
I fatti delle Faje
“ U l’ea successu che s’ea arreisa na batteria contraerea a Sciarburasca, ean andeti là a caricò tuttu, armi e bagagli, perù g’han fetu a spia e l’han aspetè a Cappelletta”
Nei primi mesi del 1944 una batteria contraerea sulle alture di Cogoleto, si era arresa ai partigiani che avevano organizzato un trasporto di armi verso i loro rifugi del Beigua.
Un trasporto di tale portata, anche se camuffato ed effettuato con delle lese, le slitte usate di solito per trasprtare fieno e legname, mise in allerta i soliti infami delatori.
Furono avvisate le guarnigioni nazifasciste che organizzarono un’imboscata.

Le staffette partigiane, segnalarono la presenza di militari al crocevia della Cappelletta delle Faje.
I partigiani fecero in tempo a nascondersi, ma le lese furono lasciate senza comando
“Un tou, cun a lesa u l’ha piggiò a stradda de ca de Faje, invece che andò versu a Stra da Lesa”
Un toro, che stava trainando la slitta con le armi, lasciato senza guida, annusò l’aria di casa e invece che salire lungo la Strada delle Lese, che portava al Beigua, si diresse verso la sua stalla alle Faje
“A e Faje appustè u gh’ea de brigate neigre che han sparò e han masò u tou”
Le brigate nere uccisero il toro.
A questo punto era chiaro il coinvolgimento nella Guerra di Liberazione degli abitanti delle Faje.
“I partigen pe fo passò e otre lese s’un andeti a tegni suttu fogu e brigate nere”
“U sanmarco u s’ea serò in tu guardaroba de me lalla, perché pareiva che i partigen avessan piggiò u sopravventu”
I partigiani ripiegarono e per salvaguardare il loro carico di armi aprirono il fuoco contro le brigate nere e i sanmarco, che si sbandarono, uno di questi fu trovato da sua zia nascosto nell’armadio
I fascisti, ripreso il controllo delle Faje, sparsero la voce, che avrebbero deportato gli abitanti e bruciato le case.

“E poi han piggiò i abitanti de Faje prisciunè cumme cullaburatui di partigen, l’han purtè ai Bergamaschi tra questi u gh’ea anche una me nonna ”

Misero a fuoco a Ca de Bazzanin e gli abitanti delle Faje, accusati di essere, collaboratori dei partigiani, furono prelevati con la forza e condotti ai Bergamaschi.
Durante il periodo bellico le Colonie Bergamasche furono adibite a carcere, dalla sua stazioncina, partivano i treni diretti ai campi di lavoro e di sterminio in Germania.
“Tanti zuenotti renitenti de leva sun steti custretti a andò cun i partigian cumme me barba”

“Aveivan l’appuntamento in tu rianin che u se trova arrivandu a e Faje passandu in ta stradda desutta.”
“Passavan in tu rianin e se andavan a rifuggiò au desertu”
Tanti renitenti di leva sono stati costretti ad andare con i partigiani, come mio zio. Avevano un punto prestabilito di ritrovo, nel greto del Rio Gambin, per poi andare a rifugiarsi al Deserto.
“E stu me barba che u steiva in ta ca primma da giescia quandu u l’ha sentiu che stavan sparandu u se duveiva vedde cun i otri pe infiose in tu rian e scappò.”
Mio zio che abitava nella casa prima della chiesa delle Faje, sentendo sparare scese, insieme agli altri renitenti di leva, nel ruscello per scappare.
“In tu rian u se intuppò in te un samarcu cun a pistola, che u ga sparò e garbò na gamba.”
“Nu l’è mortu u l’andava rangu, au ciamavan Culin de Giosciapin, Ghigliazza Nicolò che u l’ea discendente du me trisavulu, ou ciamava barba”
“U l’è andetu rangu pe tutta a vita”
Nel ruscello mio zio si trovò di fronte ad un sanmarco, che estrasse la pistola e gli sparò, ferendolo ad una gamba.
Si chiamava Ghigliazza Nicolò, era un discendente del mio trisavolo, che chiamava zio.
Rimase zoppo per tutta la vita
Al link che segue le Colonie Bergamasche oggi
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foto Archivio Storico Varagine
