A una Mamma

La principessa Romaneuorh, figlia del negus Hailè Selassiè, quando nel 1935 gli italiani iniziarono una sanguinosa guerra di invasione, al contrario del padre che si rifugiò in Inghilterra, scelse di restare in Etiopia con il marito che combatteva in difesa del proprio paese.

Catturati nel 1936, Merid Bayanè il marito, fu fucilato nel 1937.

Da quel giorno iniziò l’odissea della principessa “Melagrana d’Oro” e dei suoi quattro figli maschi.

Fu deportata nel campo di prigionia dell’Asinara, dove il figlio più piccolo Gideon, morì a soli due anni.

Monsignor Barlassina, in visita a quel malfamato carcere, riconobbe la principessa, che era malata di una forma grave di tubercolosi e riuscì a farla ricoverare all’Ospedale Maggiore di Torino.

Ottenne in seguito, grazie all’interessamento della Regina Elena, il suo affidamento, presso le Suore Missionarie della Consolata a Torino, con i suoi tre figli e i suoi accompagnatori, due suore copte cristiane e due servitori.

Le sue condizioni di salute si aggravarono, la principessa si convertì al cristianesimo, affidando i suoi figli alla tutela delle suore.

Ricoverata alle Molinette, riuscì a vedere per l’ultima volta i suoi figli, che si erano radunati per salutarla, nel cortile sotto la finestra della sua camera d’ospedale.

Il 14 ottobre del 1940, la principessa Romaneuorh morì e fu sepolta in un sotterraneo del Cimitero Monumentale di Torino, sulla sua lapide fu inciso la struggente frase “A una Mamma”

La tubercolosi è una malttia contagiosa e inevitabilmente, i tre ragazzi furono affetti da questa patologia.

Forse per fare l’elioterapia o per distrarre quei poveri ragazzi, dalle terribili disgrazie che si erano accanite su di loro, arrivarono difronte al nostro mare.

Un giorno, con gran stupore ma anche malcelato razzismo, i nostri concittadini videro arrivare nella nostra città, un gruppo di persone di colore, tre ragazzi, accompagnati da delle suore.

Nel suo bel libro “Un Paese si Racconta” ricco di testimonianze storiche e aneddoti della nostra città, Mario Traversi, racconta di alcuni abissini, che erano presenti nella nostra città, in una villa lungo la via Romana, e li descrive con una bella frase”…..avvolti nei loro mantelli chiari, gli occhi scintillanti, incorniciati da nerissimi capelli crespi. Sorridevano mesti lasciando trasparire un nobile distacco……”

Erano i figli di qualche Ras collaborazionista o molto probabilmente erano proprio loro, i nipoti del negus Haillè Selassiè, i figli della principessa Romaneuorh, ospitati a Varazze, orfani dei genitori e sofferenti di tubercolosi, in una villa fronte mare, lungo la via Romana sotto la tutela delle suore.

Mario ricorda bene quei ragazzi timidi, educati che rispondevano ai suoi saluti, mentre transitava lungo la via Romana, con sua mamma, per aiutarla nel trasporto della frutta e verdura che acquistavano dai parenti ai Piani d’Invrea

Lungo la salita della via Romana la gente arrancava anche con dei carretti in direzione da Vignetta, Cian du Tunnu, u Sciarsu e Cien d’Invrea.

Si sparse la voce e quel luogo per tutti quelli di Varazze divenne “Dai tre Moretti”

La curiosità di veder quella persone dalla pelle scura, avrà lasciato poi il posto alla compassione e alla consapevolezza di quanto dolore abbiamo recato noi italiani “brava gente”in terra d’Africa a delle persone innocenti, come lo erano quei ragazzi e la loro mamma, morta a 27 anni.

Strappati per vanagloria fascista, dalla loro terra e dai loro affetti, prigionieri di un sanguinoso aggressore, che aveva portato lutti, disperazione e fame nel Corno d’Africa.

Anche il primogenito Chettaceu morì di tubercolosi il 22 febbraio 44.

Battezzato con il nome di Giorgio è sepolto in un loculo accanto a quello della madre.

Gli altri due figli Merid e Samson, ospitati nel castello di Uviglie nel Monferrato, di proprietà delle suore della Consolata, furono rimpatriati in Etiopia al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Samson morì in un incidente d’auto d’auto nel 1947.

Merid studiò a Londra, rientrò in patria e divenne un funzionario di stato

La guerra d’Etiopia è un capitolo, uno dei tanti, frettolosamente, vergognosamente e volutamente dimenticati della nostra guerra d’aggressione in Europa e in terra d’Africa

https://www.labottegadelbarbieri.org/etiopia-1937-le-stragi-di-rodolfo-graziani/

Qualcheduno sparse la voce, sicuro della stirpe reale di quei ragazzi, sentenziando, che avrebbero fatto da garante verso gli alleati e che mai Varazze sarebbe stata bombardata.

Ma i fatti smentirono questa affermazione.

Lascia un commento