
Con il mio collega di Centrale, Dino Canepa, l’appuntamento è dalle ex scuole del Pero, in località S.Lorenzo.

Arrivo in anticipo per visitare la bella chiesa di S.Luensu, contornata da un parco di abeti e ersci, secolari.
Dino mi aveva parlato, dell’esistenza di una strana roccia, denominata u Pè du Diau, in questa zona, lungo un’antica strada di comunicazione. Conoscendo lo stato di totale abbandono, di boschi e strade, si presenta all’appuntamento armato di una roncola.
Il tragitto è quello della vecchia strada lastricata, che da S.Luensu, prosegue per arrivare all’Arpiscella.
Passiamo accanto alla Apicultura Montali, dove incontriamo il proprietario, Enrico Dabove, un cugino di mio papà, si parla di questa antica strada e di una diramazione, che sale fino alla località di Bin, ci rassicura della praticabilità della strada, perché ha provveduto lui stesso insieme ad altri al taglio dei vegetali, che ne impedivano il transito, sveliamo il perché della nostra escursione e anche lui conferma il mistero di questa strana pietra.

L’ambiente è quello del nostro entroterra, alle falde meridionali dei bricchi, che degradano dal Beigua, l’acqua sgorga da ogni fessura, riempie grandi vasche di raccolta e scorre in alcuni ruscelli con bellissimi esemplari di capelvenere.
Alti muri in pietra di buona fattura, delimitano e sorreggono il piano viario

Nel primo invaso, di cui allego alcune foto, la trasparenza dell’acqua è esaltata dalla luce solare, che fa intravvedere il fondo della vasca con tronchi marcescenti, dove nuota un branco di pesci, chissà come, arrivati fin quassù.

Questo accumulo d’acqua è denominato du Dusce che in zeneise vuol dire Doge, chissà forse era un nomignolo affibbiato al proprietario di questa vasca, oppure era un dominio della Serenissima?

Poco prima un ex cascina è stata abilmente trasformata anch’essa in cisterna.
Proseguiamo la strada, ora in discreta salita a l’è a Muntà di Orbi, forse riferito alla fatiga da orbi, fatta dalle generazioni passate, per trasportare pesanti fardelli.

Come in altre mulattiere, quando il percorso si fa particolarmente acclive, il fondo è lastricato con le classiche prie posè de taggiu, per essere il meno possibile scivolose in caso di neve o gelo, ma anche per garantire una più stabile presa, per i zoccoli degli animali da tiro.
Ammiro sempre queste pietre, ognuna posata con sapienza forza e tanta fatica, con un lavoro incessante, tramandato da padre in figlio, lasciato ai nipoti e oggi in eredità a noi, gente moderna, incapaci anche solo di pensare, come sia stato possibile da una terra ingrata e ostile trarre il sostentamento e crescere dei figli, erigendo dei muri a secco per creare terrazzamenti da coltivate.

E miagge de pria, il vero patrimonio della nostra regione, le Cattedrali di Liguria.

Sulla via del ritorno fotografo una strano muro con pietre posate alla bizantina a lisca di pesce o forse solo abilmente incastrate.

Era anche questa, un’antica Strà da Lese e i segni dei legni, che hanno consumato la roccia, sono ben visibili in alcune pietre del selciato. Alla fine di un leggero falsopiano, si intravvede ancora una salita verso la zona, denominata da Madunetta, chissà forse un tempo, c’era un’edicola votiva, come le tante che si trovano, lungo le strade di grande transito.

In questo punto, scavato in una grande pietra piatta, prima di un guado, c’è un simulacro, che calza perfettamente con un piede umano, u Pe du Diau!

E’ evidente che è stata usata la mano dell’uomo e la forma del piede per ricavare questo incavo ovale, ma chissà quale era la sua motivazione.
Dino afferma di una qualche attinenza di questa incisione con altre rocce simili, scavate in altri siti preistorici, l’impronta del piede per delimitare i confini di un terreno.
Il piede era una unità di misura di lunghezza, già usata dai romani 4 dita=1 palmo, 4 palmi=1 piede, 5 piedi= 1 passo
Il termine diavolo/inferno è stato utilizzato nella toponomastica per indicare luoghi, pericolosi, infidi.
Ma dove non esistono pericoli reali, i termini diavolo, satana ma anche Ca de Anime o de Strie, sono stati utilizzati per terrorizzare e tenere lontani le persone curiose o indesiderate.
La strada prosegue in salita, lastricata con pietre di taglio, sempre i muri a secco a delimitare e a sopportare la strada, una grande vasca, del consorzio per uso irriguo, raccoglie l’acqua che proviene da Ciusa du Punte di Ratti, l’acqua ora arriva a destinazione intubata, prima era una fitta rete de surchi, solchi che la trasportavano nei campi coltivati.

A questo punto ci addentriamo nel bosco, fra eriche arboree alberi di pini e castagni, che sovrasta la sottostante zona de Ca-dana, per vedere un bellissimo esempio di muro a secco edificato con e Prie Sciappe’.

A lato di questa parete, un incavo come quelli per lume che si trovano all’interno delle cascine in pietra. In un pianoro, dove era un’antica cava si può scorgere in lontananza il mare.
Si prosegue, arrivando in località Mungera ( il toponimo è già con una particolare inflessione dialettale diversa dal zeneise), sovrastati da un’altra zona chiamata Carèga l’accento cambia il naturale significato genovese della parola e in questo caso si riferisce a carica posto di caricamento.
Arriviamo alla fine di questa strada che si immette nell’attuale viabilità nella curva detta dei Tissuin, prima di Surzetti e du Runcu.
Sulla via del ritorno Dino mi parla dei suoi viaggi, effettuati in altri continenti, delle tante cose che ha visto e anche mangiato!

Lo ringrazio per questa interessante escursione, per avermi offerto una bibita dissetante e…. anche per le nespole mature al punto giusto dell’albero che cresce nel suo giardino.
