Giacomo Zunino U Giacchin (prima parte)

Ci sono diversi modi, di parlar delle cose, delle persone, delle vicende umane e lo si può fare in modo descrittivo, soggettivo, didascalico.

Ma questo racconto, parla di lavoro, da voce a chi faceva vita grama molti anni fa, nei boschi a spaccarsi braccia e schiena, per mandare avanti una famiglia, cun na niò de figgi, fratelli e sorelle e allora da esseri umani, bisogna lasciar spazio alle emozioni, alle suggestioni che questa storia ha suscitato in me e credo anche a chi si accinge a leggerla.

Suggestioni dovute anche all’ambientazione del secondo incontro con Giacomo Zunino, classe 1938 Giacchin dei Ciccioli du Dan.

Fa troppo caldo alle undici di una mattina di giugno, sul sagrato della Chiesa dell’Assunta e allora meglio stare all’interno delle mura, seduti all’ombra, immersi nei secoli di storia di questa chiesa.

Ho portato una prima bozza del mio racconto, come faccio sempre, prima di pubblicar qualcosa, a Giacomo dove avevo scritto sottotraccia, quello che mi aveva detto, del suo lavoro giovanile, quello cun i bo e lese au Dan verso Vara Datu, Ciampanu, Sciarburasca ecc.

La lesa è l’attrezzo che simboleggia l’epopea dei Lurbaschi, trasportava il legno delle loro foreste, tagliato e sagomato in tavolame, saliscendendo, il Beigua e il Reixa, per i Cantieri Navali ed altri usi.

L’utilizzo di questo mezzo di trasporto, fu introdotta nel nostro territorio da popoli indoeuropei, che convissero in pace con le popolazioni locali e ci hanno lasciato diverse testimonianze della loro civiltà, come la tipologia costruttiva de Ca de Paggia, le loro festività poi assimilate dal cristianesimo, molti i toponimi, sparsi nel nostro territorio, assimilabili alla cultura celtica, come Banna, Cumba, Verna e le località che terminano con Asca o Asco ecc.

La Lesa è una slitta o treggia e si compone principalmente di tre parti.

Esposizione Arte Contadina di Vara Inf. Pregevole raccolta di antichi attrezzi, oggetti di uso quotidiano e curiosità, esposti nella canonica della Chiesa di S.Giovanni Gualberto. In estate la mostra è aperta ogni domenica.

U Zuettu messo al collo dell’animale da tiro, collegato alla Banchin-a, dove erano assicurate le tavole, il tutto unito cu e cavigge de penellu, viburno

Esposizione Arte Contadina di Vara Inf. Pregevole raccolta di antichi attrezzi, oggetti di uso quotidiano e curiosità, esposti nella canonica della Chiesa di S.Giovanni Gualberto. In estate la mostra è aperta ogni domenica.

La lesa arrivava in qualsiasi posto, dove non c’erano di strade, guadava i fiumi, si destreggiava nei boschi e in ti pre da fen.

Diversa per ogni tipo di trasporto, c’era u Lesottu per portare le pietre, u Lesutin per portare il legname e la Lesa comunemente chiamata quella per portare il fieno

Giacchin mi racconta che i trasporti della legna “bella” erano effettuati in presenza di neve, con molto meno attrito e abrasione, se paragonati ai trasporti effettuati all’asciutto sui ciappin de pria delle Vie del Legno che discendevano dal Beigua.

Non solo la neve, periodicamente le nebbie orografiche nascondevano ogni riferimento, alberi rocce ecc. che erano utilizzati per orientarsi.

Per frenare la lesa, nella lunga discesa verso la nostra città, in presenza di neve, erano utilizzate delle catene, che erano avvolte sui legni a contatto con il terreno.

 E per ulteriormente rallentare il carico in caso di lastroni di ghiaccio, erano utilizzate delle funi legate alla lesa e avvolte “cun un giu mortu”ai tronchi degli alberi.

La Muntà di Buei, presso il Cian de Banna, era il tratto più ripido e temuto dai trasportatori di tutta la Via del Legno

Le lese in questo tratto di strada, scendevano, frenate da funi, sotto lo sguardo misericordioso da “Madonna che a Se Gia” una formella in ardesia con l’effige di S.Anna, che ancora oggi è posta su un pilone, all’apice della salita.

Erano impressionanti i cumuli di neve nel Lurbasco e sul Beigua, ma le vie del legno dovevano restare sempre aperte e si trasportava il tavolame, con ogni condizione metereologica, una coperta sul dorso del bue era l’unico conforto a quel povero animale, contro il freddo che arrivava anche a meno 20 gradi sottozero.

Poi a complicare tutto arrivava magari il vento che penetrava nelle ossa e faceva scendere ulteriormente il freddo percepito.

 Sono diversi i tratti più ostici, delle vie del legno, una di queste è quella che discende dal Beigua, in direzione della nostra città, attraversando la grande cascata di rocce du Lunò, alle falde del bric Cavalli.

