di John Ratto

Sbrigate le pratiche burocratiche, partimmo per andare alla stazione ferroviaria, ma di questo tragitto, stranamente non ho ricordo.
Sul treno, all’ora di cena, ho scoperto che cosa erano i tramezzini, la pizza già la conoscevo per averla mangiata sulla nave.
Era un altro modo di mangiare una cosa nuova e strana, per chi come me era abituato a mangiare, pane e burro, tutto fatto in casa, come anche le acciughe e l’aglio che era nell’orto.
Il treno viaggiava in direzione dell’ovest, degli Stati Uniti e la California era la destinazione finale.

Ricordo l’arrivo a Chicago, una cosa strana per un montanaro come me che fino ad allora, il viaggio più lungo effettuato, era essere stato a Genova.
Nella stazione di Chicago, incontrammo un altro italiano e anche lui fu attratto dal nostro aspetto e chiese se avevamo bisogno di qualche cosa, noi rispondemmo con una richiesta di cibo, possibilmente italiano, ma non potevamo pagare in dollari.
Lui rispose che assolutamente non c’era alcun problema, perché conosceva un ristorante, gestito da italiani, che accettavano in pagamento anche le lire e così, per la prima volta, dopo tre giorni, riuscimmo a fare un pasto decente.
Ma risaliti sul treno, ecco i soliti tramezzini di prosciutto cotto, tonno e marmellata, per i minorenni, niente bevande alcoliche, solo coca cola e bibite, latte e acqua, per gli adulti c’erano la birra e liquori.

Ricordo quei strani quei paesaggi, attraversati dal treno, quello che più mi fecero impressione, erano i grandi cimiteri di carcasse d’auto e le mandrie di mucche in mezzo a quelle sterminate pianure.
Una cosa stranissima successe, quando arrivati a Denver, il treno fu fatto transitare sotto un gigantesco treno lavaggio, una prassi obbligatoria, perché l’attraversamento delle montagne rocciose, con il locomotore diesel aveva annerito di fuliggine tuti i vagoni.
Il 12 novembre del 1954, arrivammo a Oakland, c’era molta gente, persone a me quasi tutte sconosciute, ad aspettarci, riconobbi solo mio cugino Baci, a cui ero molto affezionato, da quando lui e sua madre vennero in Italia nel 1949 e vi rimasero per 9 mesi.

Mi fecero grande impressione tutte quelle grandi auto, tirate a lucido e con il cambio automatico, ricordo quella dello zio Beppin, era l’ultimo modello, dotato di occhio magico, un aggeggio, che abbassava gli abbaglianti, automaticamente, quando si avvicinava un’auto che procedeva in senso opposto.
Come le auto, anche le case erano enormi, avevano 3 o 4 camere da letto, locali da bagno enormi, con l’acqua calda e per me ragazzo montanaro erano grandi comodità.
Ma là in America, quando si fa notte e si spengono le luci, ecco che allora arriva sempre la malinconia di casa
