Scciàppapria

La fabbrica del ghiaccio.

Tratto dal racconto “Olio di Oliva e Cotone” di Giovanni Martini.

Con la diffusione dei frigoriferi, venne meno l’uso del ghiaccio e le vecchie ghiacciaie, presenti in alcune abitazioni per la conservazione delle derrate alimentari, furono presto riutilizzate per l’allevamento di conigli e facevano bella mostra all’esterno delle abitazioni.

Le ghiacciaie erano costruite in legno, in varie tipologie, la più semplice aveva la zona ghiaccio nella parte bassa, con il cassettino e relativo rubinetto, per lo scarico dell’acqua di disgelo, poi in alto aveva una serie di griglie, dove riporre gli alimenti, il tutto rivestito di lamiera zincata e chiuso ermeticamente per mantenere la temperatura più bassa possibile.

Esistevano poi quelle più grandi che erano presenti nelle botteghe di vendita di generi alimentari.

Costruite in legno di castagno, rovere o abete e di buona fattura, oggi di quelle per uso domestico, se ne trovano ancora degli esemplari nei mercati o nei negozi di antiquariato.

Prerogativa di tutte le case era comunque l’esistenza di una dispensa, o di una cantina asciutta e ben aerata, dove anche in mancanza di ghiacciaie e poi di frigoriferi,si poteva riporre e conservare gli alimenti.

Grazie alle tecniche di conservazioni degli alimenti, tramandate da generazioni, con le diverse tecniche le più disparate, si potevano preservare o rallentarne la degenerazione di quasi tutti i cibi deperibili.

Ad esempio le “ove” erano conservate, immerse nell’acqua di calce, che con il passare del tempo scioglieva il guscio, sino a farlo divenire trasparente.

U “furmaggiu” era avvolto in panni imbevuti di “asciau”, e “furmagette” erano conservate e fatte stagionare, in appositi mobili con ampie feritoie, difese dagli insetti e roditori tramite una rete metallica a maglia fine, le “meie” erano posate sopra i pavimenti dei sottotetti, qui erano conservate anche le piante aromatiche come la “carnabuggia” e la “spersia” il surplus di verdure, finiva invece sott’olio, sotto aceto o in salamoia, come le “uive”, le “armognine” le “perseche” e “brigne” erano trasformate in marmellate, non mancavano le arbanelle per la conservazione sotto sale delle “anciue”.

Nessun problema d’inverno, bastava tenere gli alimenti deperibili all’esterno sulla piana della finestra o sopra una terrazza.

La conservazione di determinate derrate alimentari, il ghiaccio per trattamenti sanitari e gli sfizi delle famiglie aristocratiche, erano, prima dell’avvento delle Fabbriche del Ghiaccio, soddisfatti, in parte, dalle nevee, grandi accumuli di neve pigiata, protetta dal disgelo e utilizzata durante la stagione calda.

Una grande nevea scavata per conservare la neve è ancora visibile sulle alture della nostra città a questo link La Nevea de Prie Russe.

La fabbrica del ghiaccio.

Ogni città aveva la sua fabbrica del ghiaccio, Varazze ne aveva addirittura due, una quella di ” Scciàppaprie” e l’altra si trovava poco oltre la chiesa di S Bartolomeo, dove ora è quel mastodontico palazzo, poco rispettoso della vicinanza di un luogo di culto, (bene sarebbe stato, applicare ancora quell’antico editto, che non ametteva alcun manufatto più alto del campanile della chiesa posta nelle vicinanze)

La ditta Schiappapietra, con la sua fabbrica del ghiaccio, era ubicata a destra della rampa che portava all’Ospedale dopo la “fabbrica” in localita’ Lomellina, queste note storiche le devo a Giovanni Schiappapietra.

Passando da quelle parti, avevo intravvisto in un locale, di quella che fu la sua fabbrica del ghiaccio, Giovanni Schiappapietra, mentre era intento a riparare un ciclomotore d’epoca.

Il restauro di moto è una passione, comune ad entrambi e così sono stato diverse volte in quel grande locale, in compagnia di Giovanni, sempre cordiale e disponibile a parlar di moto, di attualità e di quella che è stata una delle più grandi fabbriche di ghiaccio.

Gli chiesi, se potevo scrivere qualcosa della ditta Schiappapietra, di quello che lui mi aveva raccontato, Giovanni acconsentì e gli portai le bozze del testo da correggere e modificare.

Poi prima di pubblicarlo, gli diedi copia dell’articolo, che fa parte del mio racconto “Olio di Oliva e Cotone”

Era una bella realtà produttiva, la ditta Schiappapietra a conduzione familiare, attiva a Varazze dal 1933, fino agli anni 2000, con il capostipite Giovanni proseguita poi negli anni e ampliata dai figli Bartolomeo Antonio detto Tognin, Giacomo, Nicolò detto Niculin, Gaspare detto Ito, Prospero e Carmelita, detta Melitta.e Giovanni.

