U Gino au Beigua

La prima auto utilitaria, che arrivò sulla cima del Monte Beigua, fu una fiat 508B, la Balilla, l’auto era di proprietà di Felicino Massa al suo fianco c’era mio papà, u Gino.

La vera conquista della vetta con mezzi meccanici fu però realizzata dalla Rai, che qualche anno prima, a partire dalla località Casermette, aveva costruito una strada fino alla vetta e altre strade per un elettrodotto.

Vennero installati nel 1952 nei pressi del Santuario Regina Pacis, due tralicci per le antenne di un ponte radio. Il primo mezzo meccanico, ad arrivare sulla vetta, proveniente da Urbe e Piampaludo, con un avventuroso percorso per bosco e seguendo le “stra da lese”, fu un Dodge, camion militare statunitense, reduce di guerra, proveniente da un campo raccolta Arar, con motore a benzina dai consumi “imbarazzanti” il mezzo era di proprietà di “Peo da Cooperativa” ovvero Pietro Ghigliazza, poi divenuto proprietario del Piccolo Ranch.

La strada sterrata era percorribile senza grossi problemi solo con trattori o con la Jeep.

Si era agli albori delle telecomunicazioni e dell’avvento delle trasmissioni televisive, iniziate nel 1954.

Nei pressi dei tralicci, sul Monte Beigua, fu edificato un presidio della RAI poi ampliato e protetto da una recinzione, dove operavano, in orario diurno, due tecnici. L’emittente di stato, aveva il problema del servizio di trasporto del suo personale, da effettuare con ogni condizione di tempo, due volte al giorno, per portare e andare a riprendere i due tecnici.

Il servizio fu affidato dopo qualche anno ai privati, in possesso di adeguati mezzi fuoristrada, tra quelli che si avvicendarono in questo servizio ci fu Firpo con la sua mitica Campagnola e poi Caviglia e figli.

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Quando si sparse la voce che la strada verso la cima del Monte Beigua era terminata, i zueni degli anni 50 si cimentarono per riuscire ad arrivare sulla vetta e immortalare la loro impresa, mettendosi in posa davanti al santuario.

Un po’ come succede oggi, quando nevica, specie nelle ore notturne, la stessa strada pullula di zueni che risalgono le pendici del nostro monte lato mare e da Piampaludo per cimentarsi con i loro mezzi fra il slittar di pneumatici derapate e testacoda, recentemente va di moda anche il toiwingsurf poi, se la strada verso Pratorotondo e oltre lo permette, il ritrovo è nel piazzale di Alberola, dove ci si può sbizzarrire con qualsiasi evoluzione.

Negli anni 70/80 le noiose serate al bar erano allietate, in caso di neve, dalle scorribande serali, verso la nostra montagna a bordo di roboanti Fiat 500 si avanzava fino a che si riusciva a far presa con le ruote, magari scendendo e spingendo la piccola auto e quando era impossibile avanzare, allora bastava scendere, girare l’auto e tornare indietro.

L’unica grande differenza la fanno i mezzi meccanici, oggi dalle svariate e sovradimensionate potenze, mezzi fuoristrada, capaci di affrontare ogni tipo di percorso, con i pneumatici idonei, dotati di ogni diavoleria tecnica dalla trazione 4×4, ridotte, differenziali autobloccanti ecc. senza poi parlare delle moderne diavolerie elettroniche, capaci se il manto di neve non è esageratamente alto, di riuscire a portare anche grossi SUV in vetta al Beigua.

Negli anni 50, invece la potenza media delle utilitarie era di una ventina di cavalli, la trazione rigorosamente ad un asse quello posteriore, quando le ruote slittavano per fango o scarsa aderenza non restava che far scendere gli occupanti dell’auto per spingere.

Mio papà mi raccontò di quell’avventura, compiuta insieme a Felicin suo datore di lavoro nel mobilificio “dau Milanin” poi denominato Lapes. Erano molto i punti critici di quella strada da superare, l’auto avanzava a fatica nello sterrato fra pietre e buche, in debito di potenza, erano costretti, quando le marce basse finivano e il motore tentava di spegnersi, far retromarcia e prendere la rincorsa, per superare la salita, ma se le ruote iniziavano a girare a vuoto, allora bisognava scendere velocemente dall’auto e a volte bastava un aiutino a spinta e si superava l’avvallamento, altrimenti era necessario spianare la strada con picco e pala per andare avanti e togliere le pietre più grandi.

Durante la salita furono costretti a fermarsi diverse volte a causa dell’ebollizione dell’acqua di raffreddamento, che con grandi sbuffi di vapore fuoriusciva dal radiatore, necessario poi il rabbocco del livello. Un’ulteriore difficoltà, fu il guado di un rio effettuato dopo una ricognizione per verificare la profondità del corso d’acqua. Arrivarono in vetta nel tardo pomeriggio di un mese di maggio, grande fu la loro soddisfazione per essere stati i primi Varazzini a bordo dell’”auto del popolo” ad arrivare a conquistare la vetta del Beigua. Peccato che di quella giornata non esistono testimonianze fotografiche.

Sul sito di Varagine Archivio Fotografico ci sono le foto, che allego a questo post, dove sono immortalati Felicin Massa insieme ad altri amici Bruno e Giovanni Boggio, Giacomo Bruzzone, Bernardo Molinari e Mirco Ferroli, che arrivarono in forze con due auto e una Balilla camioncino, almeno un paio di volte in vetta ( questo lo si deduce guardando le foto dalla presenza/assenza dei tralicci nei pressi del santuario)

La proiezione delle ombre, nella foto scattata au Cian de Pra Riundu il punto più panoramico è significativa di una permanenza in vetta nelle ore pomeridiane. Dall’abbigliamento “della domenica” con cui sono vestiti i partecipanti e dalla presenza di Ferroli, un fotografo, si intuisce che lo scopo è quello di immortalare l’impresa di un gruppo di amici che con delle utilitarie è riuscito a arriva ai 1287 metri del Beigua

Imbarazzante il confronto fra le foto ieri e oggi dove svettano almeno una trentina di tralicci e dove sono presenti circa un centinaio di emittenti con i loro ripetitori radiotelevisivi.

foto b/n Archivio Storico Varagine

Allego i seg.commenti di:

Lorenzo Vallerga

Ho memoria che il Doge (residuo bellico) ritirato ad Alessandria o ad Acqui arrivò ad Alpicella passando da Pianpaludo – probabilmente Prà Riondo – Beigua e da li fino Alpicella. Allora da poco dopo Piampaludo non c’era strada forse un sentiero o una via da leze. Il percorso molto impegnativo fu superato grazie al verricello e molte ore, leggenda racconta che consumarono uno o forse due barili di benzina.

Il mezzo, tagliato il terzo asse (ovviamente con trazione) fu ridotto a 4×4 e per molti anni fu usato come spartineve almeno fino a fine anni 70.

Questo ricordo è indiretto perché sono nato dopo gli eventi.

Antonio Ratto

Benardin da ciappa smise di usarlo come spartineve proprio per l’eccessivo consumo di benzina che da fine anni 60 il prezzo prese a salire velocemente

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