
Un tempo serviva molto fieno, erba tagliata d’estate, con u feru, la falce fienaia, nelle praterie del Faiallo, nei prati del Beigua a Pra Riundu e in tu Pro du Fen, poi ai Pre de Poursemma ecc. o in altre zone prative del Lurbascu e del Sassellese.
Erba tagliata e lasciata ad asciugare al sole, rigirata con u furcò, raccolta con u rastrellu e racchiusa con i Bastui per essere trasportata.
Oppure chiusa all’interno di una rete o un grande telo a formare u Lensò de Fen o Belain-a, e trasportata a valle per sfamare i ruminanti.
La fienagione era un’attività che dava lavoro a molti uomini, nella stagione calda.
Era il periodo dell’anno, dove i giovani riuscivano a guadagnare qualche soldo.
Lavoravano a giornate e nel compenso pattuito, era garantito anche un pasto al giorno, scendevano a valle nel fine settimana.
Restavano anche due mesi, sui nostri monti a tagliar l’erba, raccogliere il fieno e trasportare sulla schiena le balle di fieno cun u Lensò o cun i Bastui, che erano due bastoni lunghi circa un metro e mezzo con quatro fori dove si faceva passare una corda che avvolgeva la balla di fieno.
Il sistema di trasporto con i Bastui o Bacchi, poteva anche arrivare ad un quintale il portantino indossava la Scapussa o il Paggetto ( una sorta di copricapo con all’interno la paglia)
Nel Lurbasco si adoperava anche il Gaggiu una sorta di grande cesto che poteva trasportare fieno erba e paglia.

I Lensò de Fen o le Belain-e, erano portate fino alla prima strada carrabile, o fin dove potevano arrivare le Lese, le slitte apposite per il fieno, trainate da mucche o buoi.

Il fieno era accatastato nei fienili, sopra le stalle, nei sottotetti delle case e in te Barche du Fen, fienili sparsi nella campagna, protetti dalla pioggia, da un tetto di paglia e più recentemente da lamiere.
Non era facile tagliare l’erba, con u Feru o Scurià, la falce fienaia , era necessario, come in ogni attività fisica, dove serve forza e coordinamento, imparare da giovani e correggere subito eventuali errori.
Questa pratica era insegnata ai ragazzotti di circa 10 anni, il segreto era quello di tenere la falce con il braccio sinistro per chi era destrorso, leggermente sollevata e parallela al prato, in modo che il filo della lama, non toccasse mai terra, per non rovinare il tagliente nell’urto con il terreno.

Poi serviva il coordinamento busto/gambe, ruotando spalle e falce, mentre si avanzava facendo a Sbatua, un solco nell’erba .
Un buon falciatore non tagliava mai la punta d’erba, accorciata con la precedente passata.
Il fattore più importante per un buon taglio, oltre all’abilità manuale, ma difficile da realizzare, per un neofita, era una buona affilatura, cosa che solo le persone già esperte sapevano fare alla perfezione.
Come per la Messuia, il falcetto, anche per la falce fienaia si doveva assottigliare la lama, per realizzare un buon tagliente.
La prima fase dell’affilatura era la battitura del bordo tagliente, effettuata con un martelletto u Martè e l’Anchizzu.
L’Anchizzu era conficcata a terra.
La parte del tagliente, sottoposta alla battitura non doveva essere più larga di 2/3 mm.
L’Amoatua, l’affilatura, vera e propria, era effettuata con la Cuetta, la pietra levigatrice, estratta dal Cuettin, che era il suo contenitore, al cui interno era messa dell’acqua per meglio far scorrere l’affilatore sulla lama.
Questo attrezzo aveva un gancio nel Cuettin, per poter essere appeso alla Sintua, la cintura del falciatore.
Cuettin e Cuetta erano in dotazione al falciatore, pronti da essere usati per ravvivare il tagliente, in una pausa di lavoro, quando a lama a l’ha persu u fi, quando non taglia più.
I primordiali contenitori della cuetta erano in legno i Buietti tenuti a tracolla
L’ operazione finale era effettuata passando la Cuetta tre volte sopra e tre volte sotto al tagliente, poi con l’unghia, si controllava che il profilo fosse sufficientemente lineare.
Con un buon attrezzo, ben bilanciato e affilato, falciatori esperti, Segavan, tagliavano montagne enormi d’erba nell’arco della giornata.
L’aspetto della falce fienaia, incuote sempre un certo timore anche perchè questo attrezzo accompagna sempre le rappresentazioni visive della morte, a questo link l’origine di questo macabro abbinamento.
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Da non dimenticare, il lavoro, molto importante preventivamente effettuato dai bambini e dalle donne, che partecipavano anche loro alla fienagione.
Tramite la preventiva bonifica delle zone prative, con l’eliminazione dalle pietre e di altri ostacoli, per evitare urti accidentali della falce, che potevano comprometterne l’affilatura.

