U Desertu

L’Eremo del Deserto

03 novembre 2020

Passò u Rian de Prialunga, si arriva nella bella zona terrazzata de Bosan, all’inizio del tratto in discesa, si erge il poderoso sbarramento murario, dell’Eremo del Deserto.

Appena oltrepassato il varco, alla nostra sinistra la località della Scassarina, con i resti dell’invaso di una peschea, una fontana e un monumento, che ricorda l’inizio della vita eremitica in questo luogo sacro, avvenuta il 25 marzo del 1616.

Un’altra data, connota questo luogo, è quella del 26 luglio del 1944, festa di S. Anna, quando un reparto, di tedeschi e camice nere, alla ricerca di partigiani obbligò, con la minaccia delle armi, un gruppo di persone, convenute per celebrare la festa, ad entrare nella vasca, tenendole in ostaggio, mentre tedeschi e fascisti, effettuavano il rastrellamento nel bosco soprastante.

Questo triste episodio avvenuto in un luogo di culto è presente nel post di Facebook Beneitu u Cuin-a n°1

L’Eremo del Deserto, un baluardo di meditazione, lontano dalle tentazioni dalla malvagità e cose terrene degli uomini!

Questo è stato per decenni la nomea di questo luogo.

I Deserti furono un’istituzione dove si praticava la vita eremitica, primo fondamento dell’Ordine Carmelitano.

Con i soldi delle questue, agli inizi del XVII secolo, fu acquistato un terreno di proprietà di alcuni abitanti di Casanova, il comune di Varazze, donò un terreno da pascolo e così ebbe iniziò la costruzione del cenobio, che fu inaugurato il 16 luglio 1618.

Negli anni che seguirono, il complesso fu notevolmente ingrandito a seguito delle donazioni di facoltose famiglie genovesi.

Per decreto di un papa, i luoghi abitati da eremiti, dovevano essere completamente recintati con un muro, una barriera tra la vita nel peccato e l’ascetismo!

Quel grande recinto sorvegliato da guardie, al soldo del clero impediva l’accesso a chi non era gradito, teneva lontano il popolo, i curiosi, e chi voleva introdursi per rubare i prodotti della terra.

Le mura del Deserto sono lunghe 3448 metri, alte in media 2,50 e spesse 0,50, a intervalli regolari, una feritoia fra le pietre permetteva di vedere fuori dalla muraglia, due erano i varchi in corrispondenza della strada, una terza apertura verso le zone boschive del Sciguellu, era chiusa dalla famosa ” Porta de Feru”

Fu un lavoro immenso, che impiegò, per alcuni anni, molta mano d’opera, braccianti cavatori e muratori, provenienti dai paesi limitrofi.

Anche in questo caso, si conoscon le vite dei Santi, ma nulla si sa di quella moltitudine di persone, che si spaccarono la schiena, per edificare un’inutile barriera. Per che cosa, per isolare una comunità di religiosi, dal resto dell’umanità, quella dei comuni mortali, destinati a far vita grama già dal primo vagito?

Le mura, oggi in parte dirute, sono impressionanti, specie quelle costruite lungo il corso del torrente Malanotte.

La calce, era fornita, dalla vicina Cogolitus, i mattoni erano cotti nella fornace in località Costata, poco distante, sulla direttrice di Beffadosso/S.Giacomo, nella valle dell’Arenon.

La giornata dell’eremita, trascorreva nella preghiera, meditazione e nello studio dei testi sacri, i novizi carmelitani, restavano in questa struttura per un anno, effettuando solo piccoli lavoretti.

Il Profeta Elia

Per il lavoro pesante e per la conduzione materiale dell’Eremo, c’erano i frati conversi, quelli che si erano convertiti da adulti, e i contadini e braccianti al soldo dei frati.

Solo alla domenica o nelle festività erano concessi gli incontri fra i religiosi.

Allora tutti i frati, si radunavano intorno al loro priore, nelle ricreazioni spirituali, nella stagione fredda all’ interno dell’Eremo, e quando la temperatura lo permetteva, il luogo convenuto era lungo la passeggiata della sorgente di Elia. In questo momento conviviale, si discuteva di un tema religioso a caso, trattato da uno dei novizi, queste discussioni portavano poi a redigere una bozza di testo, che era poi trascritta e verbalizzata da un frate, che fungeva da segretario.

I testi di queste “Collationi Spirituali” sono conservati, in sette grandi volumi conservati nell’archivio del convento del Monte Carmelo a Loano.

Si preparavano, in questo modo i nuovi divulgatori della parola di Dio, se richiesto erano capaci di discutere ogni dogma della cristianità, ma quale domanda poteva esser proferita da un popolo di sudditi timorosi della potenza della Chiesa?

Oltre al corpo centrale, furono costruiti gli eremitaggi.

Erano sette i Romitori, sparsi nel territorio dell’Eremo, piccole costruzioni che comprendevano a pian terreno, una cappella, con attigua una piccola sacrestia, tramite una scaletta si accedeva al piano superiore, dove c’erano le due le stanzette per il frate, un ripostiglio, per le sue cose, era ricavato nel sottotetto, completava l’edificio un campanile detto “a vela” dove era alloggiata la campanella dell’eremita.

La campana era utilizzata per lo scandire delle preghiere, ma anche per annunciare un pericolo imminente o una richiesta di aiuto.

