U Bunker de Pria

“I vecchi ce l’avevano raccontata, ma noi non abbiamo fatto nostre le loro lacrime e ora finita una svagata estate, tocca a noi un’altra guerra, che non racconteremo a nessuno”

Le nostre città rivierasche, ancora prima del secondo conflitto mondiale, erano già blasonate mete turistiche.

Anni 20 Bagni Regina Margherita e Grand Hotel ( Archivio Fotografico Varagine)

Nonostante l’incubo di un possibile sbarco alleato, sulle riviere liguri, durante la Seconda Guerra Mondiale, anche la nostra città fu svago di truppe, gerarchi fascisti e dei camerati teutonici

Il regime instaurò un clima di controlli e di paura nella popolazione, ci furono diversi rastrellamenti, per la cattura di renitenti di leva, oppositori del regime e contro i componenti della lotta di liberazione partigiana.

Ma quasi tutti gli arresti nella nostra città, furono effettuati, incoraggiando la pratica della delazione .

Nella nostra regione, a fine guerra, mamme, mogli e figli piansero centinaia di morti, fra gli oppositori del regime, fucilati o eliminati nei campi di sterminio.

Chi era ritornato dal fronte e aveva visto all’opera, la potente macchina da guerra alleata, non aveva dubbi la guerra era già persa nel 1943, e sarebbe stato meglio, con meno lutti e rovine, finirla lì.

Nel 1945 la 5 armata americana riprese a risalire lungo la penisola.

Le truppe dell’asse progettarono piani di fuga e centri di resistenza ecc.

Fu dato ordine, di minare tutte le strade, che valicavano la dorsale appenninica, comprese quelle secondarie, che potevano diventare importanti vie di transito degli alleati verso la Pianura Padana.

Ma anche inseguire chi stava per fuggire davanti al nemico.

Fu minata, con diversi fornelli di esplosivo, la strada verso il Pero.

Anche la direttrice, Piani di S.Giacomo- Isola del Deserto, fu minata, anche se era poco più che una strada da carri, ma a differenza di oggi, un tempo era percorribile.

In località i Canuin, nella Valle del Portigliolo, i militari italiani avevano una postazione, una batteria con due mortai, un’altra postazione, trincerata era sopra il Monte Brigna e dominava tutta la valle dell’Arenon.

A Beffadosso, durante le operazioni di posa mine antiuomo, un militare italiano perse la vita, dilaniato da un’esplosione.

Giuse ci aveva parlato da Grotta di Partigen, in uno dei bricchi da Costa da Brigna.

Quella postazione, nelle fasi concitate del 24/25 aprile del 1945, fu determinante per bloccare la fuga di tedeschi e fascisti.

Partiamo una bella mattina soleggiata, per la ricerca di questa grotta, io Giuseppe Vernazza e Francesco Canepa.

Si scende verso a Ciusa, nell’alveo dell’Aniun, dove confluisce il Rian de Sevisse.

Un bel corbezzolo con i suoi frutti quasi maturi.

L’Arenon è uno dei corsi d’acqua più inquinati della nostra regione, la presenza a monte della Ramognina, ha inevitabilmente trasportato, dalla discarica verso valle, ingenti quantitativi di rifiuti solidi e plastiche, durante le piene del fiume e oggi risultano inglobati nella vegetazione e nel greto del torrente.

La postazione dei partigiani, si trova a mezza costa di un acclive pendio a stento ritroviamo una traccia di sentiero e serve una cesoia per avanzare tra ruvei e brughe.

Il caldo sole di una giornata di fine ottobre, rende faticosa un’interminabile salita.

Sciami di piccole mosche arrivano alla prima goccia di sudore!

Lontani echi di armi da fuoco ci avvisano che è giorno di caccia aperta, gli irsuti lo sanno e stanno ben nascosti…..a osservar tre umani arrancare dove neanche loro osano!

Giuse nativo di S. Giacomo, conosce molto bene queste zone, e salita facendo, ci indica dove era la tana della volpe, una costruzione diruta tra gli alberi, e poi i racconti delle persone che da questi boschi e zone prative traevano le risorse per vivere.

 Ci racconta du Barbagianca e di una prossima visita che faremo ai suoi recinti in pietra.

Raggiungiamo la postazione dei partigiani, forse un antico riparo riadattato per tenere, sotto controllo e a portata di tiro, la dirinpettaia strada in sponda sinistra dell’Arenon.

Sotto ad una roccia sporgente è stato costruito, in tempi remoti, un muro in pietra, con alla sua sommità grandi ciappe inclinate, che chiudono completamente la parte superiore di questo anfratto.

Queste grandi pietre, sono state probabilmente trasportate e posate in un secondo momento, forse proprio da chi doveva fortificare questo riparo rendendolo simile ad un piccolo bunker in pietra.

Un cuneo di pietra trattiene una di queste ciappe.

Occorre prestare particolare attenzione al grande masso, molto inclinato che fa da base nell’entrata a questo riparo.

