
Nel post che precede questa narrazione è raccontata la storia vera dell’elefante Abul Abbass, dono del califfo Harun Rashid, che da Bagdad, con un viaggio durato 4 anni, dal 797 a 801 dc arrivò alla corte di Carlo Magno ad Aquisgrana. L’elefante e il suo seguito, si imbarcarono a Tunisi, per l’Europa, e sbarcarono a Porto Venere, a questo punto, non si hanno notizie certe dell’ itinerario, che quella carovana intraprese, per arrivare a Vercelli…ma un’ipotesi verosimile e perché no, di fantasia, potrebbe essere quella che, invece di valicare l’Appenino con il passo della Cisa, quella spedizione si diresse, verso Genua, per poi proseguire verso ponente.
A Bestiassa
Uno strano segno, consunto dal tempo, si trova inciso, in simma a na pria scrita, una di quelle tante incisioni rupestri, disseminate sulla nostra montagna, il Beigua.
La pietra si trova ai lati di una strada che valica lo spartiacque dell’Appennino
Quel simbolo, che sembra proprio la rappresentazione schematica di un elefante, fa rivivere un episodio, accaduto in un tempo remoto, tramandato, nei racconti dei vecchi, intorno ad un fuoco, nelle fredde sere invernali, diventato una fantasia, una favola per imbambolare dei bambini e poi perso per sempre.
Chi aveva disegnato, quello strano animale, lassù in un bosco della nostra montagna?
Ottobre è il mese delle castagne, molti anni fa, la raccolta di questo frutto di bosco, era lavoro per ragazzi e bambini, come ogni anno, prima della caduta dei ricci gli spazi sotto agli alberi, dovevano essere puliti e con l’erba tagliata e se le piante di castagno, erano lungo un pendio, dovevano essere costruiti o ripristinati i piccoli muretti, atti a trattenere ricci e castagne, per non farli rotolare in basso, con il rischio che potessero sconfinare, in un’altra proprietà o peggio, per non far terminare la loro corsa, sul selciato di qualche mulattiera, a quel punto, ogni cosa perdeva il diritto di proprietà e potevano essere raccolte da viandanti, pellegrini o mangiate dagli animali, perlopiù roditori, ma anche da un’elefante……
Era un giorno, del mese di ottobre del 801 dc.
Quei ragazzini, intenti a cogge castagne sutta a e Gruppine, sarebbero stati testimoni di un evento eccezionale!
Un elefante bianco, stava arrivando da Rocca da Nusce, proveniente dal passo di Leicanà, con un codazzo di muli, e di uomini in armi, a cavallo, alcuni di loro erano in avanscoperta, per esplorare e predisporre al transito, di un pachiderma, quel tratto di mulattiera, che oggi dalla Capelletta, arriva a e Prae, Ceresa, verso gli Armuzzi e oltre, in direzione del Passo di Fo Lungo.
Chissà perché, fu scelto quell’itinerario, percorrendo la vecchia mulattiera romana, che si inerpicava sui bricchi del nostro entroterra, forse per accorciar il percorso verso u Passu du Zuvu?
O per evitare il transito di quella carovana, nel territorio del Latronorium, tana de ladruin e de taggiague?
“Che bestiassa!””Che bestiassa!” questa esclamazione, fu ripetuta all’inverosimile, da quei ragazzini, che con l’agilità che avevo anch’io tanti anni fa, si arrampicarono velocemente, sugli alberi più alti, per avere la miglior visuale.
Il pachiderma, avanzava lento, con al suo fianco na testa fasciò, aveva le zampe legate fra di loro, tramite delle catene, impossibilitato ad aumentare l’andatura, sulla fronte un drappo, con l’emblema del califfato, sopra la schiena, una stola, finemente ricamata e un basto, con sopra una cassa in legno, fissata con delle corde.
Era uso, tra chi abitava le terre alte, alle pendici del Beigua, suonare un corno di mucca, per avvisare dell’arrivo di predoni, in caso di pericolo e comunque chiedere aiuto.
E così fu, il suono di alcuni corni, echeggiò nell’aria, di quella bella giornata di metà ottobre, che volgeva al termine.
Tra non molto, il sole sarebbe scomparso, derè au Castellè e quei bambini, dovevano ritornare a casa cun e corbe pine de castagne.
Ma quella giornata, stava per diventare indimenticabile, per quella povera gente, che viveva aggrappata ai nostri bricchi.
Dopo qualche minuto, arrivarono dalle cascine stalle e boschi, gli uomini, tutti brandivano un’arma, perlopiù forconi, bastoni, asce, ma anche rudimentali spade, una dozzina di loro si erano appostati, con archi e frecce sopra un’altura.
Le avanguardie armate, di quello strano corteo, avendo già percorso buona parte dell’arco ligure, erano avvezzi a far questi incontri, con i discendenti di quelle rissose popolazioni dei Liguri, mai domi sempre pronti a difendere con le armi, il loro territorio.
Isacco, questo era il nome del capo carovana, scese dal cavallo, dimostrando così, le loro buone intenzioni.
Non si sa con quale lingua riuscirono a capirsi vicendevolmente, ma fu chiarito lo scopo di quella intrusione, senza preavviso, nel loro territorio.
Isacco raccontò di quel lungo e periglioso viaggio, iniziato anni prima, in terra di Babilonia, erano solo di passaggio, con quell’ingombrante pachiderma dono di un immaginifico califfo all’imperatore del Sacro Romano Impero.
Avrebbero gradito, pagando il giusto prezzo, in denari d’argento, del cibo per loro, l’elefante e gli altri animali da soma e srotolando una cartapecora mostrarono i sigilli di re Carlo Magno che intimava la cieca obbedienza al latore di tale documento.
In quella pergamena, stava scritto, che dovevano fornire una guida per attraversare il loro territorio ( la richiesta di una guida era un’astuta richiesta il malcapitato sarebbe stato fatto ostaggio, diventando così uno scudo umano da sacrificare in caso di agguato).
Insieme a loro, c’era un prete, con vistosi paramenti sacri, tanto per incutere un po’ del solito timor di Dio.
continua
