
Due amici a SanPeo, seduti sugli scalini, all’ombra, nel fine pomeriggio, di un’afosa domenica di luglio.
Parlano di un’argomento di attualità, un grande problema che preoccupa, cittadini e istituzioni, è l’insolita persistente siccità, che sta prosciugando, anche in questa zona della città, rian, peschee, surchi e vinvagne.
Nel secolo scorso, la scarsità d’acqua fu, in più di un’occasione motivo di grande disperazione a Villa Datu e SanPeo
Quando il rio di Galli, u rian du Fussellu e du Merlin d’estate si prosciugavano.
Quandu anche i surchi, cian cianin sciugavan, u gh’ea, ma pe poco l’equa de Peschee duvve e rane nu cantavan ciù de notte, e u pisciuellu de Vinvagne, ogni giurno u l’ea sempre ciù piccin.

Tutti i terrazzamenti da Peana, Sciandra, Canaeta, Cian de Bana, da Costa, Barrillea, Fussello SanPeo, du Quinnu ecc. erano coltivati e quindi il fabbisogno idrico, per uso irriguo e potabile era notevole
Il pensiero e le parole, di questi due amici, corrono indietro nel tempo, a cercar nel magazzino della memoria dove abbiamo i nostri ricordi, quelli più belli e qualcheduno brutto, di un’epoca non molto lontana, ma che già appartiene alla storia del nostro entroterra.
Quando le famiglie in difficoltà o disperate si rivolgevano ai santi a cui avevano dedicato una chiesa o eretto una cappella

La mancanza d’acqua era un enorme problema per chi un tempo lassù a Casanova e SanPeo, sfamava niè de figgi con i prodotti della propria terra.
Non solo ortaggi da irrigare nei campi ma anche bestie in ta stalla, in tu gallinò o in te na cuniggea.
Una vita grama quella dei cuntadin e manenti scandita dalle stagioni e dai capricci del tempo
Siccità, esondazioni pestilenze e la guerra, univano la gente intorno ad una chiesa e alla figura di un prete, per cercar aiuto e conforto non solo nelle parole di un sacerdote, ma anche nella partecipazione a quelle funzioni religiose, che univano le famiglie.
E poi finita la messa o una novena, si faceva convivialità restando sul sagrato a far quattro chiacchere, a chiedere notizie, vui cumme stei e to nonnu cumme u sta? A vacca a l’ha fetu? Equa ghe nei? U ve serve na man pe camallò quelle prie?

1) Antonio Egro (Musciu) 2) Bernardo Recagno (Medaggiu) 3) Pietro Delfino (Neigri) 4) Francesco Bozzano (Vicaiu) 5) Carlo Bonfante (Bellun) 6) Giacomo Robello (Russu) 7) Giuseppe Fazio (Furtun) 8) Gio Batta Fazio (Ciurrè) 9) Angelo Da Bove (Giullin du Sascello) 10) Gio Batta Molinari (Gallollu) 11) Don Attilio Ing. Damele (Riccu-parroco e progettista della strada) 12) Gio Batta Fazio (Baciccia da vidua) 13) Bernardo Damele (Pastu) 14) Giuseppe Garbarino (Garbarin) 15) Giovanni Piombo (Coin-a) 16) Stefano Fazio (Ciuin) 17) Giuseppe Siri (l’urbè) 18) Angelo Ferrando (Berù) 19) Vincenzo Craviotto (Lucchi) 20) Stefano Fazio (Ciurè) 21) Gerolamo Anselmo (Giottola) 22) Stefano Accinelli (Binellu) 23) Nicolò Damele (M….secca) 24) Bernardo Vallerga (Grossu) 25) Angelo Craviotto (Perseghin) 26) Francesco Damonte (Baccia) 27) Lazzaro Damele (Luisin) 28) Gio Batta Fazio (Ciurè) 29) Giuseppe Damele (Rissu) 30) Pietro Ottonello
Si discuteva si ratellava anche, ma poi se mettivan a postu quelle prie e se favan de cose drite.
C’era la solidarietà, quella vera, quella di tutti i giorni, un bene prezioso, ma oggi molto raro.
Saturnin e Faustin ricordano di aver partecipato da ragazzi a quelle funzioni religiose, dove i contadini chiedevano l’intercessione divina, per interrompere un periodo di siccità o il perdurare di altre calamità.
Era S. Isidoro il santo a cui era delegato il governo dell’acqua piovana e allora in suo onore si allestiva u Triddiu, che erano tre novene, da recitare la sera, al termine di un’altra giornata bruciata dal sole.

