Nie de Figgi e Tantu Freidu

S.Pietro d’Olba

Nel post ho inserito parole dialettali in zeneise, che nulla hanno a che vedere con il Lurbasco.

Figli arrivati come conigli, canta De Gregori, nel suo bellissimo brano Generale.

Un anno, un mese e un giorno, è lo spazio temporale, che passa, tra il primogenito e il secondo arrivato di quella nia de figgi, di una famiglia di contadini negli anni 30, in tutto tre fratelli e tre sorelle, figgiò da tio’ sciu’ da accudire, in quel territorio, denominato il Lurbasco.

Quando la madre fu in pericolo di vita, a seguito di un parto difficile, il primo arrivato ad un anno d’età, fu accudito dalla nonna e dalle sue lalle, le zie, in un’altra casa, distante da quella materna e lì rimase con loro, fino alla maggiore età, quando fu chiamato per il servizio militare

Questa è solo una, delle tante storie, raccontate da chi è nato, negli anni trenta, nel nostro entroterra, molte di queste storie di vita, non sono state tramandate e sono state perse per sempre, altre fra quelle conosciute, sono da ammirare, sopratutto se confrontate con la nostra realtà, quando possiamo permetterci il lusso di sprecar del cibo.

Sono state le grandi famiglie contadine, il vero baluardo di questi insediamenti umani, al limite della sopravvivenza, unite nel prestare aiuto e nel riuscire a mettere in tavola, almeno un piatto ogni giorno, per tutti.

Ricordi di lunghi inverni, da essere ben ingiarmè, ben vestiti, tanta neve da scaricare dal tetto di casa per scongiurare lo sfondamento delle caprià, le capriate.

Il pozzo ghiacciava e allora non restava che la neve, da raccogliere con il bugiò, il secchio e da far scioglier sul fuoco, per bere e per riempire quelle pance sempre vuote e poi tanto freddo, si andava a letto vestiti, avvolti da lenzuola e coperte gelide, non tutti avevano un preve, ovvero uno scaldaletto.

Impossibile lavare e far asciugare a roba da vestì, gli indumenti.

Non c’erano i servizi in casa, i più fortunati, avevano solo un rubinetto nel lavello della cucina, acqua deviata da qualche ruscello che scorreva lì vicino, ma con il gelo non usciva niente dal brunsin, il rubinetto.

I bisogni corporali, in estate e inverno, erano espletati in una baracca in legno, staccata dalla casa, quattro tavole, per un minimo di intimità, ma dentro solo una turca, collocata nei pressi della letamaia era un ambiente ostico, per la presenza di insetti e olezzo nella stagione calda e molto disagevole d’inverno. Comunque in casa, sotto al letto c’era sempre pronto l’oinà, il vaso da notte!

Servivano decine di quintali di legna, ma quella fortunatamente, non mancava ed era l’unica risorsa a cui aggrapparsi, per restare vivi in quelle vallate, c’erano comunque delle scorte alimentari, farina fave e fagioli secchi, le galline per le uova e magari una mucca da mungere e che emanava caldo verso il tavolame del pavimento di casa.

Le strade d’inverno erano tutte impraticabili, solo quelle di fondovalle, erano ripulite tramite un traino animale che trascinava u legnu, una specie di sgombraneve, ma non le strade secondarie, quelle che arrivavano nelle case più sperdute, quelle erano solo utilizzate per grossi carichi e nella bella stagione.

Se le cose da trasportare, non erano eccessivamente pesanti e comunque per ogni altra evenienza, allora si faceva sempre uso degli innumerevoli sentieri ben tracciati dal sovente uso, si scollinava a piedi passando per bricchi e boschi attraversando i corsi d’acqua su instabili passerelle.

Molte abitazioni, avevano la stalla al pianterreno, dove erano ricoverati gli animali, un paio di mucche e la pecora incinta dell’agnello di Pasqua, qui razzolavano e facevano le uova, le galline e se c’era un gallo o galline da brodo, allora doveva ancora arrivare il Santo Natale, c’erano anche i conigli, ma almeno loro sembrava che sapessero perché erano lì, per essere scuoiati, cotti in umido, per fare il sugo e allora si nascondevano dietro alle tavole accatastate nella stalla, e tremavano ogni volta che si apriva la porta e vedevano arrivare un cristiano.

foto tratte dalla pagina Faceebook del Museo del Bosco

Lascia un commento