
In tu Pasciu, a ghe sempre steta na bitega du pan.In sta fotu di anni 30, un figgio’ cuntentu, cun un cagnettu, sligo’ da so cadena e cun un belu toccu de figassa in man! Au barcun da bitega g’han missu u scuu. Dere’ au figgio’ ghe na corba pe u pan e na cascetta pe a verdua. In tu mesu de sta bela fotu, l ‘umbra du mattatoiu, che u nu ghe ciu’.In fundu u ghe n’ommu, seto’ in se na posa a piggiou u su, du doppupransu, in te un postu che ou ciamma u Ciou.
Il toponimo, Parasio, in zeneise, Pasciu o Parasciu, deriva dal romano Palatium, con il significato di torre, fortezza. Una campagna di scavi archeologici, ha evidenziato sul colle di S.Donato, un insediamento romano.
Anche se, non sempre è possibile tradurre i toponimi, per curiosità, dai dizionari Zeneise – Italiano, emergono altre definizioni, Paraxo, palazzo mentre invece se traduciamo Pasciu, pasciun, diventa lunga predica religiosa!
Molto utile, la bella pubblicazione “Toponimi del Comune di Varazze” edito dalla Società Savonese di Storia Patria, a cura di Ernesto e Renato Arri, Furio Ciciliot e Francesco Murialdo, quest’opera è anche un caro ricordo del compianto Mario Damele, che ha collaborato nella ricerca storica dei toponimi.
Con le cartine topografiche allegate, possiamo dare un nome ai confini du Pasciu.

Bocino, (Bosin) Contrada Bussi, (i Busci), la Soria, (u Suia), il Balietis, (Baglietto o i Bagetti) Sancti Michaelis ( l’attuale colle di S.Donato) la contrada Tirri, ( dau Muin a Vapure) (iI Tirri era probabilmente primo nucleo abitativo di Varazze) e Via Bianca ( l’antica via romana seguiva l’attuale percorso della via Bianca e arrivava sul colle, per poi proseguire, scendendo verso il borgo Tirri)
La località Parasio, non è presente nella sopracitata pubblicazione toponomastica, di epoca medievale.


Il nostro mondo da bambini, era tutto lì, “dove il Teiro compie l’ultima curva intorno al Colle di S.Donato” ( cit.” Olio di Oliva e Cotone) per poi scorrere diritto verso il mare
U Pasciu, S.Dunò,ecc. m’han vistu figgiò, con i amisci, a scurratò in ti boschi, zugò in ta sciumea e a tiò dui casci a un balun sgunfiu, dau campusantu vegiu.

In questo sciu da Teiru, in tu Pasciu, c’erano molte attività, appena oltrepassata la salita du Puntin, a sinistra il grande edificio del Mattatoio Pubblico a destra la rivendita di alimentari e di sfusi dei Berio, proseguendo il bar trattoria della Besestra, dirimpettaia la Fonderia F.lli Granone, già Cantieri Baglietto, dove erano assemblati i Mas. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel tentativo di colpire la fabbrica dei Mas, fu sganciato dagli alleati, un grappolo di bombe, alcune esplosero, senza colpire l’obiettivo e alcune di quelle inesplose, sono state ritrovate, durante dei lavori di rifacimento del muro di sostegno della strada, eroso a seguito del disastroso nubifragio del4 ottobre 2010.

Oltrepassata la stazione di trasformazione ENEL, c’era il frantoio di inerti, dei Cerruti, i Bin, con il deposito di ghiaie, parcheggi mezzi d’opera, automezzi e officina

Si oltrepassava il Teiro sopra u Punte du Rissulin, un’infrastruttura mal concepita, che era un costante pericolo, ad ogni piena del Teiro, l’impalcato faceva da diga a tronchi e ogni cosa che trasportava il fiume, facendolo esondare, allagando così le zone circostanti.

Se non era il ponte, a far esondare il Teiro ci pensava più a monte, il Turtaiò de Gambun.

