Ferraciun

C è qualcosa di umano, in questi oggetti di uso comune, ma degradati a rottame ferroso e destinati allo smaltimento.

Le sedie, chissà quante parole quante “balle” avranno ascoltato da chi ci stava seduto sopra magari in un bar o un’osteria e le parole esagerate e le risate erano la normale conseguenza dello stare in compagnia.

E quella carretta da “massachen” ancora capace di contenere “pastuin de caasina” preparata e trasportata da u “boccia du massacan” che era sul ponteggio a intonacare il muro .

E chissà quante ore sono passate, in sella a quelle bici, usate per gli spostamenti cittadini o per recarsi al lavoro, quando a Varazze c’era pane per tutti, cantieri, cotonificio, conceria in primis, e poi le tante altre manifatture specie sciu da Teiru.

In bicicletta anche per qualche giro domenicale, piu facile in direzione di Savona, raggiunta, superando l’unica salita, con una bella rincorsa, appena fatta la curva dell’Aspera, per superare di slancio, Punta dell’Olmo

Verso Cogoleto o Arenzano, era più faticoso, bisognava arrivare ai Piani d’Invrea, fare la discesa insidiosa del Portigliolo e poi uno strappo in salita, per arrivare a Puntabella .

Era dura anche risalire la valle Teiro, con la bici senza cambio di velocità su tratti di strada sterrata.

Chi abitava oltre Giovo, costretto per lavoro a “vegni’ a Vase” faceva il tragitto monti – mare, almeno due volte la settimana.

Uno di questi zuenotti, era mio papà, che lavorava nel mobilificio Lapes, conosceva bene, quella strada, ancora non asfaltata, piena di buche, pronta a trasformarsi in un pantano a seguito di una pioggia.

Avevano vent’anni nelle gambe! Niente li fermava, lui con altri amici e colleghi, affrontavano, i tornanti in salita del Giovo, a volte, facendosi trainare dai camion che transitavano da lì, in direzione della pianura padana.

Mio papà mi raccontava, di era attrezzato con tanto di gancio, per arpionare il paraurti delle auto e gli autisti o i proprietari dei mezzi, sempre ben disposti, per alleviare la fatica di quei giovanotti.

Altri tempi, non esisteva la frenesia moderna e c’era il tutto il tempo di rallentare un po’ il mezzo e lasciarsi “abbordare” da quei giovani scalatori e magari scambiar due parole con loro, prima della spianata, in direzione del Sassellese.

Mio papà mi raccontò di una fatto a lui capitato.

Nello zaino, che portava sulle spalle per il viaggio verso “Vase” insieme ad altre cose, trasportava anche un bel pacco d’uova, prodotte dalle ruspanti galline del sassellese, ma sfortunatamente, un’accidentale caduta, appena passato l’abitato di S.Giustina, provocò la rottura delle uova contenute nello zaino.

Oggi nella nostra opulenza e spreco, quelle uova spappolate, sarebbero destinate all’umido e li gettate insieme a qualche imprecazione, ma erano altri tempi e quella poltiglia liberata dai pezzi di guscio, diventò una bella frittata, cotta grazie alla gentile disponibilità di una donna del luogo e divenne la cena che consumò mio papà quella sera.

foto in b/n dal Web e Archivio Fotografico Varagine

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