
Negli anni 60, la lingua comunemente parlata era il dialetto.
Chi in età scolare doveva cimentarsi con l’italiano, inevitabilmente, oltre agli errori di ortografia, infarciva i componimenti, con parole di chiara derivazione dialettale.
Era il Zenagliano, un vasto e divertente repertorio di parole ibride.
Il racconto che segue, descrive anche un periodo passato, vissuto dalla nostra comunità, tra devozione e vita reale.
Spero che la lettura, sia di vostro gradimento.
Componimento in bella scrittura.
“Santa Caterina è la festa della santa patrona di Varazze, scrivete come avete trascorso la giornata
Oggi è Santa Cateina, le scuole sono chiuse perché si fa festa e anche gli ommi non travaggiano.
E cosi con mia mamma papà e mia so Teresin, siamo parti da sciù da Teiru per andare alla santa messa a Santambrogiu che lungo la stradda c’era già tanta gente che camminava e passavano tante macchine le vespe e le api, mio papà giastemava e ci diceva alla mamma che era lua che si accattava una Giardinetta che se era usata, ma andava bene per andare anche alla Arpiscella dai nonni.

Mia mamma diceva che non c’erano palanche da sgreirare e poi ci aveva la vespa che era pin de ruse ma che partiva sempre.
Siamo arrivati che la ciassa era pina di gente mia mamma e mia so si sono messe il mandillo e son entre in giescia. Io sono restato in ta ciassa con mio papà che si fumava una nazionale.
A me sarebbe scampato di portare il cristu ma mio papà mi ha detto che sono come i pescou da canna e i cacciau da viscu, ma questa cosa mi nu l’ho capia.
Poi sonavano le campane che facevano volar via i cumbi e sono arrivati quelli del curteo tutti ben ingiarmati che sono sempre gli stessi a mi piasce quello che fa il diao ma anche santa Cateina e quelli che ganno la lancia.
All’inisio del curteo cera una signua meschinetta tantu brutta che tutti i bambin in brasso, si mettevano a cianse quando passava.

Poi la cascia da santa è arrivata e anche la banda suonava e tutti i cristi se mettivano a ballare e anche la cascia ballava e tutti cantavan la canzone del mare e della collina che io la so tutta-
Doppu la cascia c’erano quelli scalsi che facevano penitensa, c’erano in tanti, ciù donne che ommi, che mio papà ha ditu, chissà se ce quello che ci ha ciappato i cuniggi, a natale.
Poi la cascia la facevano entrare e sciortire dalla giescia e tutta la ciassa batteivano le mani. La festa era finia e anche i cristi li hanno tirati giù che ci volevano quattro ommi e anche mio papà ci ha dato una mano per caricarli sull’ape.
Semmo poi andeti alla fea mi mamma doveva cattare della stoffa per fa un vestio a Teresin che ci diceva che era signorina e alua si doveva trovare u galante.

Mi invece go truvou u me amigu Gianpaolo e se semmu accattati u recanissiu che l’abbiamo sussato assetati sul ponte.
Dappo’ è arrivato mio papà arraggiou che non mi trovava e mi ha dato un cascio che io non lo preso e allora mi ha dato un lerfone che mi e vegnuu da cianse.
Dapò semmu andeti a spiaggia, tanta gente era assettata e i figgiò si demoavano. Abbiamo mangiato na resta de pan, e mia mamma ci ha dato le ove da levarci la scorsa e un tocco di furmagetta.
Ho levato le scarpe e i scappin, mia mamma mi ha bragiato di stare attento au catramme ma l’ho ciapato e alua ci ho preso un lerfone dalla mamma e un cascio in tu cu da mio papà.
E u pe lo pulito con l’oio e u cutun.
Cun u me amigu Angelu, poi semmu andeti a S.Bertume’ a zugare au ballun che mi sono rigau le scarpe della festa, che quando sono arrivato a casa, ci ho preso le botte.
Però a le steta na bella festa.
foto Archivio Storico Varagine
