
Lasciato il pianoro de Campumarsu, la via romana Emilia Scauri, raggiungeva la borgata di S.Luensu, dove durante il sopralluogo del Rocca, furono individuate, a fianco della chiesa, alcune tumulazioni di epoca romana e poco distante i resti diruti di una fornace per mattoni.
A questo punto, la strada romana era impossibilitata, a proseguire in direzione du Pei, perché sarebbe stato arduo costruire e soprattutto rendere percorribile, una strada carrabile, visto il notevole dislivello per arrivare al fiume Teiro, dove in località Posi, nell’alveo du Teiru, si trovano i resti di un antico ponte romano che spostava la viabilità in sponda destra del fiume, in direzione del Maiegua e S.Martino, per raggiungere Alba Docilia, l’attuale Albisola.

Dopo S.Luensu, gli ingegnieri romani, cercarono un percorso meno ripido, verso sud, attraversando la località Cian Batto’.

Oggi questo toponimo, dà il nome alla strada che da Valoia, si inerpicava ad arrivare al bricco dei Peccetti e al Brichetto, saccun e Cian Battò.

L’origine di Battò può significare, dal zeneise baatto`, baratto o disputa.
Il baratto, era la prima forma di scambio commerciale, è probabile che questa zona, crocevia tra le mulattiere che provenivano dalle località dell’entroterra, e la via Emilia Scauri, fosse zona di commercio e le dispute, una diretta conseguenza di questi scambi.
Grazie alla gradita e interessante storia di questa zona, che mi racconta Bruno Rossi, proseguo la mia “esplorazione” partendo dau Brichettu per raggiungere S.Luensu.

La strada di Battò è interrotta dal rio Lampu, dove si erge, maestoso, un bellissimo bosco di canne d’india.

In questo punto, sono ancora visibili alcune pietre di un’antico sedime stradale, attraversato il corso d’acqua, dell’antica strada, non rimane che un viottolo, adiacente ad una casa, da dove inizia la salita, che arriva alla soprastante località di S.Luensu, attraversando la borgata detta di Saccun.

Anche questo toponimo può aver diverse interpretazioni, saccun in zeneise è il pagliericcio antesignano della strapunta, forse in queste case di Saccun, si confezionamento questi giacigli, ma saccu è anche detto il sacco, oppure ancora sacuna’ bastonatura o colpo.

Bruno, mi racconta dell’antica edicola, eretta chissà quando, al culmine della salita del Brichetto, contenente una statua della Madonna, acquistata a Savona e fatta consacrare nel 1965, da sua mamma Palmira.

Infissa in basso, nel pilastro, una lastra di pietra, una posa per chi in questo punto, scaricava dalle proprie spalle il pesante fardello del carico che doveva trasportare, per un momento di riposo e di preghiera.

La fatica, l’ingegno, la mano dell’uomo, è visibile, presente da ogni parte in contrada Battò, dalla strada messa in sicurezza e ampliata, con le proprie forze e risorse dagli abitanti di questa località, dove in alcune mancanze di asfalto emerge l’antico sedime di pietre “posò de costa” per meglio far aderire gli zoccoli degli animali che arrancavano o discendevano questa strada.

I grandi terrazzamenti, la grande vasca rotonda, fatta costruire da Luigi il papà di Bruno, per raccolta dell’acqua, eretta nel punto più alto.

I canali per l’acqua di irrigazione che sottopassano la sede stradale, le belle ristrutturate abitazioni, gli orti e frutteti, in una zona aperta e soleggiata, adiacente alla località Pancodo, pane caldo, cosi denominata la porzione di territorio soprastante i Posi benesposta e soleggiata
Anche ai Batto` raccolgo testimonianze da chi abita in questa zona, relative ai danni operati dagli animali selvatici, che compiono nottetempo, disastri alle colture e al terreno, non per niente sono molte le recinzioni che delimitano le zone prative.

Bruno mi accompagna in vista di quello, che è a tutti gli effetti, un mirabile esempio di costruzione in pietra, il ponte dei Peccetti.
In questo punto della via romana, c’era un ponte che oltrepassava il rio dell’Ormu, probabilmente diruto a seguito di una alluvione o distrutto in qualche contesa territoriale, Bruno ricorda, dai racconti di suo nonno, che il ponte fu ricostruito a fine del 1800 o i primi anni del 1900, dagli abitanti del posto, insieme ai cavatori de Groppine, che dovevano transitare, provenienti dalla Munta` da Cappelletta con i loro carichi di pietre in direzione di Genova.
Il ponte originario, era il classico ponte romano ad arco premente, quello che noi oggi possiamo ammirare è un ponte formato da quattro enormi macigni, della lunghezza di circa due metri cad. posati sui muri, in pietra del basamento, per scavalcare il corso d’acqua. Ci si chiede, quale tecnica fu usata, per il trasporto sollevamento e posa in opera di queste pietre, dal peso di qualche tonnellata!

A fine ottocento già esistevano dei bighi, gru o paranchi, ma impossibili da trasportare sul posto, fu la sola forza delle braccia, la fatica l’ingegno, l’impegno dei nostri avi, tutti uniti per realizzare un bene comune, che riuscirono nell’impresa, lasciando a noi posteri, il compito di mantenere, vivo il ricordo del loro lavoro.
Ma anche di aver cura di questi manufatti, che testimoniano vite vissute, nel nostro entroterra, gente che traeva il necessario per campare e tio` sciu` di figgi, da un campo coltivato, dell’allevamento di animali domestici e da altri lavori come le giornate a lavorare nei terreni altrui.
Peccetto è il nome dialettale di pettirosso, ma peccetto` vuol dire anche peccetta` litigare e la zona può essere quella degli antichi baratti, quale delle due traduzioni accettare?
Bello pensare ai nostri avi, quando fu posata l’ultima pietra di quell’attraversamento fluviale, avranno gioito, festeggiato, cementando cosi` ancor di più la loro comunità, basata sopra le pietre di un ponte, come a simboleggiare l’unione virtuale, che crea la solidarietà, quella vera che si ha solo, se si contribuisce a migliorare le condizioni di vita di un singolo essere umano o di una comunità, (oggi necessario aggiungere senza ledere i diritti altrui)


Sulla via del ritorno alcune foto della via d’acqua ai Busci e in Valloia.
Ringrazio per questo post Bruno Rossi e Daniele Bignotti.
In calce un’interessante link sull’uso delle monete in Liguria che pose fine alla pratica del baratto.
