
Casanova fine ‘800 primi anni del ‘900.
Omonima, forse lontana parente del GB Cerruti, il re dei Sakai, era la famiglia, che dopo diverse compravendite ed espropri, si imposesso’ dei terreni detti Sciandria, Canain e Troggi, che erano confinanti con il terreno della Torrazza, quello ereditato da Geronima Molinari.
Ma anche su questi possedimenti gravava un legato perenne o cappellania (era la volontà di un fedele, che con un lascito o con i proventi della locazione di una sua proprietà, dava ordine perenne ad officiare la celebrazione di un numero x di messe ogni anno e per sempre per la sua anima ) questo legato era in favore di un antenato dei precedenti proprietari, Pietro Damele, detto Peano, la cappellania fu istituita nel 1773!

Anche la Geronima Molinari, insieme ai beni ereditati aveva l’onere di un legato perenne in favore di Giacomo Molinari istituito più recentemente nel 1813.
Le due famiglie i Cerruti e i Molinari interruppero il pagamento di questi oneri nel 1880 e furono minacciati di scomunica dal clero, in loro era però forte la convinzione religiosa, fino al punto di decidere di unire le forze e le spese per costruire una chiesa, dove esercitare la loro devozione.

Di questa chiesa, resta solo un rudere, ma la Madonna della Guardia di Casanova in località Torrazza, doveva avere un aspetto imponente e importante, con la singolarità di un edificio a pianta esagonale.
Non si hanno notizie dell’esistenza di un campanile, forse diruto, oppure la chiesa era, molto probabilmente, munita di un campanile a vela.
Questo è l’ipotetico racconto, del dialogo fra i rappresentanti delle due famiglie Cerruti e Molinari, unite dopo la decisione di comune accordo, per costruire la chiesa.
“Ma alua, quanto ci custa, far sta giescia? Che tantu nesciun preve vorrà neanche passarci da luntan?”
“ Ho parlou cun i Ciurè e i Furtuin, quelli sun bravi massachen e in gamba e ci hanno detto, che ci ciappan poche palanche, perché vogliono farci un capolavoro, una giescia cun sei muagge! Che tutti quelli che la vedranno ci restano tanto bene e loro ci fanno una bella figua”
“ Va ben ma tuttu questu, pe non paga’ le messe? Megiu pago 60 franchi l’anno che fo sta giescia !”
“Tu parli cuscì perché cantavano le messe a to nonnu, ma pensa paga’ per far dir delle messe a un mortu cent’anni fa! Che manco sai chi era e che nesciun, manco u se ricorda ciù, se era ertu, piccin, brovu o stundaiu biundu o neigru!”
“Ti ghe rasciun! Ma se nu demmu e palanche ai previ ne dan a scumuniga a tutta a famiggia, cumme han fetu cun i Camuggi, pe l’equa dell’ortu de S.Dumenigu!”
“ Ma se i Camuggi sun ancun tutti vivi! E ci hanno detto che aua, ci hanno in più le palanche che davano prima alla giescia!”
“Cosa disce Mina ? ( Geronima Molinari)”
“ A l’è arraggiou quando i previ gan ditu, che se non paga, pe le messe a va all’infernu ! Alua a ga ditu, che u Segnu, va a pregarlo nella sua giesa!”
“Perù sti previ… ciappan tante de quelle palanche pe dì na messa, i besagnin ghe portan galline e cuniggi e a Vase tanta frutta e verdua per guagnarsi il Paradiso che nessuno sa se u ghe! Gan ville e terren da tutte e parti! Sun ciù ricchi che u papa !E poi ste vusci che d’han recattu a quarche dunetta?”
“ A Mina a l’ha ditu, che de palanche da Turassa, finchè tira il fiato i previ non ne vedranno mai ciù”
Ma le cose finirono diversamente, dalle intenzioni espresse. Geronima Molinari fu colpita da un grave lutto famigliare, con la morte dell’unico figlio e poi rimase vedova con la morte del marito Bernardo Recagno.
In vecchiaia fu curata da Maria Fiorito mandata a servizio, presso la sua abitazione, proveniente da Grognardo AL, sposata con Pietro Balza, divenne la proprietaria del patrimonio di Geronima Molinari che per i servigi e la compagnia ricevuta, prima la prese in adozione e poi la dichiarò nel 1922 sua erede universale, un anno prima della sua morte.
A questo punto per quei strani inspiegabili eventi della vita che a volte ritornano, Maria Fiorito rinnovo’ il legato, interrotto nel 1880 e le messe da officiare, furono dedicate all’anima della defunta Geronima Delfino.

Chissà se questa fu l’ultima sua volontà, una rivincita della Curia, nei confronti di questa donna ribelle, oppure un segno di riconoscenza della Maria Fiorito nei confronti della sua benefattrice?
foto b/n Archivio Fotografico Varagine.