Circolavano alcune dicerie di frati licenziosi, ma restano senza fondamento, anche le storie di abusi a danno dei novizi e di chi raccontava di aver udito le campane dei romitori, suonar di notte.

Oggi di quei sette Romitori solo due sono ancora funzionali, i restanti sono solo ruderi, semisepolti dai rovi, fagocitati dalla natura, di alcuni non restano che le pietre sparse nella radura, dove un tempo si ergevano queste casupole, oggi con la ricerca di nuove forme di ascetismo, se affittate, farebbero la fortuna dell’Eremo!

Il vecchio libricino da me consultato “Cenni Storici sul deserto di Varazze” scrive degli effetti deleteri della Rivoluzione Francese, che contaminarono tutta l’Europa…….La Repubblica Genovese, cadde sotto il dominio della Repubblica di Francia, uno di questi “decreti eversivi” imponeva l’incameramento dei beni ecclesiastici e a seguito questa “ventata di rivoluzione” gli eremiti furono dispersi.

L’appoggio della Chiesa, per la Santa Alleanza, contro i francesi fu totale, a riprova di questo, erano le campane di tutte le chiese, chiamate a suonare a martello, quando l’esercito Austro Piemontese attaccava le postazioni dei transalpini o per avvisare della presenza di francesi .

La storia la conosciamo, Napoleone fu sconfitto, con grande sollievo del papa e delle monarchie d’Europa.

Ma alcuni beni della Chiesa, incamerati dalla Repubblica di Genova, furono ceduti ai privati.

E così accadde per l’Eremo del Deserto.

Nel 1920, dopo sessant’anni di abbandono, l’Eremo fu riacquistato dalla Chiesa e divenne di proprietà dell’Ordine Carmelitano, oggi fa parte della Diocesi di Savona.

La barca donata all’Eremo da Giovanni Briasco

Andare al Deserto per chi come me era bambino negli anni 60/70, voleva dire in primis, la grande vasca, con i tanti pesci rossi, le carpe e qualche tinca, bastava buttar anche solo una foglia a pelo d’acqua e subito arrivavano branchi di piccoli pesci che si disperdevano all’arrivo dei pesci più grandi.

L’invaso era la riserva di pesce, ad uso culinario dei frati, ma con il favore del buio non mancavano i pescatori di frodo.

L’acqua, pur avendo sempre un buon ricambio con l’acqua gelida dell’Arrestra, era comunque torbida e melmosa e non si vedeva il fondo, le nostre mamme erano sempre in ansia quando il loro figlioletto si trovava al cospetto di quei pescioloni.

Nel biennio 1988/90 grazie alla Divina Provvidenza ( un lascito testamentario) fu possibile ristrutturare l’intero edificio dell’Eremo e restaurare due romitori

La Chiesa, dedicata a S. Giovanni Battista è un luogo dove regna la pace e il silenzio.

Con le suggestive grandi vetrate colorate.

La navata centrale, con le belle travature in legno

In una saletta laterale il famoso crocifisso dell’Eremo del Deserto.

Questo crocifisso, in avorio, ha una storia importante, fu acquistato nel 1641, da un cavaliere portoghese a Goa in India, la nave che lo conduceva in patria fu attaccata dai pirati turchi, che lo condussero prigioniero ad Algeri, il crocifisso fu posto in una piazza per essere distrutto.

Ma le cronache del tempo, dicono che ad un certo punto, dal volto, sulle mani e nel costato, comparvero delle gocce di sangue spaventando, i mussulmani che lo stavano deridendo . Il crocifisso finì poi ad un ebreo, che lo vendette a Padre Michelangelo di Gesù, un carmelitano ligure. Il frate fu ridotto in schiavitù e anche lui tradotto in carcere ad Algeri, qui ogni notte al cospetto del crocifisso, Padre Michelangelo celebrava l’eucarestia. Il crocifisso, fu donato nel 1643 ai Carmelitani Scalzi di Genova, che lo destinarono nel 1646, al Deserto di Varazze. Quando l’ordine monastico fu soppresso ad opera di Napoleone nel 1799 il crocifisso fu preso in consegna dal convento carmelitano di Voltri, ritornò al Deserto nel 1819, per essere prelevato questa volta dalle suore carmelitane di clausura, a seguito di una seconda soppressione dell’Eremo, ad opera dei Savoia.Il crocifisso ritornò definitivamente all’Eremo del Deserto nel 1955.

In questa sala, altre opere d’arte religiosa, in un dipinto è raffigurato Padre Michelangelo

Doverosa una visita alla cripta, qui è sepolto il cardinal Anastasio Ballestrero.

In una grande teca, sono esposte le reliquie di Santi. I resti dei frati, che furono seppelliti nell’Eremo, sono contenute in recipienti di vetro.

Alcune lapidi commemorative affisse su di un muro.

Ex voto e arredi liturgici.

E’ possibile visitare l’interno dove in una saletta, sono in vendita i prodotti dell’Eremo, in una grande sala è presente la biblioteca, dove si possono consultare e fare un’ offerta, per avere uno dei molti testi religiosi esposti.

Una porta vetrata, immette nel grande chiostro interno alle mura, con una bella vista delle vicine alture che circondano l’Eremo.

L’Eremo è immerso, in un bosco di faggi centenari

Molti i nomi incisi

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