Antonio Bruzzone

Antonio Bruzzone

Altezza Reale

Mi permetta che le porga le mie più sentite condoglianze per la grande perdita di S.A.il Duca Luigi Amedeo, perché avendo lavorato alle sue dipendenze come operaio per ben tre anni in Somalia e avendo avuto più volte occasione di avvicinarlo per motivi di lavoro l’ho conosciuto non solo come il nostro buon capo, ma si può dire come un buon padre perché a tutti dava parole di bontà e di incoraggiamento e perciò da tutti era amato. Non dimenticherò mai il nobile gesto che ha compiuto il vostro caro fratello estinto; nel settembre 1922 ritornando dall’Italia al Villaggio (che porta il suo caro nome) i primi passi appena arrivato colà furono di portare una corona di bronzo sulla tomba di un mio povero fratello morto laggiù nel frattempo che il Duca era in Italia. Per la cerimonia fui invitato anch’io e non dimenticherò mai quanto mi furono di conforto le nobili parole dirette a me sulla tomba del mio povero fratello. Altezza mi perdoni se vengo a disturbarla, ma è l’espressione di un cuore che in questo momento non può tacere e si unisce umilmente e devotissimamente al cordoglio della reale famiglia.

Bruzzone Antonio.

Con questa lettera di condoglianze, per la morte di Luigi Amedeo di Savoia, il Duca degli Abruzzi, inviata alla famiglia reale, inizia questo racconto, che parla di un nostro concittadino, Antonio Bruzzone.

Come sempre è necessario considerare, il contesto storico delle vicende.

A questo link, un mio post datato 16/09/2021 Cun a Valiscia in Man, un resoconto della situazione economica, nella nostra città nei primi anni del 900.https://quellisciudateiru.wordpress.com/…/cun-a…/…

A partire dalla metà del 1800, Varazze e il suo distretto, subì un drastico ridimensionamento del settore produttivo, furono le cartiere Sciu da Teiru, ad entrare in crisi, seguite una decina di anni dopo dai Cantieri navali.

Come molti altri nostri concittadini, Antonio a inizio del XIX secolo emigrò in Francia.

Qui imparò il suo mestiere, quello di maestro d’ascia, ben presto però quelle prospettive, di buoni guadagni svanirono, rientrò in Italia, dove si convinse a fare il grande salto, partire per lavoro, con destinazione il Corno d’Africa, dove dal 1889 l’Italia aveva il protettorato della Somalia.

In Somalia, rimase a lavorare, fino al termine della prima guerra mondiale, terminata la sua attività, in terra d’Africa, ritornò in Italia, per poi ripartire nuovamente, destinazione l’America del Sud, in Argentina, dove a Buenos Aires, con il fratello Vincenzo, nella zona portuale, la più malfamata della città, aprirono un locale, il bar Armassin.

Ritornato, per un breve soggiorno, in Italia nel 1919, quando era in procinto di ripartire per l’Argentina, accompagnato dalla moglie Anita e dal figlioletto Andrea, giunse la tragica notizia, della morte del fratello, ucciso dal terzo socio, di origine turca, che si impossessò di tutti i beni dei fratelli Bruzzone.

Terminò così, in modo tragico la parentesi sudamericana.

Dalla parte opposta del mondo, in Somalia, negli anni 20 del secolo scorso, arrivò, dopo le delusioni e le umiliazioni, patite durante e al termine della prima guerra mondiale, Luigi Amedeo d’Aosta il Duca degli Abruzzi in dissenso con la casa reale dei Savoia.

Nel paese del Corno d’Africa, serviva creare nuove infrastrutture, a servizio del costruendo villaggio del Duca degli Abruzzi, la mano d’opera non mancava, ma erano necessari per l’esecuzione di grandi opere civili, chi sapeva fare i mestieri specializzati come quello di Antonio Bruzzone.

Antonio era già stato in Somalia e ora c’era una nuova opportunità di lavoro, con la prospettiva di essere alle dipendenze del Duca degli Abruzzi, molto conosciuto nella nostra città, con l’eco delle sue avventurose spedizioni, divulgate dai racconti dei nostri concittadini, che erano imbarcati sulla motonave Liguria, che circumnavigò il globo terreste e sulla Stella Polare, per la conquista del polo nord.

Guardando le foto, istantanee in bianco e nero, che il passar del tempo ha sbiadito e colorato come la carta seppia, si percepiscono i grandi spazi, della terra d’Africa, gli straordinari spettacoli di quella natura, così diversa lontana e poi quell’umanità di persone semplici e sempre sorridenti.

Forse è questa realtà, immortalata nelle foto, l’origine di quella nostalgia chiamata mal d’Africa, che pervade chi, in quella terra, ha vissuto, un periodo della propria vita, per lavoro o altro.

