
C’è un posto nel nostro entroterra, che era frequentato da noi zueni, in età da motorino, quando nella bella stagione il caldo si faceva insopportabile e allora si sentiva il bisogno di cercar un po’ di refrigerio nel nostro entroterra.
In motorino, senza l’obbligo del casco, l’aria dava sollievo e asciugava il sudore.
E forse per suggestione o perché l’umidità era meno opprimente, quando si passava sotto le fronde degli alberi di quei boschi di castagno, si respirava un’altra aria, a tratti anche fredda.

Anche quel piccolo motore 50cc, che come tutti i propulsori dei ciclomotori, anni 70, non era più a norma, secondo il codice stradale, aveva un po’ di pace perché, con l’approssimarsi del bosco, iniziava il tratto in discesa verso Ciangrande, ora erano i freni ad essere sotto sforzo.
Ho il grande rammarico di non aver neanche una foto di quel periodo.
Conservo però un diario, che non è quello scolastico, in cui per quanto riguarda il 1975, ho annotato quello che si faceva.
Ma anche i fatti di cronaca e di sport più salienti, accaduti.
E’ stato l’anno dell’attestato professionale e dell’inserimento nel mondo del lavoro.
Con il motorino, insieme agli amici, facevamo scorribande anche lontano da casa e spesso sconfinavamo in altri comuni, conoscevamo ogni strada nera e bianca.
E naturalmente conoscevamo tutte le nostre coetanee, anche dei paesi limitrofi,ma loro non ci consideravano, noi perenni bambinoni, eravamo ancora nel mondo del divertimento. Mentre loro avevano già le idee chiare e una rosa di nomi, tra cui scegliere il loro accompagnatore. Noi in quell’ ipotetico elenco neanche eravamo compresi!
Emmu cumme ghe discian a Zena ne carne ne pesciu.
Machissenefrega! Eravamo quattru amisci cun u muturin, un ballun e cun tanti campi de tera, pin de prie, cun un pò de erba, duvve zugò
Il 17 maggio 1975 ho annotato sul quel diario:
“Giocato a pallone al campo del Deserto Bolzino-Faje vinto 7-6 ho segnato il gol della vittoria preso un palo e fatto fare 2 goal”
Sono passati tanti anni, da quel sabato pomeriggio e di quella vittoriosa partita, in cui io ero stato il mattatore, ho solo un vago ricordo.
In Cian Grande, ci si accede appena si oltrepassa il casone, che un tempo ospitava i boy scout, nelle loro giornate disciplinate.

La strada sterrata, scende con una pendenza costante e senza curve strette arriva al varco di Cian Grande, una delle porte di accesso dell’Eremo dei frati carmelitani.

In questo punto iniziano le possenti e impressionanti mura che delimitano l’Eremo del Deserto.

Questo gigantesca muraglia, sembra che scivoli verso u Rian da Sera, mentre dalla parte opposta il muro risale faticosamente, il crinale del monte.

Questa opera colossale, connota un passato di potere temporale della chiesa, con grandi disponibilità terriere, enormi risorse, finanziarie e umane.

Costruita perché la vita dell’Eremo, non fosse contaminata dal peccaminoso mondo reale.

Ma impediva anche la fuga, verso il mondo reale, di chi voleva fuggire, da quel luogo cupo, misterioso e che incuteva terrore ai novizi.

In Cian Grande, oltrepassato il muro dell’Eremo c’era un grande pianoro con al centro il campo da calcio del Deserto.
Un campetto a sette, con le porte in tubi di ferro e come tutti i campetti che calcavamo in quegli anni 70, era senz’erba e spuntavano pericolose pietre, dove si concentravano le azioni da gioco.
L’erba invece, cresceva indisturbata nelle parti poco calpestate durante le partite, quelle in prossimità dei calci d’angolo.

Il campo da calcio di Cian Grande, aveva un altro accesso, dall’Eremo si scendeva nel Rian da Sera e si raggiungeva il campo, tramite un pontino di legno, che sovrapassava una grande vasca di raccolta acqua per uso irriguo.
Perennemente all’ombra de gasie, acacie, quella pozza d’acqua era meta delle nostre abluzioni estive come refrigerio alla calura.
Ma era una ghiacciaia, anche nella bella stagione e non si riusciva a resistere molto in ammollo, i sintomi di un principio di assideramento, si evidenziavano con dei forti brividi, il corpo segnalava tutto il suo disagio per essere stato immerso a bassa temperatura.

Oggi quel pontino in legno non esiste più e la vasca è insabbiata.
Ho voluto ripercorre quella strada sterrata, per raggiungere Cian Grande, come facevo un tempo, anche se la moto che ho è poco adatta allo sterrato.
Allora l’ho lasciata un paio di curve prima di arrivare al campo di calcio.

In uno scenario cupo, per la presenza di quelle grandi mura colonizzate dall’edera, oltrepasso l’ingresso e subito riconosco alcune grandi pietre piatte, dove seduti facevamo merenda.

Ma il posto non sembra quello!

Pensavo di trovare un prato incolto e ancora quelle porte in ferro magari consumate dalla ruggine, ma la presenza di alcune piante mi fa dubitare che sia proprio quello Cian Grande.

Fuga ogni dubbio, un pallone in platica sgonfio, che vedo imprigionato tra i rovi.
E’ proprio quello l’ex campo da calcio del Deserto!

Cian Grande è un pianoro, strappato alle pendici dei bricchi, bonificato dalle pietre, delimitato verso sud da un precipizio e verso u Rian da Sera, da una serie di piccoli terrazzamenti, che in estate al termine delle partite saltavamo veloci per poi tuffarci nelle gelide acqua del Rian.

La natura si è ripresa anche questo nostro luogo del cuore.
Ma cosi è, un’altro dei nostri campi da calcio, dove si passavano i pomeriggi a inseguire un pallone, non esiste più.
Cian Grande è stata anche una grande area attrezzata, con tavoli all’ombra dei grandi erbui de pin neigru e de rue.
C’erano le zone cottura, per cuocere la carne.
Le famiglie e i giovani si radunavano in Cian Grande, per il merendino o per far delle mangiate.
Prima però l’immancabile partita di calcio e in estate un bagno in quelle acque gelide.
Chissa se ci sarà e lo spero, tra i lettori, che hanno avuto la pazienza di leggere questo post, qualcheduno di quei ragazzi che su questo campo inseguivano un pallone.
….e duvve u gh’ea a pua, lì u gh’ea u ballun
foto b/n Archivio Storico Fotografico Varagine