Rissulin, era il soprannome di Bartolomeo Perata, che in sponda destra del fiume aveva una segheria alimentata dal beo de Gambun.
Questa era la più grande segheria, azionata ad energia idraulica, del sciu da Teiru, vi lavoravano negli anni 30, circa dieci persone e nel periodo estivo, altrettanti ragazzi, per fabbricare le cassette in legno, per la frutta
A monte, fu costruito un’altro impianto idraulico e un capannone, dove furono trasferiti i macchinari principali della segheria dei Perata.
I vecchi impianti, dismessi furono dati in gestione ai Cerruti Saturnin, che vi fabbricavano i riccioli di legno per imballaggi, questa segheria fu poi venduta ai Dondo.
La zona in sponda destra, dove erano questi opifici, è detta dei Busci, con la soprastante omonima rocca, già cava di pietre.
L’ultimo opificio, alimentato dal beo de Gambun, azionava i macchinari di una piccola cartiera dei Cerruti poi Bossano di Voltri.
La cartiera fu poi acquistato da Gerolamo Delfino, il Fideà che la trasformò in molino e pastificio.
Il beo de Gambun alla fine del suo percorso, riempiva una peschea che tramite na sigogna, irrigava gli orti della Suia.
L’acqua, ritornava in Teiro per alimentare un’altro beo.

In questa zona, A Ciusa da Besestra sbarrava il fiume

In sponda sinistra, si dipartiva, dalla Ciusa da Besestra, il beo più lungo del sciu da Teiro, che alimentava tutti i restanti opifici dell’asta del Teiro, fino ad arrivare al mulino di Valle, Pantellin, presso la chiesa dell’Assunta. Con due diramazioni, il beo, irrigava gli orti da Caminà e quelli da Lomellina.
Notevole, la concentrazione di opifici, nella zona denominata Muin a Vapure, in questa manifattura, azionata da una macchina a vapore, si macinavano cereali e cortecce per colorifici, non si hanno altre informazioni su questo insediamento industriale, oggi ci resta il bell’edificio, con la sua ciminiera storta, sull’intonaco esterno, qualche anno fa era ancora leggibile, la scritta 1884, l’anno di costruzione.

Negli altri edifici, oggi archeologia industriale, si faceva un pò di tutto

C’era anche una zona, destinata alle coltivazioni, gli Orti du Gnarin.

Negli opifici dei Berio si estraeva l’olio dalle sanse. C’era anche chi faceva il sapone tipo marsiglia.

Si lavavano i stracci unti di grasso nell’impianto dei Righetti, per estrarre un olio lubrificante. Si costruivano imbarcazioni e non mancava una stalla per mucche da latte e un allevamento di maiali.

In tempi più recenti, sempre nella zona del Mulino a Vapore, c’era l’officina meccanica Toso, specializzata nella costruzione delle ruote idrauliche e i vari meccanismi per mulini frantoi cartiere del sciu da Teiru.
I fratelli Regnasco, marmisti avevano il loro laboratorio, U Pantellin la stalla per il suo cavallo, e poi c’era il grande deposito di rottami ferrosi di Alessandro Risso u Penolle.
Quando cessarono le attività lavorative, alcuni edifici, furono riadattati e adibiti ad abitazione.

U Muin Vegiu, oggi è l’ultima testimonianza rimasta a Varazze, di un passato laborioso, dove il lavoro e l’ingegno dei nostri concittadini, dava prosperità e vitalità al nostro territorio.

Gli edifici, compongono un suggestivo villaggio, fagocitato dalle piante

Ricordi da bambino, quando anche da lontano, s’udiva il rumore delle più diverse attività, qui tutte concentrate. Oggi regna il silenzio e il degrado di questi edifici, destinati alla rovina.
Mi chiedo, come è stato possibile, imporre delle scelte politiche, in una città da sempre laboriosa e capace di creare molti posti di lavoro, come era Varazze, scelte sbagliate, che hanno azzerato la manifattura nella nostra città.
foto Archivio Fotografico Varagine
