
Chi transita lungo i sentieri, nell’entroterra del Comune di Varazze, in alcuni punti del tragitto, si trova circondato da una vegetazione inquietante, invasiva impenetrabile…sun e brughe, queste boscaglie, da me molte volte affrontate, si presentano sotto forma di graziosi arbusti, rossi di fiori a fine estate, oppure con veri e propri alberi, con la variante denominata erica arborea, possono raggiungere i 4 o 5 metri di altezza.

Molto suggestive e fotografate, sono le praterie dell’erica in fiore del Faiallo.
In compagnia dei temibili rovi, formano piccole foreste, violate solo dai cinghiali che in questa fitta vegetazione, trovano rifugio e fanno tana.

Possiamo affermare, che lungo i pendii dei nostri monti si sta avverando, il significato del nome erica, di origine norrena, che vuol dire unica regina!
Tra cent’anni ghe saian sulu boschi de lelua e pre de brughe.
Vegetale a lenta, ma inarrestabile crescita, dal tronco contorto e con una sottile corteccia, il suo legno è ricercato da chi costruisce le pipe o mette in bella mostra le sue venature, con pregevoli manufatti di oggettistica.

Oggi, l’erica e altre specie vegetali autoctone, sono lasciate libere di colonizzare boschi e praterie, ma costituiscono un pericoloso potenziale combustibile, a riprova di questo, è stato il devastante incendio, in località Mascetti e Capieso di Cogoleto, divampato a marzo del 2019, dove a bruciare, per sette giorni, sono state le eriche e le resinose.
Questo furioso incendio, con lingue di fuoco altissime, complice il forte vento di tramontana, ha costretto all’evacuazione di alcune palazzine e alla chiusura dell’autostrada A10.

Anche le brughe, molti anni fa facevano parte dell’economia silvestre della nostra citta, che traeva dai suoi boschi, non solo le materie prime auliche, per la nobile arte dei maestri d’ascia o la legna da ardere , ma anche quelle, non meno importanti della fabbricazione di attrezzi per lo spazzamento di strade, cortili e abitazioni.
Non tutte le eriche, sono adatte per confezionare delle ramazze.
Sono due le specie, che hanno colonizzato le nostre colline.

L’ erica scoparia, che viene anche comunemente chiamata scopa femmina, mentre l’arborea è detta scopa maschio.

A Vase pe fo e spassuie de bruga se dovie a bruga femmini-na quella cun i bacchi driti, legati al manico di solito in castagno, erano lasciati seccare, in modo da assumere una posizione curva, per aver maggiore sezione pulente.
Erano molti, gli addetti a questa attività, nel comprensorio di Varazze, dove si confezionava questo prodotto, a chilometro zero.
Le scope d’erica, erano utilizzate per la pulizia, nei cortili di pertinenza delle abitazioni, negli innumerevoli pollai, presenti anche in città, nelle stalle e nei recinti animali, poi naturalmente per la pulizia delle strade, negli opifici e nelle fabbriche.
Chi invece era attrezzato, per un’abbondante raccolta di erica, indirizzava quasi tutta la sua produzione verso Genova, dove era utilizzata, per lo spazzamento pubblico delle strade e per il porto
I componenti di una famiglia di Varazze, i Bruzzone, detti i Pellegrin da Curva, erano dediti nei primi anni del secolo scorso, al commercio di ortofrutta proveniente dagli orti e frutteti da Vignetta da Cammina’ e di quella grande terrazza sul mare dei Cien d’Invrea, verso il mercato di Genova, effettuata con un carro trainato da una coppia di cavalli.
Frutta e verdura, erano caricati sopra il carro in località “a Cianna “ nei pressi dell’attuale hotel El Chico, al mattino, per poter essere pronti a partire nel primo pomeriggio, con qualsiasi condizione atmosferica , in direzione del capoluogo.
Si doveva esser presenti all’alba del giorno dopo, per l’asta, effettuata presso il mercato di corso Sardegna.
Le strade litoranee, erano sterrate, con buche, pozzanghere pietre e lo spauracchio delle salite, specie quella di Puntabella, effettuata con fatica dalle povere bestie, ma arrivati alla Colletta di Arenzano, era pronto, a intervenire a pagamento, un secondo tiro di cavalli per riuscire a superare la salita.

