A Famiggia Siri, i Lurbè da Canaetta (prima parte).

La tragedia della famiglia di Lorenzo Siri e Serafina Buscaglia, i Lurbè da Canaetta, grazie all’iniziativa di Vera Zolesi, mi è stata raccontata dal loro nipote Marino Piombo e da suo papa’ Benito Piombo “U Cuinà” classe 1932, marito di Albina Siri.

Furono 49 le vittime di quel bombardamento aereo, gente comune, povera gente, molte altre furono le tragedie in cui furono coinvolti degli innocenti durante quell’inutile guerra sempre la stessa gente a soccombere, anche oggi, quando scoppia una guerra…una bomba….o un’epidemia.

La seconda guerra mondiale, fu un’immensa tragedia, come immensa fu la disperazione, che portò un’inutile sanguinosa guerra, in molte famiglie italiane.

Al fronte furono mandati a combattere soprattutto i giovani contadini i pestapota, così chiamati, di buon comando e già predisposti, comunque, a far vita grama.

La propaganda fascista, voleva l’incremento delle nascite nelle campagne, per avere più braccia per zappare la terra, un duce a torso nudo avvalorava questo slogan, mieteva le messi e guidava i trattori, ma era un’altra menzogna di regime, per fare quell’impero con gli scarponi di cartone, serviva tanta carne da macello, perché in mancanza di armamenti adeguati, bisognava avere tanti morti, feriti e dispersi in battaglia, per avanzar pretese nella spartizione dei bottini di guerra con l’alleato germanico.

Na nio’ de figgi, a l’ea quella famiggia de lurbaschi, arrivata a Varazze nel 1930 da Urbe, era la Famiglia di Siri Lorenzo, sposato con Buscaglia Serafina, dovevano tirar su a qualche modo i loro otto figli, Maria, Giuseppe, Giobatta, Albina, Caterina, Angelo, Mario e Teresa.

Una decisione sofferta quella di lasciare a Urbe, fratelli sorelle e altri parenti, ma otto bocche da sfamare erano tante e il Lurbasco, era solo terra di boschi, poche le zone da coltivare e per il pascolo, il clima d’inverno era proibitivo, e non c’era niente da mangiare, quando erano finite le scorte di farina fagioli e patate.

Avevano trovato una casa in affitto e un terreno come mezzadri, in località Canaetta, sopra i Cian de Banna a Casanova di Varazze.

In ta Canaetta, potevano coltivare, c’erano le fasce per fare gli orti. la stalla era sottocasa, con una mucca che dava il latte, la pecora per far le formagette, le galline per le uova e qualche coniglio da mangiare nei giorni di festa.

In tempo di guerra i contadini riuscivano quasi sempre ad apparecchiare due volte al giorno la tavola, anche se c’era poco da mangiare a mezzogiorno e a cena.

In città invece era dura, mancava tutto, il pane a volte era immangiabile e la carne, nessuno l’aveva più vista, era sparita dai banchi delle macellerie e la si trovava solo alla borsa nera.

Gli orti cittadini era un’altra menzogna di regime, fu il nostro entroterra che sfamo,’ negli anni di guerra, Varazze, grazie alle generazioni di contadini che avevano, in un territorio inospitale come quello alle spalle della nostra citta, eretto nei secoli con la sola forza, delle braccia, migliaia di muri a secco a sostegno dei terrazzamenti tutti coltivati per l’emergenza bellica, ma avevano anche costruito ingegnose opere idrauliche, che se rimesse in uso oggi sarebbero ancora efficienti

Chi coltivava era anche besagnin e vendeva direttamente al minuto senza intermediari, erano perlopiù le donne che ogni mattina all’alba a piedi cun corbe e mandilli pin de fruta e verdua si recavano al mercato di Ca-braghe dietro alle bellissimo e compianto palazzo de Scoe de Vase .

Era una famiglia numerosa anche quella di Bernardo Piombo e Benedetta Zunino con sette figli , tra cu Benito, nome dato non per fede politica, ma per aver diritto ad un sussidio, nelle famiglie fasciste numerose, dovevano essere minimo 7 i figli viventi o deceduti in guerra e se non si era contadini era assicurato un posto di lavoro.

I capifamiglia erano decorati con una medaglia e la seguente motivazione, «Hanno diritto all’Impero i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza».

Erano anni difficili, si viveva alla giornata, sperando che le cose un giorno sarebbero cambiate, tutta la famiglia era intenta nelle attività lavorative, nell’orto, per accudire gli animali, nel bosco a raccogliere la legna o nelle faccende domestiche, dalle prime luci dell’alba fino al tramonto.

Ma non erano stati gli stenti o l’incognita per il futuro, che avevano spento il sorriso e l’allegria nella casa della famiglia Siri, quella spensieratezza che di solito regna, nelle famiglie numerose, con giovani fratelli e sorelle e che mai veniva meno, anche se la pancia brontolava dalla fame.

Mancavano a quel tavolo i due figli più grandi, Giuseppe e Giobatta, arruolati per il fronte russo e poi improvvisamente, dopo l’ultima lettera ricevuta dal fronte russo, dove Giuseppe e GB chiedevano di inviare delle calze di lana, più nessuna missiva.

