loro case.

All’alba del 24 aprile 1945, la via Bianca risuonava dei passi dei partigiani che scendevano dai loro rifugi, come concordato fra i vari distaccamenti, per convergere a Varazze dove i fascisti e i loro alleati, stavano tentando la fuga.
Erano finiti i rischi di quelle persone, che per superare i rigori dell’inverno, avevano ospitato, e avuto cura dei partigiani, renitenti alla leva e di quelli che avevano abbandonato la divisa, dopo l’8 settembre, nascosti in una cascina o casa di campagna, in un fienile, una cantina o in una di quelle intercapedini, ricavate nelle case contadine, che servivano per nascondere le riserve di cibo.
La guerra era finita, si doveva uscire, correre nelle strade, arrivare in città al suono delle campane e poi ritrovarsi in piazza, la sera del 24 aprile a far festa e lo fecero anche quelli sopravvissuti, nascosti, impauriti e terrorizzati dai rastrellamenti, specie quelli del novembre del 1944, che avevano decimato alcuni distaccamenti partigiani e catturato diversi renitenti alla leva, obbligati a salire su un vagone merci, con ignota destinazione.
E di quelli che erano stati deportati, nei campi di lavoro in Germania, nessuna notizia, chissà dov’erano e quale era stata la loro sorte, la guerra era finita, ma nessuno di quei quattro giovani, di Casanova, ritornò a casa.
I loro nomi, sono incisi in quella lapide, sopra il portale della chiesa di S. Caterina della Ruota alla Costa di Casanova.
Erano i fratelli Accinelli, nati a Varazze, Antonio il 24 marzo del 1923, Bartolomeo il 14 dicembre 1924 e i fratelli Piombo, nati a Varazze, Mario il 30 maggio del 1920, Angelo il 17 maggio 1923.
Ventenni, quattro amici, chiamati alle armi, destinati a esser carne da macello, per una guerra già persa, almeno due anni prima, con le disfatte in Russia e in Africa.
Dopo l’8 settembre del 1943, la propaganda nazifascista incitava all’arruolamento per riprendere le armi contro i nemici della Patria, l’ordine ottenne l’effetto contrario, migliaia di giovani strapparono la cartolina precetto e si nascosero disperdendosi nel nostro entroterra, insieme a chi l’uniforme l’aveva abbandonata dopo l’8 settembre.

Dopo l’armistizio ci fu l’illusione che la guerra fosse finita, i militari italiani, furono messi di fronte all’alternativa prigionia/lavoro forzato o l’adesione alla r.s.i. la repubblica sociale italiana, per combattere fino alla morte, a fianco dell’alleato tedesco.
Solo il 15% di loro, accettò di riprendere le armi, ma questa loro scelta, fu dettata solo per non patire fame, freddo, botte e sevizie nei campi di prigionia, gli IMI Internati Militari Italiani, non avevano lo status di prigionieri di guerra e quindi privati di ogni tipo di aiuto.
Ricercati, perché renitenti di leva o disertori, da un folle regime che cercava altra carne da macello, per compiacere i camerati tedeschi, giovani vite, prossimi cadaveri, scelti non a caso, tra i contadini, nei paesi del nostro entroterra, brava gente già avvezza a patimenti e di buon comando.

La nostra città, già rinomata stazione turistica e balneare, durante la seconda guerra mondiale, ospitava alti gradi dell’esercito tedesco e del regio esercito; nell’ottobre del 1943 fece tappa a Varazze, il feldmaresciallo Rommel in visita al Vallo Ligure.

Oggi di quel periodo, abbiamo molte testimonianze fotografiche, di marce con fez e moschetto, cerimonie pubbliche e sfarzose feste al Grand Hotel.
L’ordine pubblico doveva essere mantenuto ad ogni costo, tramite diverse guarnigioni dislocate in diversi punti della città, nulla doveva turbare i gerarchi fascisti e alti ufficiali tedeschi in licenza nella nostra città.
A Varazze, come in altre città italiane fu largamente favorita la pratica della delazione, in un contesto di paure, ricatti e fame
Ma c’era anche chi, per invidia, vendetta e malvagità, riferiva ai comandi fascisti gli improperi, pronunciati in privato, dei suoi concittadini, verso il regime fascista, o chi era stato visto a strappare un manifesto di propaganda.
Era un efficace metodo di terrore, per mantenere sotto controllo le città.
Per un paio di scarpe o del cibo si poteva tradire anche degli amici d’infanzia
Una brutta pagina, di quei terribili anni, emerge, conoscendo la storia di quei nomi incisi nella lapide, sopra l’entrata della chiesa di S. Caterina della Ruota.
Fu la moglie di un carabiniere, trattenuto in stato di fermo dai tedeschi in Germania, sfollata e ospitata in una casa, alla Costa di Casanova, che barattò la liberazione del marito, rivelando il luogo, dove potevano essere facilmente catturati, alcuni di quei giovani, sfuggiti alla chiamata del duce.
Questa circostanza è confermata dai racconti di Benito e Gianni Piombo, nipoti di Piombo Angelo e Piombo Mario e di Giovanni Pastorino, figlio di Grossi Maria nipote di Accinelli Antonio e Bartolomeo
Imprudentemente, i quattro amici insieme ad altri renitenti di leva, che di giorno, si nascondevano in ta Costa de Casanova e nei dintorni delle loro abitazioni, in ta Canà e in te Liè, si mostrarono in pubblico e furono riconosciuti, da qualcheduno, fra quelli che erano accorsi numerosi, ai primi di giugno del 1944, sulle alture della nostra città, a guardare il triste spettacolo, di un bombardamento notturno su Genova.

