
Immersi nei nostri boschi, fagocitati da ruvei, lelua e serveghi, ci sono innumerevoli manufatti.
Seccou, mascee, ciappin e punti, edificati da quelle comunità, che hanno, con il loro lavoro incessante, quotidiano fatto di immense fatiche e privazioni, modificato l’ambiente da arido e inospitale in vivibile e fruttifero, per la loro sussistenza, per i loro figli e le generazioni che dovevano ancora addivenire.

Ma questa eredità generazionale, ad un certo punto non è stata piu onorata.
Quelle grandi opere effettuate senza l’ausilio di alcun macchinario, sono diventati ruderi, colonizzati dalle specie vegetali, dimenticati da tutti e lasciati all’oblio e all’incuria del tempo e degli uomini.

Spesso, girando nei nostri boschi, nel folto di un gavignu de ruvei e brughe, si intravvede un cosiddetto banale mucchio di pietre, impossibile da raggiungere e destinato a scomparire fagocitato nella massa vegetale.
Si sono già persi per sempre i nomi di posti e persone, le storie non sono state tramandate dal passa parola generazionale, forse perché come mi è stato detto da qualcheduno “erano storie insignificanti”
Durante l’incontro con Roberto Pelosi e sua moglie Giovanna Ferrari, parlo del mio girovagare per strade e boschi, dove ci sono molte testimonianze del nostro passato, di un passato laborioso e di enormi fatiche.

Le generazioni che ci hanno preceduto, riuscivano comunque a sfamare delle bocche e a garantirsi, anche se tribolata, una dignitosa esistenza trovando tutto il necessario nell’ambito del territorio della loro comunità.
A questo proposito Giovanna mi fa partecipe di una sua “scoperta”, poco lontana dalla loro abitazione, da Bin, durante un giro per funghi.

Ricoperto in parte dai rovi, c’è un bel ponte ad arco che sorvola il rian du Mu, spesso confuso con un altro ponte in località Bellainin-a.

Giovanna mi accompagna a vedere, quello che è a tutti gli effetti uno dei più belli e antichi ponti ad arco, presenti nel nostro entroterra.

In un ambiente molto suggestivo, quasi primordiale, il ponte di buona fattura senza muretti di protezione, oltrepassa il rio, poco prima di una cascata con relativo laghetto.

Emerge dal folto della vegetazione anche un’importante niccio, un edicola votiva, alto almeno quattro metri

Sopraelevato ulteriormente, successivamente alla sua costruzione, forse a seguito di una grazia ricevuta, oppure perchè doveva competere in altezza con un’altra edicola votiva.
In alto sul frontespizio, delle pietre infisse a formare una datazione, stanno ad indicare che questo manufatto è stato eretto nel 1800, ma non è possibile stabilire l’anno esatto, perchè le ultime pietre che indicavano l’anno sono andate perdute.

Questa edicola votiva ha la particolarità, unica nel suo genere, di essere abbellita con un contorno di quarzite, un’affioramento di minerale abbastanza comune nelle cave di pietra per costruzioni, sarebbe interessante sapere il perché e chi ha voluto inserire quelle pietre come fossere un ornamento floreale.

Come quasi tutte le edicole votive, presenti sulle nostre alture, la nicchia è priva della statua del Santo o della Madonna a cui, chi era appena transitato sul ponte, rivolgeva una preghiera in un momento di sosta prima di riprendere il cammino per arrivare alla borgata di Alpicella.
Anche questa è una zona molto antropizzata, sono molte le testimonianze di un’assidua frequentazione di questa mulattiera, che era il primo collegamento carrabile, per raggiungere l’abitato di Alpicella, proveniente dalla Muntà da Cappeletta, oggi via Primavera, altra mirabile via di comunicazione che inizia da Campomarzio.
Il sedime stradale è composto dalle solite pietre posate di taglio per meglio far aderire gli zoccoli degli animali da tiro, un grande masso quasi al centro della strada fungeva da posa, per qualche minuto di riposo per chi aveva un pesante fardello o un bellainin-a di fieno sulle spalle, di solito questo sostegno è sempre posizionato alla vista di un niccio, dove c’è una statua di qualche Santo o come quasi sempre una Madonnina a cui rivolgere le proprie preghiere, restando sempre comunque legati al proprio peso che gravava sulle spalle, e in effetti guardando in alto completamente ricoperto dalla lelua, edera ecco un altro niccio!

Di modeste dimensioni e molto più datato del precedente, manco a parlarne di statue all’interno della nicchia, tutto il contenuto di tutte le edicole votive è stato depredato!

Quando si sparse la voce che le madonette erano del Brilla, con un valore di mercato, c’è stata una progressiva spogliazione di tutti gli innumerevoli nicci presenti sulle alture della nostra città.
Sono almeno una cinquantina i nicci presenti nel nostro entroterra.
A molte di queste testimonianze di fede e stato ignobilmente trafugato l’effige del Santo o della Madonna, forse rivenduti sul mercato antiquario.
Un gesto esecrabile, perché queste statuette avevano la loro storia, il loro esser lì magari da centinaia di anni a dar conforto fiducia ai credenti oggetti di devozione, testimonianze di fede e di storia.

Completa questo suggestivo scenario, una grande roccia sporgente forse un tempo ben scavata dove in caso di improvvisa pioggia, potersi riparare. Da questo punto è molto facile raggiungere l’alveo del rian è probabile che qui ci fosse un abbeveraggio degli animali da tiro
Il proseguo della strada raggiunge ancora oggi la piazza dell’Alpicella anche se l’antico percorso è stato interrotto dalle edificazioni è la via Basega che termina nella piazza della frazione.
Questo toponimo sembra indicare la provenienza della strada che arriva dalla località Bazziga o Basega in prossimità del monte Greppino, non è chiaro il significato di questa parola molto probabilmente è l’unione di due parole oppure è una storpiatura della parola medievale per influsso benedettino Baserega, che designa una cappella che non è una parrocchia e potrebbe essere riferita alla Cappeletta al bivio per le Faje, oppure ci sarà qualche rudere di edificio religioso di cui si è perso memoria alle pendici del monte Greppino.
Non ci resta che fare un’escursione nella zona del Poggio!

La strada compie una curva, prima di risalire in direzione di Bin, un grande terrazzamento, con un imponente muro in pietre delimita il percorso, arrivati ad un pianoro se ne perdono le tracce.
E`probabile che in un secondo momento, quando fu edificato il ponte e costruita la strada in località Bellainin -a, questa mulattiera che proviene dal rian du Mu, fu congiunta con l’attuale Via Ciarlo che poco dopo U Runcu passato il.giro di Bregugnun, arriva da Bin nei pressi della Madonna degli Angeli.

Ringrazio Giovanna di questa sua bella “scoperta”e di avermi accompagnato al cospetto di un suggestivo bellissimo scorcio del nostro entroterra che reca ancora testimonianze quasi intatte della presenza e del transito di chi ci ha preceduti in questo angolo di mondo. Grazie Giovanna!
