
Gli artefici della movimentazione del legname erano gli animali da tiro, i buoi Cabanin, un bue di pelo rosso non di grande mole con grandi corna, proveniente dagli allevamenti delle Capanne di Marcarolo, selezionato dall’uomo, per effettuare questo tipo di trasporto, un bue da montagna, meno docile del bue piemontese, con un’unghia robusta dove i ferri avevano una buona durata.
Battista Perata u Biscazè, mi raccontava della peculiarità di questi animali, molto intelligenti, la cui genetica plasmata nei secoli, li aveva resi capaci di eseguire anche senza alcun comando umano, il lavoro a cui erano addetti.

Sensibili e reattivi, erano in grado di governare e mantenere sempre ben allineata, la slitta da trasporto.
Sono molti i racconti, tramandati fino ad oggi e legati a questo tipo di trazione animale.

Il bue era messo al lavoro da giovane, magari utilizzato in coppia, quando era necessario, superare le maggiori pendenze.
Questi animali, erano a perfetta conoscenza del percorso, non avevano bisogno di alcuna guida, ed era prassi non rara, che ci fosse un solo conducente, per una carovana anche di cinque o sei buoi, con le relative lese e il loro carico di tavole.
Ogni animale aveva il suo carattere, che si manifestava con comportamenti ripetitivi, diversi per ogni esemplare, che un buon conducente conosceva, e che di solito mai ostacolava, per rispetto dell’animale.
Giacchin, racconta di un bue che usciva dalla stalla, faceva un largo giro e poi arrivava sempre, dove c’era la lesa e si predisponeva per essere cinto dal giogo.
“Erano come le persone c’erano quelli buin e quelli grammi e se ti prendevano in antipatia, si doveva stare attenti alle cornate….ma quelli di solito, finivano anzitempo in ta pignatta”

Per recuperare i tronchi più pesanti, nei boschi più scoscesi e ripidi, erano utilizzati anche tre o quattro buoi, assicurati alla lesa con lunghe catene.
Viceversa, le stesse catene erano utilizzate, avvolte ai legni della slitta, per frenare la lesa, nella lunga discesa verso la nostra città.
“Cavallin fa un passo avanti”
Giacomo parla con affetto di Cavallin, un bue suo compagno di tanti viaggi di lavoro.

Quell’animale, si era affezionato al suo padrone e fra di loro si instaurò un legame, basato sulla fiducia reciproca, Giacomo parla del bue come di un aiutante, dotato di forza e di molto buonsenso, da buon Cabanin, aveva i suoi tempi, si fermava ogni tanto per riposarsi, ma quando non vedeva più la sagoma di Giacomo, allora accelerava il passo, per stargli vicino, conosceva a occhi chiusi, tutte le strade ed era di una precisione millimetrica nei passaggi più impegnativi.
Un giorno d’inverno durante il trasporto di alcuni pali di castagno molto lunghi per la costruenda linea elettrica Urbe-Vara a causa del ghiaccio quel pesante carico scivolò mettendosi di traverso, Cavallin istintivamente deviò la lesa scongiurando un sicuro ribaltamento del mezzo di trasporto e la conseguente perdita del carico.
Era la simbiosi conducente / animale da tiro, il bue percepiva, anche dal tono della voce del conduttore, la rapidità con cui doveva eseguire il comando ricevuto, ma erano anche capaci, come lo sono i cavalli di percepire l’inesperienza o la titubanza, di chi era addetto al loro governo, le minacce anche a voce alte servivano a poco se non erano accompagnate dalle percosse.

Giacchin racconta di un trio di buoi, che si erano come coalizzati e rendevano difficile il lavoro di trasporto dei tronchi, appena tagliati, Giacchin chiese al proprietario di quegli animali, di metterli alla prova e vedere, se riusciva nell’intento, ad altri non riuscito, di rendere di buon comando quei buoi
Il bue animale docile, ma non stupido, se avesse potuto, avrebbe cercato di far meno fatica possibile.
Quel giorno Giacomo aveva un compito arduo doveva trascinare a mano alcuni tronchi molto pesanti, per poi caricarli sulla lesa, la fatica era enorme ma facendoli rotolare riuscì nell’intento.
Si fermò Il tempo necessario per riprendere fiato, ancora un piccolo ma grande sforzo e sarebbe riuscito a caricare sulla lesa, quel pesante tronco.
Ma con uno strano tempismo, il bue fece un passo avanti spostando la lesa, e il tronco finì a terra
Giacomo pensò ad un movimento involontario dell’animale e fece un altro tentativo ma anche questa volta furbescamente, il bue fece un passo in avanti, rendendo vano il tentativo di giacomo di caricare sulla lesa quel pesante pezzo di legno.
A questo punto Giacchin spossato dalla fatica de rubellòquelu biun e stufo delle furbizie del bue, si parò davanti all’animale, lo guardò negli occhi e in un impeto di rabbia lo morse sul naso, l’animale emise un muggito di dolore!
In quell’istante quel bue, capì di che tempra era fatto Giacchin e ogni volta, in sua presenza, quella bestia abbassava la testa, in segno di sottomissione, ma anche per nascondere il naso e ripararsi da eventuali altre morsicature!
Avendo avuto sentore dell’accaduto, anche gli altri buoi diventando più mansueti!

