
Tratto da “Olio di Oliva e Cotone” di Martini Giovanni.
Tutti quei manufatti, baracche e rimessaggi, opere provvisorie/definitive, costruiti, disordinatamente a ridosso della spiaggia, nei pressi del porticciolo, furono qualche anno dopo, uno dei tanti pretesti, per avvalorare la costruzione del nuovo porto.

E’accaduto lo stesso, nei confronti degli edifici, ex cantieri navali, ex deposito del gas, ex conceria e l’ex Piombo abbigliamento, già Varauto.
Ultimi simboli di un passato operoso della nostra città.
Ma per quelli con la memoria corta o che non sanno che questa zona di Varazze, ha sfamato generazioni di nostri concittadini, quelle aree dismesse, erano cinicamente considerate un brutto biglietto da visita, per chi arrivava in città proveniente da Savona.
Serviva avere un pò di senso di apparteneza, l’orgoglio del nostro passato manifatturiero e pretendere un uso pubblico di quelle aree.
Forse serviva una petizione popolare o rispettare la volontà dei cittadini, con un referendum.
Ma si sa come vanno a finire queste cose, sempre il solito clichè.
Il degrado di una zona industriale è una situazione voluta, propedeutica per l’avvallo, anche popolare, di un’altra cementificazione, in questo caso denominata “riqualificazione del retro porto”
A mio parere in un’area cosi’ strategica per la città, e in un ottica di diversificazione dell’offerta turistica, si poteva far ben altro, creare degli impianti sportivi e un’area per manifestazioni, ben raggiungibile dalla vicina stazione ferroviaria.

Da tempo abbiamo perso anche il campo sportivo Pino Ferro, per uno squallido parcheggio camper, un giovane che oggi vuole giocare a calcio, deve sobbarcarsi un disagevole e come tutti i viaggi, oggi anche pericolosi, fino alla località Natta nel comune di Celle.
In tanti a Varazze hanno rinunciato a tirar due calci ad un pallone.

Ben altro aspetto aveva l’area portuale, negli anni 70.
Una spianata in terra di riporto, all’entrata della zona del porticciolo, delimitava con una ardua scarpata, l’arenile e fungeva da parcheggio per le auto.
Partendo dalla spiaggia si poteva raggiungeva il culmine di questo cumulo, percorrendo un ripido sentiero.
Qui a lato del parcheggio ,nel periodo estivo, c’era un grande chiosco bar, e all’ombra di un telo si poteva mangiare l’anguria.
In direzione del centro, c’era ancora il residuato bellico, del massiccio muro antisbarco costruito dalla TODT, che separava la via Aurelia dalla spiaggia e da un grande deposito di imbarcazioni di tutti i tipi con la sede dell’Associazione Pesca e la Lega Navale.