Per aiutare genitori e fratelli, quando faceva buio, i fratelli Accinelli e Piombo, erano a zappare o a far altri lavori, nei loro campi coltivati o presso le loro abitazioni.

Anche quella notte di luglio, i fratelli, lavoravano veloci e con forza, in quel campo a cavar patate e non si accorsero, di quelle ombre silenziose, che stavano sopraggiungendo.
E quando una luce illuminò i loro volti, sudati, era troppo tardi per fuggire dalla loro sorte.
Da ricerche storiche il 22 luglio del 1944, operò a Varazze a scopo repressivo un reparto di bersaglieri che arrestò sei persone.
I militari italiani, quel 22 luglio del 1944 per favorire l’arresto di alcuni ricercati, avevano tagliato le linee telefoniche e interrotto l’energia elettrica di Varazze.
I bersaglieri, quella notte arrestarono sei persone, quattro di loro verosimilmente potevano essere i fratelli Accinelli e Piombo.

Tradotti nel carcere di Savona, gli fu fatto un sommario processo, poi inviati al di centro di prigionia e di smistamento delle Colonie Bergamasche.

In attesa del treno, con destinazione il campo di sterminio, di Dachau in Baviera.
Da quella tragica notte, iniziò un calvario, un immenso dolore, per quelle due famiglie di contadini in quelle case di contadini in ta Canà e in te Liè.
Dove avevano portato i quattro fratelli? Erano giovani, appena ventenni, non avevano mai fatto male a nessuno. E con quest’ultima convinzione, in quelle case della Costa de Casanova, attesero con speranza, il ritorno di un figlio, un fratello, un amico.
Fu una straziante attesa, poi arrivò la notizia della morte dei loro cari, da chi fece ritorno a casa, un’ anno, dopo il termine della guerra.

Chi era riuscito a sopravvivere nell’inferno di Dachau, raccontò di Accinelli Antonio, morto di stenti e del fratello Bartolomeo, freddamente eliminato, per aver chiesto ad alta voce dove era il fratello.
Ma la storia di chi resta, in una casa vuota, ma piena di dolore, era sempre la stessa, uguale a tante altre tragedie dimenticate, o mai conosciute.
La mancanza di un corpo da riconoscere, di una tomba dove pregare o mettere un fiore, sosteneva quel filo di speranza, di rivedere ancora in vita, un proprio caro, e questo alleviava un po’ la sofferenza da quel dolore straziante.
L’attesa durò per tutta la loro vita, quei genitori non si rassegnarono mai e aspettarono per anni, di veder arrivare, almeno uno di quei figli, trascinati via dalla loro terra una notte d’estate.
Cinicamente eliminati a pochi giorni dalla fine della guerra, da zelanti esecutori di stermini di massa.
Ritroviamo i loro nomi, fra le migliaia di nostri connazionali, sepolti nei cimiteri militari italiani in Germania, Austria e Polonia effettuando la ricerca su
Dimenticati di Stato al seguente link: https://dimenticatidistato.com
Accinelli Antonio matricola Dachau 113138 morto il 29 gennaio 1945
Accinelli Bartolomeo matricola Dachau 113137 morto il 14 marzo 1945
Piombo Angelo matricola Dachau 113460 morto il 17 marzo 1945
Piombo Mario matricola Dachau 113459 morto il 17 gennaio 1945.
La loro morte è registrata nella città bavarese di Muhldorf dove era il campo di lavoro e sterminio di Dachau.
Nei pressi del campo di prigionia, c’era un grande bunker, dove lavoravano i deportati ad assemblare, gli aerei Messerschmitt
Una tragedia dimenticata dalla nostra comunità: l’eccidio dei fratelli Accinelli e Piombo.
Il fratello maggiore Piombo Giuseppe, quando fece ritorno a casa, dopo cinque anni di guerra, pianse di rabbia, per essere stato soldato nell’esercito di quel sanguinario regime, che gli aveva trucidato i fratelli.
Giurò vendetta, cercando invano di rintracciare quella donna, dai capelli rossi e l’accento toscano, che li aveva traditi e che si era dileguata.
Forse per stemperare la rabbia di quei giorni, si diceva che neppure lei, era riuscita a salvare il marito, vittima dell’odio dei tedeschi contro i militari italiani.

