Quella Pignatta sutta au Fo

Chissà di chi erano quelle cose perse, abbandonate e poi ritrovate per caso.

Ritrovate durante dei lavori, in un trasloco o in uno sgombero a seguito di un cambio di proprietà.

Cose ritrovate per caso, o cercate appositamente a seguito di informazioni, passaparola, per sentito dire (o pe na botta de cu).

Questi oggetti riportati alla luce, sono nulla se privati della loro storia.

E se sono di poco valore, il loro destino e’ il macero o la rottamazione.

Se hanno un valore commerciale, vanno a finire sul banco di qualche mercatino, insieme ad altri innumerevoli oggetti .

Acquistati perchè visti piaciuti e con il vanto di aver fatto un buon affare.

E chissà di chi erano, quelle monete, ritrovate in pessimo stato di conservazione, molte completamente corrose, altre dalle scritte illegibili?

Sotterrate una notte negli anni “40, quando venne meno la fiducia verso le banche e verso un regime, quello fascista, che stava portando l’Italia in un baratro di distruzioni lutti e fame.

Sotterrate, nel nostro entroterra, in quei paesi aggrappati ai nostri monti, che diedero tante giovani vite alla patria.

Monete ritrovate nei campi coltivati, presso le abitazioni dei contadini.

Furono messe al sicuro sottoterra e controllate a vista, lasciate lì da chi, da quella guerra, non era più ritornato.

Questa montagnola di monete, in corso legale negli anni quaranta, stranamente e fortunosamnete, fu ritrovata nelle radici di un faggio.

Riportate alla luce, quando il ceppo di quello che era stato un grande faggio, tagliato molti anni prima, fu sradicato, per costruire un muro di sostegno per una strada.

Le monete erano stipate in una pentola di terracotta.

Era una notte, senza luna, quando quel giovane in divisa, sotterrò quella pentola, ricolma di monete, con l’ansia di esser visto.

Partì qualche giorno dopo, con le scarpe di cartone verso il freddo o forse fu imbarcato su una delle tante carrette galleggianti.

Chissà quante volte avrà pensato alla sua ragazza, che lo aspettava in quel paese aggrappato al monte e a quel suo gruzzoletto sotto a quel faggio

Erano le paghe delle sue giornate a lavoro nei prati e nelle stalle.

Il loro tesoro nascosto sottoterra, sutta a quellu fo.

Le monete erano tante, ma non era una grande somma, non quella che serviva per metter su casa, ma bastavano per fare una cosa, quando sarebbe ritornato da quella inutile guerra.

Le avrebbe fatto un regalo, forse un bel vestito e mantenuto quella promessa, che gli aveva fatto sotto quell’albero prima di partire.

Sutta quellu fo u ciù bellu de quellu boscu.

Quel giovane soldatino pensava… un giorno devo scriverlo su una lettera,”….ho paura di non rivederti mai più, se questa stupida guerra mi porterà via, e allora voglio darti adesso, il mio regalo. Lo troverai sotto quell’albero, dove ci sono anche i nostri nomi incisi.”

“Quell’albero, che tante volte ci ha visto insieme, felici a guardare il tramonto”,…. scriverò, “porta questa lettera a mio papà, e digli di scavare per te, per noi”.

Ma quella lettera non fu mai scritta, forse si sarà persa in fondo al mare o rimasta nella tasca di uno dei tanti dispersi in guerra, mai più ritornati.

Le monete sono sempre rimaste, lì da quella notte senza luna, chissà quante persone a loro insaputa , saranno passate o si saranno sedute a guardar il sole al tramonto, sotto a quel faggio, sopra a quel gruzzolo di monete.

E quella ragazza, chissà quante volte sarà stata sotto quell’albero a piangere quel perduto amore.

I loro nomi incisi su quell’albero, ogni anno salivano sempre più in alto.

Erano l’unica cosa che lui gli aveva lasciato e che gli ricordava quel suo giovane sfortunato amore.

Il passar del tempo, affievolisce i ricordi, cancella il dolore e anche quei nomi incisi su quell’albero che non c’è più

Chissà come sarà stata la vita di quella ragazza, diventata poi donna, forse nonna.

Fu una bella sorpresa per gli operai, il ritrovamento di quelle monete, durante i lavori di ampliamento della strada!

Erano tante, ma non era una grande somma, questo decretò un’esperto numismatico.

Il ricavato dalla vendita di quelle monete, non avrebbe cambiato la vita a quei cinque operai che avevano trovato la pentola.

Pensarono a chi, in quella notte senza luna, aveva seppellito quella pentola e non era mai più ritornato da quella infame guerra.

Quel ricavato, fu utilizzato per un monumento ai caduti, quelli dimenticati perchè non vittoriosi, della seconda guerra mondiale.

“Era gente comune, contadini, operai, povera gente, ingannata dalla follia umana e mandata al macello per la patria, in una guerra d’aggressione”

Questa frase fu scritta sulla lapide.

Nessuno sa chi era quel soldatino, che nascose quella pignatta, ma il suo nome c’è, insieme ad altri, inciso su quel monumento.

Chissà che fine avranno fatto quelle monete, senza più la loro storia, disperse sulla bancarella in qualche mercatino e acquistate solo perchè viste piaciute e con il vanto di aver fatto un buon affare.

Storie perdute per sempre.

Ma quanti nomi ci sono ancora, incisi sugli alberi!

E chissà quante ragazze hanno finito le loro lacrime, aspettando un soldatino, mandato a morire per la patria.

Mai piu ritornato e senza una tomba dover portare un fiore.

Ma come si può chiamare patria quella che costringe a nascondere i risparmi di un duro lavoro, sottoterra, e che fa piangere le ragazze?

Questo racconto è verosimile di un passato in cui era prassi comune, nascondere oggetti e monete per la paura che fossero rubate o requisite e non ha nessuna attinenza a fatti accaduti realmente o a ritrovamenti di monete nella nostra città.

Foto dal Web

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