Queste pietre accumulate, poi nel tempo anno dopo anno, sono diventati dei discreti cumuli, oggi visibili ai lati delle zone prative.

L’aspetto delle nostre colline è stato profondamente modificato dall’opera umana.
Possiamo dire che con un lavoro incessante, generazionale, sono state spostate tonnellate di rocce e pietre per creare grande zone prative.

La testimonianza piu tangibile di questo massacrante lavoro oggi la si può vedere au Cian de Donne.

Un enorme cumulo di pietre, provenienti anche dai bricchi circostanti, sono state accatastate al culmine di questo rilievo, forse nell’intendimento mai realizzato di costruire qualche manufatto.
Poco distante con un’altro toponimo Briccu di Danè, Collina dei Dannati è tramandata un’altra storia di lavoro e di immensa fatica.
Manufatti costruiti per l’attività di fienagione e per altri tipi di trasporti, sono visibili ancora oggi, sono i Posou, posatoi ovvero cataste di pietre, dove erano appoggiate le balle di fieno, prima di essere assicurate alle spalle di chi doveva Camallare, traportarle.

Alcune di queste cataste le troviamo disposte lungo i sentieri, percorsi in discesa, nei punti dove serviva dare un po’ di sollievo a chi trasportava queste pesanti balle di fieno, ma anche fascine di legna, sacchi di pigne, erba fresca per conigli e pietre da costruzione.
Molte di queste cataste sono al cospetto di suggestivi panorami o nelle vicinanze dei corsi d’acqua, dove rinfrescarsi e dissetarsi.

Spesso vicino au Posou, c’era un’edicola votiva dove per fede o per spossatezza ci si fermava.

E poi ancora dei piccoli ripari in pietra, che offrivano protezione dai temporali estivi, non per niente chiamati Trunee, che deriva da trun, tuono in dialetto. Toponimi e manufatti in pietra che ci ricordano di questa importante attività la fienagione.
Poche sono ancora erette, altre sono dirute e della loro presenza, restano solo dei muggi de prie.

Chi si trovava in ti Pre’ da Fen, zone prative, poteva trovar rifugio all’interno di questi igloo o baracche de Pria.
Quando i Truin, tuoni in lontananza minacciavano l’ arrivo di un temporale estivo.
Queste costruzioni, Trunee o Cabanin, servivano anche come ricovero di attrezzi, per le vivande e anche per i pernottamenti.

Questi angusti ripari, erano utilizzati dai tanti giovani, che d’estate avevano la possibilità di quadagnar qualche soldo, lavorando a giornata, durante il periodo della fienagione.
Nel compenso, era spesso compreso anche un pasto al giorno.
Il cibo era portato ogni giorno dai bambini figgiò e figge che salivano fino alle zone prative del Beigua.
Sono molti i racconti tramandati di persone e degli accaddimenti, che sono stati tramandati dal passa parola generazionale.
Sarebbe bello raccogliere e memorizzare, queste testimonianze, perchè non vada disperso quel patrimonio di lavoro e umanità, che furono le fienagioni grandi fatiche, sotto il sole, in quelle estati di molti anni fa.

Sono da visitare i Musei e le Esposizioni di Civiltà e Arte Contadina del nostro entroterra, come quello di Vara Inferiore, che espone antichi attrezzi, arredi, abbigliamento, vettovaglie, presidi sanitari, sistemi di illuminazione, minerali e foto ecc.nella canonica della chiesa di S.Giovanni Gualberto
Ringrazio per le informazioni sulla fienagione: Nonno Franco e Giampiero Minetto.