Le uniche notizie che trapelavano, nonostante la censura di regime, erano quelle che i soldati stavano ritornando, ma anche quella era una menzogna, in pieno inverno russo nel 1943, si stava compiendo l’epilogo drammatico, di quella che fu una tragica avventura, che fece 78.000 vittime, voluta da un folle regime con una guerra di aggressione per compiacere l’alleato tedesco.

Poi arrivò quel telegramma dal ministero della guerra, recapitato dal postino, il caporale Siri Giobatta nato a Urbe il 14/12/1916 del 1 rgt Alpini dichiarato disperso il 31/01/1943 il soldato Siri Giuseppe nato a Urbe il 15/11/1919 1 sez. sanitaria Alpini dichiarato disperso il 31/01/1943.

Fu un momento di indicibile dolore, vissuto da tutti i componenti della famiglia Siri, ma come si fa a descrivere il dolore di una madre e di un padre, di fronte alla perdita di due figli? la cosa più struggente che può capitare ad un essere umano, sulla faccia della terra.

La parola disperso, e quella data coincidente, alimentò il lumicino della speranza, e nonostante la loro disperazione, pensarono che forse erano ancora vivi, chissà se avevano ricevuto quelle calze di lana prontamente spedite, magari si erano ritrovati ed erano insieme e riparati dal freddo.

Furono molti i dispersi nel gelo della steppa russa, nei deserti africani o in mezzo alle onde del mar Mediterraneo.

Ma i loro famigliari, non si arresero mai al pensiero, di non rivedere più un figlio un marito o un fratello, speravano un giorno di vederli, arrivare feriti laceri affamati, ma vivi!

Così fu anche per la mia Bisnonna Maria, che non si rassegnò mai della perdita di suo figlio Emilio Valcalda, perito nell’affondamento dell’Armando Diaz

Dopo qualche anno arrivò la dichiarazione di morte presunta e anche una miseria di pensione di guerra.

Le famiglie continuarono a piangere i loro cari, ma senza una lapide dove posare un fiore.

Sono 73 i militari, nativi di Varazze, vittime della seconda guerra mondiali tra cui 42 dispersi.

Niente nella nostra città, ricorda quella tragedia, nessun nome di quei nostri concittadini, tutte vittime del regime fascista, è inciso in nessuna lapide, solo un generico monumento ai caduti di tutte le guerre e un altro ai caduti in mare.

Qual’è la motivazione, forse perché l’Italia non uscì vittoriosa da quella carneficina? O perché si vuole, ancora oggi, dimenticare la vergogna di quella guerra d’aggressione, che portò tanti lutti nelle nostre famiglie e altre vittime nei popoli che volevamo sottomettere ?

Da inserire nel triste elenco delle vittime della seconda guerra mondiale anche 17 fra ex militari e renitenti di leva, deportati nei campi di sterminio.

continua.

foto dal Web e Archivio Storico Varazze.

Ricevo e pubblico i seg. Commenti

Roberto Gravano. Verissimo caro Giovanni…io avuto un parente disperso in Russia…e ho vissuto l’Angoscia che puo’ provare una madre…senza sapere le sorti del figlio…per anni ha sempre lasciato la porta aperta anche di notte con la speranza di vederlo ritornare….,nonostanti i nostri problemi…. siamo fortunati a vivere ai giorni nostri.,…

Lorenzo Vallerga Mario Rigoni Stern nel libro Il sergente nella neve racconta bene la ritirata dal Don e la sacca dalla quale pochi uscirono.Anche loro come Giuanin non tornarono a baita.«Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» ( Domanda rivolta spesso dall’alpino Giuanin all’ autore). La seconda guerra mondiale ha risparmiato poche famiglie. Seguivo anche anni fa una sua rubrica che pubblicava con cadenza settimanale su La Stampa. La nostra generazione è stata molto fortunata abbiamo avuto assenza di guerre e crescita economica.

Elisa Cerruti. Ho letto tutti i libri di Rigoni Stern, oggi non ce la farei più! Non riesco a vedere e leggere cose tristi, sto proprio male! Sarà che la vecchiaia rende più sensibili?

Alessandra Gioia. Carlini Lina sorella di mio nonni Carlini Pietro morta nell’androne del palazzo in via malocello solo per essersi riparata li ………

Enza Cascio Teresa era mia suocera era la più vecchia dei fratelli,ogni volta che ne parlava le si riempivano gli occhi di lacrime.Quella lettera io l’ ho letta e ,credimi, ti stringeva il cuore…poveri ragazzi mandati nelle sterminate lande russe nella neve senza equipaggiamento! certo,è bene ricordarli,due ragazzoni,a detta della famiglia,robusti e lavoratori,avevano contribuito a fare la strada della Canaetta. Pensa che uno dei ragazzi in quel tempo lavorava in Francia a tagliar boschi,il papà Lorenzo lo aveva scongiurato di rimanere là,ma lui è tornato perché…la Patria aveva anche bisogno di lui…e sono stati mandati in Russia…,erano ricordi di mia suocera alla quale io ho voluto molto bene

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