E Rogasiun invece erano processioni, effettuate periodicamente, per l’auspicio di un buon raccolto, retaggi di antichissimi riti pagani, furono praticate fin oltre la metà del secolo scorso.
L’etimologia della parola rogazione deriva dal latino rogare chiedere, pregare.

La partenza delle Rogazioni erano effettuate dalla piazza della parrocchia, le processioni si snodavano per le strade e i senitieri di Casanova e SanPeo, per far si che la benedizione del sacerdote, arrivasse in ogni recantu .
Faustin e Saturnin ricordano alcune Rogasiun a cui avevano partecipato a metà del secolo scorso.
In quel periodo il parroco di Casanova era soprannominato l’African, forse per i suoi trascorsi come missionario.
A detta di molti, chi governava parrocchia e parroco era la sorella dell’African, che faceva la maestra quando l’edificio scolastico era sulla piazza della Chiesa
Alla testa delle processioni c’era la croce, portata dal sacrestano Baciccia u Campanò.
Faustin ricorda la parlata con la erre arrotolata di Baciccia e gli scherzi che loro ragazzotti comminavano al sacrestano
Lungo il percorso si cantavano le lodi alla Madonna, S.Bernardo S.Pietro, arrivata al capolinea del suo percorso, la processione si scioglieva e la gente rientrava nelle proprie case.
Il prete e il sacrestano con la croce in spalla ritornavano alla Chiesa.
Ma c’era un altro fenomeno molto temuto da chi coltivava la terra aveva alberi da frutta o uva appeisa a toppia
Saturnin racconta che, quando iniziava a grandinare, andava alla finestra, sapendo che da lì a poco sarebbe passato di corsa uno dei Massari di SanPeo u Fiurin, Beneitu o u Feipin.
Allo scoppio del temporale, chi dei tre era più vicino alla chiesa di SanPeo, incurante di quelle sfere di ghiaccio, che stavano cadendo con forza dal cielo, correva, proteggendosi la testa con un vallo, uno di quelli utilizzati per la cernita delle olive, entrava in chiesa per suonare le campane a stormo.
Si diceva che le vibrazioni indotte dal suono delle campane limitavano e facevano terminare quel fenomeno meteorologico.
Fortunatamente quando un fulmine si abbattè sul campanile della chiesa di SanPeo non c’era nessuno a suonar le campane, la saetta attraversò la campana prima di scaricarsi a terra provocando una vistosa crepa nel bronzo.
Magin da Meistra, fece rifondere la campana ormai fuori uso per costruirne una nuova.
Lo spopolamento del nostro entroterra, nel secondo dopoguerra con l’abbandono delle pratiche agricole e di allevamento, determinò la fine di queste funzioni religiose.
E se i nostri vecchi attendevano con ansia l’arrivo della pioggia, oggi succede il contrario.
Una paura mai sopita, si è insinuata dentro di noi e ci fa correre ancora oggi alla finestra, anche in piena notte, durante un temporale, per guardare un rian o una strada.

La strada diventata fiume la mattina del 4 ottobre 2010.
Una paura che chi non l’ha avuta, per sua fortuna, non può conoscere.

Oggi noi possiamo anche sorridere di quel sapere antico, ma siamo proprio sicuri di aver capito, di mettere in pratica, ma sopratutto di ricordare e tramandare quello che ci hanno insegnato i nostri vecchi?
Quanti surchi scavati dai nostri vecchi sono rimasti? Mantenuti in efficenza, che deviavano, regimentavano le acque piovane?

Seduti sugli scalini Saturnin e Faustin, grandi amici parlano di tante altre cose, degli animali da lavoro che entrambi sin da ragazzi dovevano accudire, storie di tori vacche e bo, anche curiose e divertenti.
Animali da lavoro che tanta fatica toglievano non più tardi di qualche decennio fa a chi in questo anfiteatro naturale molto soleggiato compreso tra a Rocca du Mascian e il Muntadò, coltivava quella terra che era stata del papà prima ancora del nonno, tutti ricordati con i loro soprannomi che spesso coincidevano o davano il nome a un pezzo di terra strappato a questi ripidi pendii a picco sulla valle Teiro.
Grazie Saturnin e Faustin!
Foto b/n Archivio Fotografico di S.Pietro e Archivio Fotografico Varagine