Sensazioni impossibili da descrivere, chi me ne ha parlato, è un uomo come Antonio, come lui viaggiatore e lavoratore, è stato alcune volte in Africa, per poi restarvi fino allo scoppio di una sanguinosa guerra civile, quando a tutti gli europei che erano in quella nazione, fu consigliato di abbandonare il paese.

Lui, oramai avanti con l’età, non ritornerà più in Africa, ma la sua nostalgia è tanta ed emerge nei suoi racconti, di quella lontana terra, con i suoi colori, suoni, odori.

In Somalia, Antonio, lavorò alla costruzione della prima ferrovia somala, alle infrastrutture idriche, con la costruzione di una diga e di un ponte, sul fiume Uebi Scebeli.

Le sue capacità tecniche, furono determinanti per l’edificazione del villaggio, fondato dal Duca degli Abruzzi nel 1920, chiamata Villabruzzi città somala capitale della regione dello Scebeli.

Negli anni 30, questo villaggio, ospitò alcune migliaia di coloni italiani e diventò il centro agricolo principale della Somalia.

Tra Antonio e Luigi Amedeo di Savoia, si instaurò un rapporto di reciproca stima e fiducia.

In Somalia Antonio, perse un altro fratello, Giuseppe deceduto nel 1922.

Il Duca degli Abruzzi creò una grande azienda agricola sulle rive del Uebi Scebeli.

Qui dette origine alla SAIS Società Agricola Italo Somala, un grande complesso agro industriale, collegato a Mogadiscio, la capitale, da una linea ferroviaria.

Fu costruito un ponte e uno sbarramento sullo Scebeli e una rete di canali per irrigazione di circa 800 km.

Il Duca degli Abruzzi, fu l’artefice, di queste grandi opere, dove era impiegata la popolazione locale, tutelata da un nuovo contratto di lavoro, basato sulla compartecipazione, ogni famiglia somala, che si insediava in questa area, aveva diritto ad un podere, bonificato e irrigato, che doveva essere coltivato a metà, con colture alimentari destinate al coltivatore diretto e l’altra metà, a colture industriali, cotone e sesamo, che spettavano alla SAIS.

Non furono sempre idilliaci, i rapporti con la popolazione locale, specie a seguito di eventi naturali, quando ci fu un’esondazione che distrusse alcune opere idrauliche, poi una epidemia di peste seguita da un periodo di cattivi raccolti.

L’instaurazione del regime fascista, nel Corno d’Africa, pose fine a quel metodo lavorativo, basato sulla reciproca fiducia.

I rapporti del Duca degli Abruzzi, con casa Savoia, si inasprirono ancor più, quando fu resa pubblica, la relazione del nobile, con una giovane principessa somala, Faduma Alì.

Colpito da un male incurabile, il Duca degli Abruzzi, trascorse alcuni mesi per cure in Italia, ma volle ritornare a fine vita, nella sua Somalia, qualche mese prima di morire, pronunciò la famosa frase, il 7 febbraio del 1933, prima di partire da Napoli per l’Africa“Preferisco che intorno alla mia tomba s’intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati”

Il Duca degli Abruzzi, morì il 18 marzo 1933, ai suoi funerali furono presenti moltissime persone e in seguito presso la sua tomba i somali si recavano per gratitudine, in pellegrinaggio.

Antonio e il gozzo da lui costruito

Antonio Bruzzone ritornò in Italia dove trovò impiego presso i Cantieri Baglietto come maestro d’ascia.

La pesca grande passione di Antonio

Antonio e Anita nella loro casa a Varazze affacciata sul mare

Il nipote di Antonio Bruzzone, ha lo stesso nome del nonno, nella foto lo vediamo con i genitori davanti alla vetrina di Mumitta

In Somalia già ai tempi del Duca degli Abruzzi, con l’arrivo del regime fascista, erano cambiati i rapporti con le popolazioni locali, i somali furono trattati alla stregua di un’etnia inferiore, sottomessi alla razza italica, alcuni di loro furono deportati come bestie, per far divertire i visitatori degli zoo a Roma e a Napoli.

Nel 1976 il governo somalo, si oppose alla traslazione delle spoglie in Italia, con la motivazione che il Duca degli Abruzzi, era parte della storia, della Somalia.

Nel 2006 i ribelli somali distrussero ciò che restava di Villabruzzi e tutte le testimonianze del colonialismo italiano compresa la tomba di Luigi Amedeo di Savoia disperdendone i resti

E’ probabile, che nessuno di loro, fosse a conoscenza della storia, di quello che stavano per distruggere per sempre.