Scciàppapria negli anni 60/70 annoverava oltre al listoni di ghiaccio, anche la produzione di bibite gassate, gazzosa, aranciata, menta e le spume al gusto di arancio, nera al chinotto e bianca al limone, tutte sigillate dalla mitica sfera di vetro!.

Foto Collezione Avandero

Per la fabbricazione del ghiaccio, era necessario avere un vero e proprio impianto di tipo industriale, a partire dall’energia elettrica, motrice necessaria per alimentare i motori elettrici, la ditta aveva anche una propria cabina di trasformazione dell’energia elettrica, fornita dalla CIELI.

Grandi motori trifase, azionavano, tramite cinghie di trasmissione il pesante volano dei compressori a pistoni fabbricati dalla Westighouse.

Altre apparecchiature completavano, il ciclo di produzione del ghiaccio.

Questo impianto, costruito dalla Fonderia del Pignone di Firenze, aveva una produzione di circa 250 kg/h di ghiaccio.

Il fluido compresso era l’ammoniaca, fatta condensare e poi evaporare, in una serie di tubazioni, immerse in una vasca, contenente una soluzione di acqua e sale, mantenuta sempre in movimento, per uniformare la temperatura, tramite delle eliche, a -10 °C. In questa vasca, erano immersi, tramite una gru a catena, 6 contenitori in acciaio zincato, ripieni di acqua dolce, del peso totale di circa 400 kg.

foto Collezione Avandero

Effettuato il cambiamento di stato, i listoni erano sollevati dalla salamoia ed estratti, facendoli scivolare su un bancone, dove erano prelevati per le consegne.

Il listone era un parallelepipedo a base quadrata di 25 cm per una lunghezza di circa un metro il suo peso era di circa 60 kg.

La ditta aveva un proprio pozzo per l’approvvigionamento idrico, visibile ancora oggi in una costruzione a lato del piazzale, oggi ad uso parcheggio, qui tramite delle pompe era prelevata l’acqua per il ghiaccio e per le esigenze di raffreddamento dei macchinari dell’impianto

Negli primi anni 50 la ditta Schiappapietra acquisi’ anche la fabbrica del ghiaccio di Celle. A Varazze furono ingranditi gli impianti e costruito il bel caseggiato in mattoncini a vista per la famiglia.

Il rifornimento a bar, pescherie, ristoranti, bagni marini e privati era effettuato, nel primo dopoguerra con un autocarro ex militare americano Dodge, poi sostituito dai più agili motocarri Bianchi e Ape Piaggio, il parco macchine aumentò, con acquisto di alcuni Fiat 615, che avevano stampato sulle portiere la denominazione della ditta.

Per brevi percorsi e per districarsi nel centro storico erano utilizzate le bici da trasporto, inseguite dai ragazzini per avere un pò di ghiaccio da far sciogliere in bocca

Divenuta obsoleta la produzione di ghiaccio a seguito della diffusione dei frigoriferi domestici, fu sospesa definitivamente e gli impianti per la produzione di ghiaccio furono smantellati da Penolle,Alessandro Risso, rottamatore anche di altri impianti che erano presenti negli opifici “Sciu’ da Teiru”.

La ditta continuò la sua attività con il confezionamento delle bibite in bottiglie

Una specialità, confezionata con il ghiaccio grattato via con un utensile apposito direttamente dal listone, era la “grattachecca” addizionata con sciroppi.

Anche la granita comprata nel chiosco della “Bananea” sul molo del Teiro, nei pomeriggi trascorsi in spiaggia.

La grattachecca è ricomparsa recentemente, come una nuova specialità nei chioschi a bordo spiaggia .

In questa zona, dove era la fabbrica del ghiaccio, erano ancora presenti negli anni 60 i rinomati orti della Lomellina, irrigati da due “bei” quello da Besestra e quello da Ciusa da Fabrica.

Lungo via Monte Grappa, oltre il muretto del Teiro, anche dall’altezza di un bambino, si scorgeva nella riva opposta, a sinistra del torrente, l’imponente edificio, recentemente abbattuto della fabbrica dei dadi da brodo.

Negli anni 60, sempre lo sguardo di un bambino, saliva in alto, fino al nuovo viadotto della “camionale” che da qualche anno aveva rivoluzionato i trasporti in Liguria da e verso il confine con la Francia.

Ringrazio Giovanni Schiappapietra per la sua gradita disponibilità, dovizia di notizie e anedotti, relativi alla sua Fabbrica del Ghiaccio.

Un’altra grande, perduta, attività del Sciu da Teiru.

foto b/n Archivio Fotografico Varagine ( le acciughe sotto sale sono le mie)

Nel video, girato in una, forse l’unica, vecchia fabbrica del ghiaccio, ancora funzionante. Il video è relativo all’estrazione dei listoni di ghiaccio.

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