Alla fine di quei lunghi pomeriggi passati a spiaggia, si raccoglievano “i muscoli” tra gli scogli del molo grande, quello verso il mare aperto.
Non serviva niente nè maschera nè pinne.
Le colonie di mitili, crescevano sotto ad un palmo d’acqua, attaccati alle grandi pietre frangi flutti.
A volte per prendere gli esemplari più grandi,si andava sott’acqua e per avere le mani libere, i muscoli raccolti erano infilati nella parte posteriore del costume.
Roberto della grande famiglia dei “Fratin” vicino di casa, era il mio compagno in queste giornate di mare.
Eravamo neri, bruciati dal sole e bianchi di sale.
I mitili negli anni 70 erano parte consistente dell’habitat marino, antistante la nostra città, crescevano in fretta, ogni scoglio ospitava delle vere e proprie colonie.
Oggi invece quelle grandi masse nere di molluschi e le praterie di posedonie sono del tutto scomparse perché?
Sitoricamente si associa la scomparsa delle cozze, con l’entrata in funzione del depuratore.
Ma sembra che la vera causa sia l’acidificazione del mare a seguito della grande quantità di CO2 sciolta in acqua e del costante aumento della temperatura media dell’acqua di mare, questi fattori indeboliscono i filamenti che tengono ancorate le cozze agli scogli.
Io aggiungo anche il grande uso di detergenti, diserbanti e solventi, che inevitabilmente alla fine del loro ciclo di utilizzo finiscono tutti in mare.
Con la scusa di far cuocere i muscoli, si accendevano dei falò in spiaggia, il sole stava ormai calando e si creava un’atmosfera particolare.
Quelle due o tre ragazzine, che dopo tanto insistere e a seguito di una telefonata a casa per autorizzazione, si erano fermate per assaggiare i molluschi alla luce del falò, alle prime ombre della sera, dovevano rincasare.
E così finita la mangiata, si restava fra amici a riordinare, pulire e gettare nel bidone della rumenta i residui di combustione e i gusci delle cozze.
Come ci aveva ordinato, l’arcigno Moresco dei Bagni Torino che arrivava sempre alla vista di un falò acceso sulla spiaggia e scrutava tra quei volti illuminati dalle fiamme chi erano gli autori di quel rogo.
Sporchi di cenere e odorosi di pesce, si finiva la serata con l’ultimo tuffo in mare.
Questa volta non c’erano i genitori a pretendere le canoniche 3 ore, prima di un’altro bagno !
La zona di arenile dove erano i Bagni S.Giorgio e Torino, le cabine e ombrelloni delle suore, il Cantiere Proto, le società Pesca Sportiva la Lega Navale, baracche e rimessaggi e la più bella spiaggia libera della città, furono fagocitate dal nuovo porto.
Molte di quelle imbarcazioni, alcune abbandonate in quel tratto di spiaggia libera, furono rottamate insieme a quell’anarchica baraccopoli, il cantiere e le associazioni trovarono posto nella nuove strutture portuali.

Ricordo durante i lavori del costruendo nuovo porto, la torma di aspiranti “geometri” gli “umalet”, pensionati e nullafacenti, tutti schierati lungo il marciapiedi, che come un’anfiteatro sovrastava il cantiere.
Un mio ex collega, fresco di pensione, mi confessò la sua delusione, quando a voce alta diede un buon consiglio, ad un tecnico, intento a riparare un macchinario, costui si avvicinò a quel gruppo di spettatori e con parole colorite mandò a quel paese, l’autore del buon consiglio……..
Da utente viario, per molti anni pendolare, in direzione Savona, speravo che con i lavori del nuovo porto, fosse eliminata quella doppia curva della via Aurelia con strettoia, du Scoggiu Scciapò, soprastante l’area portuale, già teatro di qualche incidente purtroppo uno anche mortale.

Mi illusi, quando vidi demolire quel blocco di grettin, conglomerato, il famoso “scheuggio scciapò”immortalato in tante foto d’epoca.
Pensavo ingenuamente, che in occasione di un’opera così invasiva, come l’ampliamento portuale, fosse demolito quell’ingombrante blocco di pietra, per allargare ed eliminare quella doppia curva stretta e pericolosa.
Niente di tutto questo!

Il blocco di conglomerato, fu eliminato, ma solo per realizzare una strada di servizio per i sottostanti parcheggi della zona portuale!
Ancora oggi, quando due mezzi pesanti, arrivando in senso contrario di marcia e si trovano in contemporanea, in prossimità di questa curva, devono accordarsi a gesti, per stabilire chi deve passare per primo!
Questo racconto finisce qui, con la luce di quel falò acceso molti anni fa da un gruppo di ragazzini su quella spiaggia, dove abbiamo lasciato le nostre impronte, dove abbiamo riso, scherzato, incontrato gente conosciuto amici.
Dove mio papà mi insegnò i primi rudimenti del nuoto, sorreggendomi nell’ acqua, dove non si toccava il fondo, e pronto a ripescarmi quando ero in difficoltà.
E cosi ha fatto per tutta la sua vita, ci ha sempre aiutato, con un gesto, una parola un sorriso.
Io ho avuto la fortuna di vivere, crescere vicino a lui e di restargli accanto, fino alla fine dei suoi giorni.
Mi piace pensare, che lassù, sulla collina, dove ora sta riposando, guardando verso il mare, cerchi con lo sguardo e ci riveda, pronto, a aiutarci ancora, in ogni circostanza, come in quelle lontane, felici giornate al mare.

Ciao papà.
