A Famiggia Siri, i Lurbè da Canaetta (seconda parte).

L’inverno del 1943, fu particolarmente rigido anche in Italia.

Con la primavera, ripresero alla grande i combattimenti su tutti i fronti, ma la guerra era oramai persa, c’era stato l’8 settembre con la firma dell’armistizio, i Russi avevano sfondato a Stalingrado e avevano costretto le truppe dell’asse alla ritirata. Nelle sabbie africane, si era sciolto come neve al sole l’impero del littorio e gli alleati stavano per mettere piede nell’italico stivale, anche un’idiota lo avrebbe capito che era finita avevano vinto gli altri, i più forti le nazioni democratiche!

La “Merica” era intervenuta in forze e aveva capovolto le sorti del conflitto mondiale, ma nel nord Italia si continuava a marciare e a festeggiare, al Grand Hotel di Varazze il 31 dicembre, nonostante la disfatta su tutti i fronti, ci fu una grande festa di fine anno, in onore dell’alleato tedesco, Il duce e i suoi manganellatori, avevano ancora il potere di sedurre le folle, questa fu la causa di altre vittime soprattutto civili, che insanguinarono le nostre città.

Passo’ un anno e mezzo, a Varazze c’era un clima cupo da guerra civile, nella nostra città con un nutrito numero di tessere del PNF, tutto era sotto controllo, guai a farsi scappare una parola di disfattismo o peggio essere antifascista, per ogni cittadino, probabilmente, esisteva un dossier personale, ci furono alcuni delatori, che in cambio di qualche soldo o di un un paio di stivali fecero arrestare degli antifascisti e dei partigiani, che furono deportati e non tornarono più dai campi di sterminio. In ricordo del loro martirio, ne leggiamo i nomi, su di una pietra di inciampo in piazza Bovani e nel monumento ai deportati, nel cimitero di Varazze.

I delatori ebbero sulla coscienza, anche la fucilazione di quattro partigiani Emilio Vallino, Nello Bovani, Emilio Vecchia, e Gianni Iannelli (Nincek) mentre Gino Pellegrino morì in combattimento.

Varazze martedì 13 giugno 1944

Bisognava partire presto da Casanova, per fare mercato a Varazze da Canaette, scendere giù per via Quinno, la via del legno, Cian de Banna, S.Bastian, au Fussellu, S.Peo, dau Bacchettu, poi Sciu da Teiru, Bosin, Pasciu, da Fabbrica a Lomellina, Numascelli e Cabraghe.

Maria Siri

Quella mattina, del 13 giugno, Serafina mise a tracolla la corbetta piena di verdure dell’orto, un po’ di uova e qualche formaggetta. A metà giugno, il grande nespolo, aveva dato molti frutti e così con lei quella mattina, c’era con un cestino ripieno di nespole, anche Maria, la figlia ventenne, sempre pronta, quando c’era da andare al mercato a Varazze, le piaceva quel vociare e il trambusto del centro città e poi si incontrava un sacco di gente, qualche ragazza della sua età e magari anche qualche giovanotto.

Marito e moglie, si salutarono dalla porta, mentre Lorenzo stava andando nella stalla, quella fu l’ultima volta che Lorenzo vide Serafina e Maria.

Alle 7 un forte rombo di aerei, proveniente dal mare, fece sobbalzare e uscir di corsa, gli abitanti del centro storico di Varazze, per correre ai rifugi. Gli aerei una squadriglia di B25, sembrava fossero di passaggio come era accaduto altre volte, volavano ad alta quota e avevano oramai, oltrepassato la città.

C’era chi aveva scavato un rifugio antiaereo, in tutta fretta dopo il primo bombardamento che subì Varazze, il 10 novembre dell’anno prima, aerei inglesi avevano cercato di colpire la fabbrica dei MAS nel Parasio, ma senza alcun esito. Alcune bombe, caddero nel letto del Teiro dau Rissulin, senza esplodere, e li’ sono ancora oggi, sepolte.

Poi non ci furono più incursioni aeree e la città si era oramai abituata al monologo di Pipetto, un ricognitore notturno inglese a cui era stato dato questo soprannome confidenziale, sganciava ogni tanto qualche bomba, ma solo dove vedeva qualcosa di militare.

http://guide.supereva.it/storia_aeronautica/interventi/2009/07/pippo-la-scopa-in-memoria-di-un-aereo-fantasma-che-minacciava-il-nord-italia

Quel passaggio di aerei ad alta quota, forse era una delle tante finte allerte, a riprova di questa ipotesi, laggiù a Varazze, le sirene dell’allarme aereo, avevano smesso di suonare.

Successe tutto in poco tempo, il rombo appena udito, ritornò a farsi sentire e divenne ancora più assordante, la squadriglia aerea dell’USAF, aveva compiuto una larga virata, oltre le cime del Beigua e ora stava scendendo di quota, allineata verso l’obiettivo, che per loro, era probabilmente, il ponte della ferrovia sul fiume Teiro, proprio all’inizio del centro storico, la zona più popolosa di Varazze.

Lorenzo rimase impietrito, in mezzo alla stradina, che conduceva al rifugio, istintivamente portò le mani alla testa, quando udì le prime forti esplosioni, pensò alla sua Serafina e a sua figlia Maria, loro erano laggiù al mercato a Varazze, dove ora si era alzato una spessa colonna di fumo nero verso il cielo.

