
In alcuni testi, si trova scritto anche Montadoro, forse in onore alla Legenda Aurea del Beato Jacopo , oppure per descrivere una località ben soleggiata.
E se il toponimo Muntadò derivasse da Munta du Duu?
Muntà è riferita ad una irta salita e do o duu, in dialetto significa dolore, salita del dolore.

A favore di questa ultima tesi, qualche anno fa, è stato ribadito il divieto di cospargere le ceneri dei defunti in luoghi non autorizzati, la diffida era a seguito del ripetersi della dispersione di ceneri dei propri cari, lungo la via Bianca, in prossimità del Muntadò.
Sul Muntadò, quel bricco dal profilo vulcanico, che sovrasta la Costa di Casanova, allunga le sue propaggini a Cianavia, Sigaa, arriva au Buntempo, e termina au Carmettu, sono ingenti i residui di manufatti della seconda guerra mondiale.

Anche qui, dinanzi ad uno spettacolare panorama, l’uomo ha portato la follia di una guerra persa in partenza, qualche anno prima.
Nell’ultimo conflitto mondiale, su questo bricco, c’era un posto di osservazione antiaerea, con un grande proiettore per illuminare un’eventuale bersaglio notturno, alle batterie contraeree di Campomarzio e di Stella S.Martino.

La grande buca scavata nella roccia del Muntadò e alcuni camminamenti erano occultati durante il conflitto mondiale, con i teli mimetici.
Una trincea ancora in buono stato di conservazione, circonda in toto questo colle.
Una postazione per mitragliatrice era messa a guardia del sentiero di accesso, che si diparte dalla via Bianca, in prossimità della chiesa del Beato Jacopo.

Arrivati all’apice del Muntadò poco prima di questi ingenti residui militari, incuriosisce un Muggiu de Prie, chiaramente non appartenente ai manufatti sopra citati, ma da cui sono state prelevate le pietre per essere utilizzate nella fortificazione di questo bricco.
Il perchè di questo Muggiu de Prie su questo bricco, come in altre vette del circondario, non è noto, potrebbe essere la risulta di una bonifica del terreno, oppure i ruderi di un manufatto, un Castellaro o comunque una costruzione, con compiti di sorveglianza e difesa del territorio e della vie di comunicazione.

Alle pendici del Muntadò, arrivava la via romana Emilia Scauri, proveniente, valicando alcuni bricchi, da Hasta e dove ora c’è la chiesa del Beato Jacopo, si biforcava, verso Campo Marzio e tramite l’attuale via Gianca scendeva al Castrum Romano del Parasio e arrivava a Ad Navalia.

L’incredibile vista a 360° che si gode dal Muntadò, fa intuire l’importanza che poteva avere questo bricco.
La sua inconfondibile conformazione e la posizione strategica di questo monte, sarà stata senza alcun dubbio sfruttata in qualche modo, ai tempi in cui coesistevano due guarnigioni romane, nel Castrum del Parasio e a Campomarzio.

Il Muntadò è un gigantesco monolite, visibile e inconfondibile, alla vista degli abitanti e ai viandanti che si accingevano a raggiungere il primo insediamento romano, posto sul Colle di S.Donato, dove alle sue pendici lambite dal mare c’era il porto .
Per l’espansionismo di Roma e la sua onnivora flotta mercantile e da guerra, serviva legname da utilizzare nei cantieri navali della nascente Ad Navalia
Nelle grandi foreste, dei nostri monti viveva il popolo dei Liguri.
In simbiosi con la natura, adoravano i loro dei, che avevano dimora nelle grandi piante, nelle pietre e nei monti come il venerato monte Greppin che un esatto multiplo del Muntadò!
Con una guerra che durò alcuni secoli i romani affamarono dispersero e sterminarono il popolo LIgure, per depredare il loro oro verde.
Chi non si arrese continuò la sua lotta ai Cesari, ma se era catturato per lui niente deportazione, anzi la sua morte doveva essere spettacolare, per incutere la paura negli altri indomiti guerrieri.

Era uso dei romani, lasciare alle porte delle città o sopra un rilievo, in prossimità delle strade di accesso o di un crocevia, per incutere timore e il rispetto delle loro leggi, i corpi di chi era stato punito.
O chi reo di qualche reato, legato all’albero infelice e fustigato.
Anche i cadaveri di chi era stato giustiziato, tramite decapitazione.
Chi era condannato per incendio doloso, appiccato ad un edificio o a dei materiali, era punito con lo stesso mezzo.
Il piromane, era legato ai dei covoni di frumento ed era appiccato il fuoco.
Il rogo come esecuzione di sentenze, entrò a far parte delle pene capitali in epoca imperiale nel 64 a.c. con i cristiani che erano dati in pasto alle belve, affissi alle croci e consumati dalle fiamme.
Tacito dice “quando la luce calava bruciavano a mò di fiaccole”.
Al condannato era fatta indossare una “tunica molesta”, un abito intriso di pece e zolfo e poi dato alle fiamme.
Alcuni toponimi presenti nel territorio della nostra città, quasi tutti relativi a dei bricchi, contengono la parola Forca retaggi di luoghi di esecuzioni.
Quei roghi che si intravvedevano alle prime luci della sera, sul Muntadò erano le esecuzione capitali, effettuate tramite il fuoco.

Il bagliore delle fiamme dal Muntado, era visibile nel buio nell’ Alta Valle Teiro, in quei boschi inaccessibili, dove erano stati segregati i Liguri.
I nostri avi, avevano conosciuto sulla propria pelle, la spietatezza dei romani e forse con quel rogo, era stato giustiziato in modo atroce, un loro compagno d’ armi, caduto in mano a quegli usurpatori arrivati da Roma