La strada, oggi nascosta da una striscia di alberi, taglia in due questo ammasso di rocce e con una costante, discreta discesa, percorre le falde del Bric Cavalli, Montebè e Priafaia.

In questo tratto di strada, sul selciato, c’è una delle meraviglie del nostro monte, la memoria incisa sulle pietre di ofiolite, di chi, nel corso dei secoli, contribuì in modo massivo alla grandezza della cantieristica varazzina.

Le pietre consumate, levigate hanno assunto delle bellissime tonalità di verde azzurro, lunghe incisioni anch’esse levigate, sono i segni delle innumerevoli lese, centinaia di migliaia, che nei secoli discesero dal Beigua.

Una testimonianza assoluta di storia e di cultura da censire, preservare e divulgare.

A lato di questa via, una ca de pria, era probabilmente un rifugio dove fermarsi in caso di condizioni meteo proibitive, poco oltre la scursa per arrivare agli Armuzzi passando dal ponte du Rian dell’Ommu Mortu , altri ruderi di un altro, probabile riparo.

Nel libro di Giorgio Costa, “Cenni Storici di Varazze” a pag. 121 si cita la relazione di Giovanni da Mezzano del 15 novembre del 1832, dove è documentata la presenza di 14 cantieri navali nella nostra città, dal 1816 al 1865 a Varazze furono costruite 1057 imbarcazioni di grande portata e 578 di piccolo cabotaggio!

Foto Archivio Storico Varagine

Negli anni in cui iniziò il declino della cantieristica, che vanno dal 1866 al 1869, dai cantieri sulla spiaggia di Varazze, uscirono comunque 157 navi per complessive 58.543 tonnellate!

Facendo un rapido calcolo, a spanne, considerando un carico medio di 5 quintali per lesa, ogni anno, erano circa 25.000 i trasporti di toe pe fasciamme stamanee e buei, che provenivano dal Lurbasco!

A Ciampanù ancora negli anni 50/60 c’erano almeno una cinquantina di bo Cabanin, sempre all’opera per portare il tavolame e la legna da ardere.

Foto pagina Facebook Museo del Bosco “Cian de Tore” 28/09/2020

Dalle foreste du Dan e di Vara le tavole sagomate nei boschi, erano trasportate e accatastate au Cian de Toe.

Oggi il Cian de Toe è l’area attrezzata del Faiallo.

E poi nel periodo invernale le carovane di lese affrontavano la vertiginosa e spettacolare discesa, che  dal Reixa arrivava a Sambuco, Fiorino, Voltri.

Foto Archivio Storico Varagine

Fu grazie a questa fornitura continua, senza sosta che prosperarono i Cantieri sulle spiagge della nostra regione.

Foto Archivio Storico Varagine

 Fu un enorme, mai riconosciuto e commemorato, trasferimento di ricchezza, dagli ombrosi boschi del Lurbasco, alla nostra e ad altre città rivierasche, per lo sviluppo della cantieristica, che tanto lavoro e lustro diede, a Varazze.

Foto Archivio Storico Varagine

 Molte delle cose, che rendono confortevole la vita oggi a Varazze, lo dobbiamo a chi faceva vita grama, oltre e sulle pendici di quella montagna da dove arriva la tramontana

E a chi saliscendeva dal Beigua di quella ricchezza, come conferma Giacomo poco restava “ Sulu un po’ de pasta anche cun pocu cundimentu ”

Il legno de rue, dei boschi del Lurbasco, grandi alberi a crescita lenta, era molto richiesto nell’industria cantieristica.

 Ma non solo erano ricercate e belle toe de rue, molto pregiati anche i tronchi, con particolari curvature, per fo a chiggia e stamanee, la chiglia e l’ossatura delle imbarcazioni.

A Giacomo, non risulta, che anche nel Lurbasco si adottasse la tecnica, di far crescere gli alberi curvati.

Foto pagina Facebook Museo del Bosco “Prima del 4 novembre” 3/11/2021

Gli alberi abbattuti, buschè, privati della ramaglia e dell’apice, diventati biun, tronchi, trasportati per essere ridotti a tavolame, anche tramite l’utilizzo de lincie, teleferiche, erano sagomati dai arsioui, segantini in toe, tavole con spessore 6 cm, larghezza variabile da un minimo di 10/12 cm fino a superare i 30 cm nei tronchi delle piante più grandi, la lunghezza standard era di solito sui 4.5 m.

Foto pagina Facebook Museo del Bosco

“Ninu, megiu stò derè a un cagou che a un buscou”

Giacomo Zunino u Giacchin già da ragazzo era nei boschi con i “grandi” a tagliar legna, ammirava chi con la su, una grande scure, squadrava in modo perfetto e preciso i tronchi, prima di essere tagliati dai segantini, per ricavarne delle tavole.

Foto pagina Facebook Museo del Bosco

 Ma anche le imprecazioni, quando si era alle prese con u biun de legnu d’arfeisu, con le fibre contorte e allora l’operazione de buschè era particolarmente difficoltosa, ma bisognava restare a debita distanza da chi manovrava quella lama……..

Lascia un commento