Raccomandò alcune cose da fare ai figli, se non fosse ritornato, per pranzo. Chissà perché ma fu assalito da un brutto presentimento, mentre scendeva correndo insieme ad altra gente di Casanova, verso Varazze.

Era una catastrofe, le bombe avevano sbagliato completamente bersaglio, il ponte ferroviario era rimasto integro, gli aerei, forse disturbati da alcuni colpi della contraerea, si erano spostati troppo a ponente e le bombe avevano fatto scempio fra le case in via Carattino e via Malocello, chi assistette al bombardamento, vide molte altre bombe esplodere in mare, forse i ploti si erano accorti di aver mancato il bersaglio e avevano comunque sganciato le bombe per liberarsi del carico.

Ma circola anche un’altra ipotesi, l’obbiettivo del ponte ferroviario era un finto bersaglio, si voleva colpire deliberatamente la nostra città, dove vi era una cospicua guarnigione tedesca e della repubblica di Salò. La riprova può essere quella delle tante bombe scaricate in mare, come atto dimostrativo di forza

C’era una gran polverone, non si vedeva nulla, era pericoloso avvicinarsi per possibili crolli delle case lesionate, si camminava a stento sopra le macerie, cadevano calcinacci, pietre legni, canicci, si udivano imprecazioni e le urla di aiuto di chi era rimasto ferito e intrappolato e poi i pianti disperati di chi aveva un parente sepolto sotto una casa sventrata che non esisteva più.

Istintivamente Lorenzo andò subito a vedere al mercato in Cabraghe, ma anche lì regnava il caos, i venditori erano tutti scappati abbandonando le merci e c’era già qualcheduno, che faceva man bassa di ortaggi e frutta.

Ritornò verso via Malocello e poi via Carattino entrò anche in chiesa, cercando Serafina e Maria, in mezzo ad un folto gruppo di persone, intente a ringraziare il buon Dio, dello scampato pericolo.

Chiese se qualcheduno, avesse visto sua moglie e la figlioletta ma nessuno aveva notizie.

Fu allora che iniziò, a chiamare a voce alta, a fare i nomi di Serafina e Maria, passando nuovamente di corsa in mezzo ai vicoli e ad una moltitudine di gente che si prodigava a scavare nei calcinacci, il suo presentimento purtroppo era vero di Serafina e Maria nessuna traccia, pensò in cuor suo, che magari erano già ritornate a casa passando dalla via Bianca.

Nel frattempo alcuni soldati erano saltati giù da un camion e con le pale iniziarono a sgombrare le macerie dalle entrate e dalle scale dei palazzi dove si sentiva gridare e piangere, ma da altri cumuli di pietre calce e legna arrivava solo silenzio. Anche Lorenzo si prodigò nello sgombero delle masserizie, pietre e legna e quando un corpo senza vita, era estratto dalle macerie, allora correva a vedere chi era.

Viene da piangere a pensare a Lorenzo Siri disperato da tanto dolore mentre tra quelle macerie, cercava tra cadaveri e resti irriconoscibili, una moglie e una figlia.

A cercar quel segno che sua figlia Maria aveva dietro ad un orecchio.

Alcuni resti umani furono recuperati sui fili della linea elettrica del treno.

I corpi di Buscaglia Serafina e Siri Maria, non furono mai ritrovati, una delle bombe, le aveva colpite in pieno, facendo a brandelli i loro corpi, probabilmente nel tentativo di fuggire, dopo le prime esplosioni. Dopo qualche giorno, fu ritrovata, una catenina con un crocifisso e appesa ad un muro, in via Malocello, uno di quelli rimasti miracolosamente indenni, Lorenzo, riconobbe quel ciondolo, era quello che aveva regalato a Serafina.

Furono 49 le vittime del bombardamento di Varazze del 13 giugno del 1944

Il 19 agosto ci fu un secondo bombardamento che fece 5 vittime.

Nella foto l’elenco dei nominativi dei deceduti a seguito dei bombardamenti di Varazze pubblicati da ISREC Savona nel 2013

Dieci anni dopo il Comune di Varazze il 13 giugno del 1954 pose questa lapide.

Ringrazio per questo ricordo, Vera Zolesi, Marino Piombo e suo papà Benito Piombo “U Cuinà” classe 1932, marito di Albina Siri, una delle figlie di Lorenzo Siri e Serafina Buscaglia i Lurbè da Canaetta.

foto dal Web e Archivio Fotografico Varagine

Ho ricevuto e pubblico i seg.Commenti

Emilio Bozzano Prendo spunto da queste parole, per raccontare qui un’episodio che mi venne narrato: In quel fatidico 13 giugno, alcune venditrici, scesero da Casanova, o meglio da Giavarosso per andare al mercato, faceva caldo, ma di più faceva miseria, ed a piedi avevano quelle che adesso si chiamerebbero espadrillas. Quando iniziò il bombardamento l’istinto o forse la Provvidenza le portò a correre – abbondonando le ceste con le ciliegie – su da I Leoni. Ritornarono a metà pomeriggio, quando oramai tra i parenti rimasti in frazione serpeggiava sempre più l’angoscia, e solo allora una delle due giovani ( 17 anni) si accorse che aveva un vetro sotto al piede.

Federica Storlenghi. Mia mamma mi ha raccontato più volte di quella mattina tremenda e dei bambini come lei, che quel giorno persero la vita.

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