Con l’avvento della motorizzazione, fu acquistato un Fiat 18, residuato bellico della guerra 1915/18, con la particolarità di avere le ruote in gomma piene, si evitavano così le forature, ma erano terribili i contraccolpi delle asperità stradali, molto più forti di quelle ricevute dai carri a trazione animale.
Una delle ruote dell’autocarro, aveva subito un discreto distacco del battistrada e c’è chi ricorda il rumore che faceva quella ruota difettosa.
La famiglia Bruzzone, diversificò i suoi proventi, iniziando una nuova attività, con la raccolta dei rami di brughe, trasformate poi in scope e scopini, commercializzate sempre a Genova e usate soprattutto dai portuali, durante e al termine dello scarico di rinfuse.
La fabbricazione delle spassuie de bruga, impiegava molte persone e portava pane nelle famiglie della nostra città.
La lavorazione, era effettuata, nel pianterreno della loro casa, ma brugu o bruga è anche un termine dialettale, riferito a persone ritenute, senza finezza, brusche, incivili, villane, zoticone e quindi questo lavoro era ritenuto poco nobile in una città che aveva altre più blasonate attività, già abituata come lo è oggi, a giudicare le persone dal loro status sociale e lavorativo, e da questa discriminazione, nacque probabilmente il soprannome, dato a quella famiglia dedita a fo de spassuie de brughe, i Pellegrin da Curva.
Nuove tecnologie di costruzione delle scope, più performanti e durature di quelle de brughe, l’avvento del turismo e la conseguente chiusura di molte attività industriali, nel secondo dopoguerra, posero fine a questa attività.
E nel piano terra di quella casa dove erano fabbricate le spassuie, fu aperto il famoso Bar Ristorante la Curva, oggi desolatamente chiuso, ma che era molto rinomato, soprattutto dai motociclisti, che vi facevano spesso tappa, durante i loro tour.
Vi erano altre due produzioni ( al momento conosciute da chi scrive) di scopa di erica, nell’ambito del territorio del comune di Varazze, una era in località Bacchetto, i fabbricanti erano i fratelli Damonte, detti per l’appunto I Bacchetti, che confezionavano le loro scope, in una zona prativa sopra l’abitato di questa località, ma un furioso incendio, forse doloso, non domato in tempo, perché appiccato di notte, pose fine a questa produzione.
L’altra zona di raccolta e fabbricazione di spassuie de brughe, era in direzione delle Faje dopo u giu du Megu, dau Muagiun, del titolare di questa attività si conosce solo il nomignolo Ero, in questa zona c’era forse, la maggior presenza di materia prima, con le brughiere, de Prie de Lima, Ramognina, Arenon ecc.

I spassin, adoperavano tutti la ramazza, una scopa fatta con l erica, con il manico lungo, caratteristico il rumore che faceva la bruga secca, mentre era in corso lo spazzamento delle vie cittadine.
Tutti gli addetti alla nettezza urbana, all’atto dell’assunzione, dovevano, dimostrare di saper confezionare una ramazza, con i rami di erica sfusi.
La bruga mascioa o arborea era usata come legna da ardere, dagli esemplari più adulti di questa varietà di arbusto, si ricavava il legno, per degli oggetti costruiti per diletto.
Non mancava mai la bruga, ben stagionata, usata come filtro, quando si travasava il vino dalle botti alle damigiane.
Terminata la fermentazione alcolica il vino era “tirato” via dalla botte, posizionando la “spina” con la spinetta.
Il tappo di sughero, precedentemente, inserito nella botte dall’interno verso l’esterno, era estratto dalla sua sede all’atto dell’introduzione della spina.
Per trattenere la buccia e i semi degli acini era fissata, prima della pigiatura dell’uva, una fascina di brughe, con la funzione di far da filtro, per il mosto.
Tolta la spinetta, il vino con l’ausilio di un imbuto e di un’ulteriore filtro a rete, era immesso nelle damigiane, dove la fermentazione diventava più lenta, con i lieviti che continuavano la trasformazione del mosto in vino.
Legato a questo strumento di lavoro, ci sarebbe da raccontare, l’epopea degli Alpicellini e dei Fajanti, emigranti negli States, perlopiù in California e quasi tutti a lavorare, per le società di raccolta rifiuti, che operavano in quelle grandi città oltreoceano, ma questa è un’altra storia.
La scopa nell’immaginario popolare è da sempre legata alle streghe e ai loro riti, al link che segue le credenze e le usanze relative alle scope
https://melismiria.wixsite.com/…/la-scopa-della-strega
Ricordate
Per evitare visite sgradite bisogna mettere una scopa con il manico a terra dietro la porta
Mai scopare una casa nuova con una scopa vecchia
La scopa con il manico rotto e un segnale di sfortuna
Buona giornata
Ringrazio per le informazioni ricevute tramite i commenti Facebook, i sigg.GB Caviglia Vassile Ciapaiev, Piera Bernardis, Nonno Franco e Giampiero Minetto
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