
In auto, verso il Beigua, oltrepassate le Casermette, si transita all’ombra di una bellissima abetaia.

Queste resinose, sono state messe a dimora, per rimboschimento, negli anni 50 del secolo scorso, in questo punto la strada sembra quella di un valico alpino, una meraviglia della biodiversità, un patrimonio della nostra Liguria.

U l’e’ u Grupasso, così denominato, per la presenza, di un’enorme formazione rocciosa, che si intravvede oltre la fustaia degli abeti.

Proseguendo, in direzione della cima del Beigua, dopo un centinaio di metri, a destra, inizia una strada sterrata, sbarrata al transito carrabile e inizia un bel percorso da fare a piedi, pianeggiante e poi in discesa, che interseca il sentiero con croce rossa, quello che risale e conduce sulla cima del Monte Beigua, oppure si può scendere passando dal Monte Cavalli, Montebe’, e poi ad un bivio, scegliere il percorso delle praterie, verso il Canain e le Faje/ Sentiero Megalitico, o attraversare una faggeta e arrivare a bric Vultui, S.Anna e la Ceresa.

Con Franco Canepa, percorriamo la strada della Peioa, che oltrepassa l’omonimo rio, affluente du Rian dell’Ommu Mortu, qui si ha una bella vista du Luno’ un deposito morenico, che si eleva sopra gli alberi e che forse, deve il suo toponimo, al bagliore notturno delle rocce, rischiarate dalla luna.
Chi u l’ea a taggià di arbui, a fo u fen e a menò de bestie in te sti bricchi, ci hanno lasciato una favola.

Lo sguardo spazia verso le alture circostanti, mentre il Priafaia oggi è immerso nella nebbia orografica.
Si arriva alle Giare, strano toponimo, forse legato alla presenza di alcune sorgive, dove oggi sono le prese dell’acquedotto.

Qui erano portate ad abbeverare le mandrie e le greggi, che si erano nutrite nelle praterie del Montebè e Priafaia.

I pastori potevano passare la notte in una bella cascina, qui presente, ancora integra con il suo originale tetto in ciappe e le finestre in vedru de pria.

In alternativa, nelle vicinanze sopra la terra al disotto di una trunea.

Poco distante, in una conca, le piogge dei giorni passati hanno formato un bellissimo stagno.

Dove si specchiano le volte degli alberi e nuotano milioni di larve de musche, sinsoe e tafen.

Sulla via del ritorno, decidiamo per la visita, che poi diventa una vera e propria scalata, ad una pietraia, quello che resta di una morena, testimone di un grande ghiacciaio che oltrepassava le alture e scendeva verso il mare.

Queste pietre un tempo prelevate come materiale da costruzione, oggi sono ricercate da chi è a caccia di minerali e i cui residui della ricerca, sono visibili in alcune zone adibite allo spacco delle pietre.

Al culmine della salita si arriva ad un pianoro, dove ci accorgiamo di essere in casa d’altri… qua sono presenti molte lettiere e pasture, di un grande branco di ungulati, che hanno anche a disposizione na smoggia per i fanghi e na vinvagna per le abluzioni, bello il panorama dalle rocce con il mare di nuvole.

Ci dirigiamo sul monte Cavalli reso famoso da uno scontro fra francesi e ungheresi durante la seconda campagna d’Italia, il 12 aprile del 1800 a leggere la targa posta a ricordare questo fatto storico, ci si stupisce dell’alto numero di soldati, da ambo le parti, che hanno partecipato a questi scontri.

E’ bene precisare che tutto il territorio della nostra città fu interessato in quelle giornate da scaramucce e vere e proprie battaglie dall’Aspia au Briccu da Crusce poi a Cian Battaggia, i Cavalli, Cian da Steia, l’Ermetta, Ciampanu’ e infine ai Cien de S. Giacumu, al confine di Cogoleto, alcuni muggi de prie nei boschi e delle trincee sulle colline di Varazze, sono probabili ripari, usati da questi soldati.

A questo punto, sorge un quesito, ma come facevano a manovrare tatticamente i due eserciti, come riuscivano ad orientarsi, percorrendo antiche strade, ripidi sentieri allo scoperto nelle praterie o nel folto dei boschi, per poi piombare di sorpresa sul nemico o anche trovare la via di fuga quella veloce per fuggire nella direzione giusta?
In questi bricchi pin de legnu, egua e prie? Dove nessuno dei generali francesi, austriaci, ungheresi e piemontesi mai erano stati?
L’esercito napoleonico, era famoso per conoscere in modo maniacale, il campo di battaglia sapeva sfruttare bene, ogni asperità, riparo o scorciatoia, e grazie a tutto questo, poteva usare tattiche da guerriglia nei combattimenti, a dispetto degli schieramenti delle truppe degli imperi centrali che usavano un’approccio tradizionale durante lo svolgersi delle battaglie.
Ma come riuscivano i generali francesi e lo stesso Napoleone a far sempre le mosse giuste anche in mezzo ai boschi ai pendii e pietraie dei nostri monti ?
Un aspetto poco conosciuto è quello dell’arruolamento.
Gli ufficiali francesi, quando arrivarono, nelle piazze delle nostre borgate, cercarono fra gli abitanti, quelli con una buona conoscenza dei luoghi circostanti e li costrinsero a far da guida, molti erano i giovani, volontari, che aderirono ai principi di libertà e uguaglianza, della rivoluzione francese e si fecero avanti per essere arruolati, anche solo per qualche giorno, giusto il tempo di guidare le truppe francesi, ma anche quelle austro piemontesi, in un territorio a loro ostico e sconosciuto come era il monte Beigua, naturalmente, non mancarono i delatori e chi forniva false notizie, le chiese erano state allertate, per suonare le campane, quando erano in vista le truppe francesi.
Molti, seguirono poi Napoleone nelle sue campagne d’Italia, qualcheduno non fece più ritorno e quelli che sopravvissero, al loro rientro, scoprirono di essere stati scomunicati dal Papa, vissero così gli ultimi anni della loro vita, emarginati da una società, che dopo la caduta del Bonaparte, aveva rimesso velocemente al proprio posto, la nobiltà e aveva restituito i beni ecclesiastici alla Chiesa, confiscati, depredati e messi in discussione dalla ventata rivoluzionaria, arrivata anche nella nostra città con l’era napoleonica.

Che bello!
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