Il tempo passa veloce e con Giacomo si parla anche un po’ della vita nel Dan, il padre era dedito alle carbunee, che dovevano essere costantemente sorvegliate, a turno dai componenti della famiglia, il trasporto di questo combustibile contenuto nelle gerle e destinato ai runfò, il focolare domestico dove era cotto il cibo, era effettuato con i muli.

Inevitabili le ferite con gli attrezzi da taglio, tamponate sul posto con semplici legature.
Nel secondo dopoguerra, le fonti di approvvigionamento del legname per i cantieri navali furono diversificate.
Per un certo periodo, erano i faggi ad essere tagliati, richiesti dal mercato per la costruzione di compensati.
Commerci di legname internazionali, nuove viabilità e l’utilizzo di altri materiali, alluminio e acciaio, per la costruzione delle imbarcazioni, determinarono la fine dell’economia del legno per la cantieristica nel Lurbasco.

Per qualche decennio ancora, continuò l’epopea dei Lurbaschi in terra di Francia, tutti gli uomini in età da lavoro, compreso Giacomo, andarono a tagliar alberi e a fa tavole e traversine ferroviarie, oltralpe, ma anche in Sardegna e in Algeria.

Intere generazioni seguendo l’esempio dei padri o dei parenti, andarono a tagliar dei boschi in Francia, per quasi un secolo fino agli anni 50/60 del secolo scorso.
Lasciavano le loro abitazioni nel Lurbasco agli inizi di autunno, per far ritorno entro il 29 giugno, la festa patronale di S.Pietro.
I Lurbaschi in terra di Francia, è un’altra delle tante storie , molto ben descritte nella pagina Facebook “Museo del Bosco” meritevole opera di salvaguardia della memoria locale e di divulgazione storica.

Giacchin, mi racconta ancora del Dan, di quella contrada in sponda sinistra dell’Orba, con il suo mulino da farina.

Sutta a Rocca da Biscia, dove è nato e cresciuto, e dove anche lì era passata la guerra con i suoi lutti.

Per grazia ricevuta, fu eretta la Chiesa della Madonna della Guardia du Dan
Giacchin pensa a quel mondo, lontano nel tempo, quando il Dan era discretamente abitato, tutti si conoscevano, le porte delle case erano sempre aperte e i bambini, come lui, scorrazzavano liberi e spensierati.
Ma guai a combinar qualche marachella, i bambini erano patrimonio di tutta la comunità e una persona adulta, poteva decidere di comminare una sacrosanta punizione, a qualsiasi bambino, anche se non imparentato.
E mai lamentarsi a casa, con papà e mamma delle botte ricevute magari dal vicino di casa, c’era il serio rischio di prenderle una seconda volta!

C’è un pensiero che accomuna i racconti du Giacchin e du Biscazè, gli ultimi che hanno guidato le lese dei loro padri nei boschi e lungo perdute strade è quella convinzione, che nessuno oggi, sia in grado di capire anche solo parzialmente, come poteva essere la giornata dall’alba al tramonto, di un ragazzino o di una persona adulta con una famiglia da sfamare e come poteva essere il lavoro nei nostri boschi e in quelli del Lurbasco.
Una vita di lavoro, magari diversificata, dall’incedere delle stagioni, ma sempre faticosa e con molte privazioni.
Bisognerebbe avere la consapevolezza, che il nostro vivere quotidiano, fatto di comodità e di cose scontate, lo dobbiamo ai nostri vecchi.
Ma nella nostra città, serve anche avere riconoscenza verso quelle persone, che, con il loro incessante lavoro, hanno contribuito a portare, valicando il Beigua, lavoro e benessere a Varazze.
Fornendo la materia prima, il legno per i cantieri navali, che davano lustro e facevano parlar di Varazze in tutto il mondo.
Di quella manifattura, non solo cantieristica, che mobilitava, per lavoro moltitudini di persone, anche dai comuni limitrofi, non è rimasto più nulla.

Restano incorruttibili dal tempo, quelle pietre scavate e levigate dai saliscendi di lese bo e ommi, lassù, in te quellu ciappin du Lunò, a ricordarci da dove arrivò la ricchezza a Varazze.
