Quellu bellu Rissò

Palazzo Reale Genova

Per ingentilire la bizzarria, che racconto, ho inserito nell’articolo una cosa indiscutibilmente bella, è la magia dei ciottoli, con le foto dei rissò nel Palazzo Reale di Genova.

Da visitare, per restar stupiti da tanta bellezza e dell’incredibile abilità dei rissaiò, gli acciottolatori, abili artigiani, che mai ebbero un ruolo di risalto, anche se autori di veri e propri, inestimabili capolavori.

I rissò, i mosaici di ciottoli che arrichiscono i sagrati, le piazze di chiese e i giardini dei palazzi nobiliari, sono una tipicità tutta Ligure.

A Varazze sono notevoli e di ottima fattura u rissò di S. Ambrogio

e quello di S.Nazario

La tecnica du rissò prevedeva un grande lavoro preparatorio.

Palazzo Reale Genova

Se il disegno era simmetrico, si stabiliva il centro della piazza la si divideva in modo ortogonale ottenendo dei settori uguali per dimensioni.

Sulla base in calce, inciso il disegno da riprodurre, erano inseriti come tessere di un gigantesco mosaico, milioni di ciottoli.

Chi decorava sagrati e piazze, con questa tecnica erano/sono, valenti artigiani capaci di eseguire con i ciottoli, anche le più difficili figure floreali, animali e umane, sempre molto suggestive e ben proporzionate.

Palazzo Reale Genova

Pregevoli manufatti tutti con la loro storia curiosità e aneddoti

Come la stranezza, dell’esistenza di un simbolo evocativo di una parte anatomica maschile, nel rissò di una piazza, antistante una chiesa della nostra città, che fa subito pensare ad un’allegoria, una irriverenza verso i potenti, in questo caso la chiesa e il suo secolare potere.

Niente di tutto questo, fu solo un momento di conviviale goliardia, fra i rissaiò che arricchirono con il loro capolavoro la piazza e la nostra città.

C’è chi dice, che sutta quellu belin de pria ci sono, chiusi in una bottiglia, i nomi di chi ha costruito questa grandiosa incomparabile opera d’arte all’aperto.

Palazzo Reale Genova

Combinazioni strane della vita, se non avessi incontrato un amico, fatto un pezzo di strada insieme, in quella piazza, parlato del mistero du belin de pria, e incontrato una terza persona, a conoscenza dell’ubicazione, non sarei mai venuto a conoscenza di questa cosa bizzarra.

Penso a chi, con un sacco sotto le ginocchia e gli attrezzi del mestiere, ha costruito questo capolavoro, ciottolo dopo ciottolo.

Palazzo Reale Genova

Era gente della nostra città, sotto la guida di un esperto d’arte.

Vita grama, come quella che oggi fa, chi posa piastrelle e sta sempre piegato e spesso in ginocchio.

Chissà quanto è durato questo lavoro.

Le pietre andavano scelte in base alla loro dimensione, disposte a raggiera in un mosaico bianco e nero di pregevole fattura.

Palazzo Reale Genova

I ciottoli neri sono quelli consunti, arrotondati, dall’eterno moto ondoso del nostro mare, prelevati dalla nostra battigia, davanti e ai lati della foce del Teiro.

Ma chissà dove furono presi quelli bianchi, molto più rari.

Selezionati e poi suddivisi, in base alla loro dimensione e colore.

Messi accuratamente a dimora sopra un letto di calce.

Quegli artisti erano fieri del loro lavoro, seguendo i contorni incisi sulla malta, giorno dopo giorno, il disegno prestabilito si svelava sulla piazza.

Per tutto il tempo dei lavori, l’area fu interdetta al transito.

Palazzo Reale Genova

L’accesso e il deflusso dei fedeli, per le funzioni religiose in chiesa era garantito da un tavolato provvisorio.

Ma nullafacenti e perdigiorno, in zeneise pellandruin e menabelin, facevano comunella, sempre pronti a criticare e dar banali consigli.

L’equivalente degli odierni “geometri” internazionalmente conosciuti come umarell.

“Sempre a tiò u belin a chi u travaggia”

Non è facile, star tutto il giorno con decine di occhi che scrutano ogni mossa, criticamente.

Si dice che ogni capolavoro, nasconda al suo interno, qualcosa, un manoscritto con una dedica, una pena d’amor o un segreto inconfessabile, oppure, monete o altri oggetti, occultati dall’artista, per i posteri ma anche solo per creare un sintomatico mistero.

Come una di quelle capsule del tempo, di moderna concezione, sparate in orbita o messe a dimora con una cerimonia pubblica.

Forse fu un’idea, nata per caso, na belinata tanto pe di quarcosa, espressa durante una bisboccia fra colleghi e amici.

Quella buttiggia de dusettu, in mesu ai gotti, al termine di quella laccia, fu lo spunto per mettere in pratica la loro capsula del tempo.

Decisero di nascondere la bottiglia, con i loro nomi e chissà quali messaggi per i posteri, in tu rissò di quella piazza, dove stavano ultimando quel pregevole mosaico.

Lontano da quei pellandruin e menabelin, in una notte senza luna.

Ma poi subentrò un dubbio

” Figgio’ duvemmu lasciò un segnu in tu rissò, pe savei duvve emmu sutterrò sta belin de buttigggia” disse il baccan a quei rissaiò

A questo punto del racconto, mi piace pensare a quei tre o quattro amici, quando fra di loro balenò l’idea de fo un belin de pria!

Le risate, a stento trattenute, in quella notte senza luna, quelle pacche sulla spalle e poi negli anni a seguire, l’evocazione di quella goliardiata, ad ogni bisboccia, cementarono la loro amicizia.

“ E da che parte ou puntemmu stu belin?”

“Versu quei pellandruin e menabelin ! ”

Doveva esser un segreto e a Vase e lo è ancora.

Molti sanno della bottiglia sepolta sotto al rissò, qualcheduno sa anche di quel simbolo maschile, ma vallo a cercare tra e prie gianche e neigre, in te quellu bellu risso’?

Lascia un commento