Visitando il rudere, da Ca de Liè, la casa natale dei fratelli Accinelli, mi sono soffermato a guardar quei muri diroccati, ho cercato e trovato i segni, gli oggetti, che ha lasciato, chi lì aveva vissuto

La delazione fu una vergogna nazionale.
I delatori, esseri ignobili, fecero pervenire, al podestà di Varazze, durante i 18 mesi di guerra civile, un corposo carteggio, dei loro concittadini, spiati nelle loro mosse o ascoltati di nascosto.
Era la primavera del ‘45 la guerra era definitivamente persa, i nazifascisti organizzavano le vie di fuga, gli alleati, si avvicinavano ogni giorno di più.
Forse per garantirsi il perdono divino e terreno, il comandante del distaccamento tedesco, si recò dal parroco di Varazze, facendogli vedere quell’elenco di nomi, il frutto dello sporco lavoro dei delatori, nomi di donne e uomini, che erano stati consegnati ai tedeschi dai compiacenti fascisti, per essere fucilati o inviati, in un campo di internamento.
Faceva ancora freddo e la piccola stufetta della sacrestia, era bella calda, il prete prese quei fogli, dalle mani del tedesco, guardò per un attimo quell’elenco, aprì il coperchio della stufetta, lunghe lingue di fuoco, avvolsero quei fogli di carta.
Furono così distrutte tutte quelle ignobili delazioni, ma anche le prove di quell’ignominia, nessuno indagò su chi avesse compiuto quei delitti.
I nomi dei fratelli Accinelli e Piombo sono incisi nelle Pietre d’Inciampo in piazza Nello Bovani, insieme ad altri nostri concittadini, altri dieci nomi.
Dieci altre persone, di cui conosciamo solo i nomi e due scarne datazioni

Faccio un appello, rivolto ai famigliari e conoscenti dei deportati a chi può avere anche solo qualche notizia o un racconto, tramandato dai nostri vecchi, per conoscere qualcosa della vita di questi nostri concittadini, che aiuti la nostra comunità a mantenere vivo il ricordo, di chi molti anni fa fu travolto dalla cieca furia di una dittatura sanguinaria.
Dove hanno vissuto? Che lavoro facevano? Erano giovani, veterani di guerra, erano antifascisti, disertori, renitenti di leva? Catturati durante un rastrellamento? A seguito di una delazione? Durante una riunione di antifascisti? Catturati perchè visti strappar manifesti di propaganda fascista, a scrivere sui muri a parlar male del duce o che altro?
Fu un periodo oscuro e di terrore, non ci si poteva fidar di nessuno, si era denunciati e arrestati, anche per cose di poco conto, come strappare un manifesto o esprimere un’opinione contraria al regime, e se nessuno di potere, interveniva per intercedere e chiedere il rilascio, si era destinati ad un campo di lavoro, dove la differenza fra la vita e la morte, era la disperata volontà di sopravvivere.
Elenco nomi presenti nelle Pietre d’Inciampo in p.zza Nello Bovani:
ACCINELLI ANTONIO 1923 1945 DACHAU
ACCINELLI BARTOLOMEO 1924 1945 DACHAU
BERNARDIS AGOSTINO 1925 1944 HERSBRUCK
CANALE LIVIO 1893 1945 MATHAUSEN
CERRUTI ARMANDO 1923 1945 HERSBRUK
CERRUTI PIETRO GIO BATTA 1921 1945 GERMANIA
DELFINO ANTONIO 1908 1944 OBERSUE
ISETTA GIOVANNI 1918 1944 DORTMUND
KOFFLER LODOVICO 1891 1944 UBERLINGEN
LEGHISSA LUCIO 1922 1945 MUCHEIM
PIOMBO MARIO 1920 1945 DACHAU
PIOMBO ANGELO 1924 1945 DACHAU
PIGOZZI LUIGI 1921 1945 BESSARABIA
SALVIATI GIO BATTA 1912 1943 NUEBHSCDORF
Nella lapide del Monumento ai Deportati nel cimitero di Varazze sono presenti altri nomi, non riportati nelle Pietre di Inciampo in piazza Nello Bovani.
CALEFFI DARIO 1915 1944 GERMANIA
CRAVIOTTO GEROLAMO 1912 1944 STADTKRANKENHAUS
ISETTA MICHELE 1913 1944 INCOLSBEIM
Ringrazio per la stesura di questo resoconto, Benito e Gianni Piombo, Giovanni Pastorino e Piera Bernardis . Cenni Storici Fulvio Sasso.
foto b/n Archivio Storico Varagine

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