Oggi, dopo varie vicissitudini, guerre, colpi di stato, cambi di regime, nel tormentato Corno d’Africa di quelle grandi opere, costruite anche con l’apporto dei nostri concittadini, non resta più nulla.

Per approfondire il seg. link https://italiacoloniale.com/…/ritratto-e-storia-del…/

Sono diversi, i nostri concittadini, che hanno condiviso con il Duca degli Abruzzi, un pezzo della loro vita lavorativa o partecipato alle sue esplorazioni. La più famosa fu senz’altro nel 1900, la spedizione al polo nord con la Stella Polare, fra le persone che raggiunsero la latitudine più a nord dell’epoca, c’era un nostro concittadino Simone Canepa u Tagan.

A questo link il mio post: Simone Canepa https://www.facebook.com/search/posts/?q=simone%20canepa

Nel 1904 ci fu lo storico incontro a Penang in Malesia, fra il Duca degli Abruzzi e un altro avventuroso esploratore, il varazzino GB Cerruti, re dei Sakai e forse a questo incontro c’era anche il Mandarino Gaggi-in-hi al secolo Giovanni Gaggino che fece fortuna in Cina.

Tra il 1902 e il 1904 il Duca d’Abruzzi, compì la sua terza circumnavigazione del globo a bordo della regia nave Liguria, facenti parte dell’equipaggio c’erano tre nostri concittadini, Agostino Bozzano, meccanico di bordo, Paolo Spotorno (U Lucciu) fuochista, in servizio di leva c’era un altro nostro compaeano, di cui non abbiamo memoria, forse un ravanetto o un siaulè.

Agostino Bozzano, al termine della prima guerra mondiale, segui il Duca, in terra d’Africa, dove diventò famoso, per aver riposizionato, i particolari, arrivati smontati di una locomotiva a vapore per il primo treno che collaudava la linea ferrata fatta costruire dal Luigi Amedeo di Savoia.

A questo link il mio post Il Duca degli Abruzzi, il Re dei Sakai e il Mandarino Gaggi-in-hi. https://www.facebook.com/search/posts/?q=il%20duca%20degli%20abruzzi

Altri varazzini in terra d’Africa, Giovanni Cerruti, Giuranin, della famiglia Cerruti du Buggia (dal nome di un rione in località Parasio), classe 1904, era conosciuto anche come l’African perché lui, prima caretè e poi autista di camion, nel 1936 raggiunse, nell’allora colonia italiana di Somalia, il gemello Giuseppe e l’altro fratello, Giacomo, proprietari di una piantagione di banani, gestori di un’officina e di un cinema a Mogadiscio. Nel 1941, a seguito della conquista della Somalia da parte degli inglesi, molti italiani furono fatti prigionieri e internati in campi di concentramento: Giuranin fu uno di loro. Era in Kenya, forse proprio nel campo 354 a Naniukyda, da cui il 24 gennaio del 1943 un gruppo di prigionieri italiani si allontanò, per scalare il monte Kenya: l’avventura fu raccontata in un libro da Felice Benuzzi, “Fuga sul Kenya” uno dei protagonisti di quella scalata che piantarono sulla vetta una bandiera italiana

Al seguente link la vita di Amedeo d’Aosta Duca degli Abruzzi.https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Amedeo_di_Savoia-Aosta

L’ album di buona fattura rilegato in pelle con effige e finiture in cuoio

Ho il privilegio di sfogliare le pagine del bellissimo album fotografico di Antonio Bruzzone, che ha tramandato tramite le foto, la storia del suo periodo lavorativo in Somalia.

Queste foto hanno una preziosa particolarità, nel retro di ogni istantanea con buona calligrafia è annotata la data, nomi, descrizioni, brevi racconti e stati d’animo, di chi lontano da casa si rivolge ai suoi cari.

La bisnipote, Maria Teresa Bruzzone, che ringrazio per avermi fatto conoscere la storia di Antonio Bruzzone, ha avuto cura delle memorie visive e scritte di suo bisnonno, e suo il merito, di aver trascritto a lato di ogni foto, lo scritto presente sul retro delle foto.

Ho tratto, le notizie della vita di Antonio Bruzzone, dalla bella biografia, contenuta nella Tesi di Diploma, scritta da Alessandro Spirito, che ha lodevolmente ricostruito, parte della storia famigliare, partendo da questo album di fotografie e da altri oggetti, contenuti in un cassone, appartenuto al suo trisavolo Antonio Bruzzone

Prefazione della biografia di Antonio Bruzzone a cura di Alessandro Spirito.

Nelle prime foto dell’album ci sono le foto di famiglia.

Antonio Bruzzone con il padre Giuseppe Bruzzone

La madre di Antonio Maria Parodi

La famiglia di Antonio Bruzzone con la moglie Anita Vernazza e il figlio Andrea

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