Sopra il masso, che fa da cappello alla postazione, si gode di una vista quasi totale della strada che arriva dai Cien de San Giacomu

Siamo a poca distanza dal mare, ma l’altitudine media da Costa da Brigna supera i duecento metri.

Questa valle è l’antica Latronorium, foresta medievale di briganti e di bestie feroci!

Oggi con le conseguenze dei furiosi incendi che l’hanno devastata.

Ma ancora del Secondo Dopoguerra, aveva un ruolo importante nell’economia della nostra città.

Con un lavoro durato secoli, sono state create ampie praterie per pascoli e fienagione.

Con le pietre di risulta di quell’opera di bonifica, furono realizzate mulaioe, pose, bei pe piggiò l’equa da e vinvagne, tante muagge, recinti pe pegue e quarche cascina.

Alle donne, principali artefici insieme ai bambini, di questa opera di bonifica è stato dedicato un luogo dove è presente un’enorme cumulo di pietre….U Cian de Donne.

Grandi boschi di pin da pinò, ersci e rue, fornivano legno e pigne da ardere.

 Bella la vista verso il Meassa e u Berleise.

Arrivati in vetta, si sale ancora e si prosegue su un bel sentiero, mantenuto libero sgombro dalla crescita dei vegetali, da chi in bici proveniente da Postetta scende verso l’Invrea.

Alla nostra destra l’alveo du Rian de Spesie e u Briccu du Caregà

Sempre bello arrivare alle Sevisse, un’oasi di verde e di pace!

Seduti sul muro di quella che era la porcilaia, oggi diruta, io Giuse e Francesco mangiamo un meritato dopo tanta fatica, toccu de figassa.

Le foto parlano da sole, bisogna arrivare fin quaggiù, per ammirare il suggestivo anfiteatro dei monti che circondano questo pianoro.

U Cian de Donne, u Briccu da Guardia, u Briccu di Danè, Lapassoi e a Custea.

Ma a Ca de Sevisse ci racconta anche una storia, quella di una famiglia che viveva in questo posto nei primi anni del 900.

Lino Venturino ha scritto uno struggente racconto “Sevisse” dove vissero agli inizi del 900, i suoi nonni Antonietta e Pantaleo Venturino.

“ Un posto incantato….il terreno era fertile, soleggiato, riparato dal vento e per questo Pantaleo l’aveva affittata per la famiglia. Non c’era energia elettrica, ma la sera si andava a dormire presto e presto ci si svegliava al mattino”

A questo link, “E Sevisse” una storia che bisogna conoscere.

 

Immenso il lavoro di generazioni, che hanno modificato completamente le Sevisse, con l’ampia zona prativa spianata a braccia.

Lo scavo del canale di apporto dell’acqua per uso irriguo, proveniente dalla sorgente dei Lapassuoli e quegli alberi da frutta piantumati, testimoni di un passato di attività agricole.

Il paesaggio in questa foto scattata in pieno inverno evidenzia quella che è una vera e propria oasi di verde.

Osservando la struttura da Ca de Sevisse, con la sua insolita tipologia di costruzione, si intuisce che non è la solita casa colonica, con lo schema tipico stalla-abitazione-fienile.

Quei muri tutti intonacati e quella grande scala di accesso, sono di una dependance agricola del marchesato d’Invrea.

Una parte di copertura è crollata e come effetto domino, ha trascinato a terra, la struttura del sottotetto e il piano di calpestio del primo piano.

Alcuni attrezzi, furcò, bai e piccu, sono quelli adoperati dal fratello di Giuse, che è stato l’ultimo a coltivare questo appezzamento di terreno.

Dalla vano di una porta, si intravede u Briccu di Danè, dei dannati, il perché di tale toponimo è probabilmente riferito a qualche episodio storico, forse tragico, ma non pervenuto ai giorni nostri, dal passaparola generazionale.

A Ca de Sevisse è completamente adagiata su un letto di vinca, anche Sciua di Morti.

Il sole a picco sulle nostre teste, ci avvisa che è l’ora del rientro.

Tempo fa conversando con alcune persone, che sono state qui alle Sevisse ho fatto loro una domanda, già ripetuta in precedenza ad  ad altri escursionisti.

“Ma al momento di lasciare le Sevisse, ti ricordi se ti sei fermato/a per guardar un’ultima volta quella casa?”

La risposta quasi unanime è stata “ Certo in cima al sentiero mi sono voltato/a a guardar ancora una volta quel bel posto delle Sevisse !”

 Sono già stato qui almeno quattro o cinque volte, ma anche oggi ritornando sui miei passi, mi volto anch’io verso quel prato per un’ultimo squardo, come a dire “Se vedemmu ancun Sevisse !”

Su un pianoro le feci di un predatore, forse un lupo

Il ritorno è tutto in discesa, deviando a sinistra si raggiunge il greto dell’Arenon per poi risalirlo in corrispondenza da Pria du Cuccu.

Giuse racconta di questo toponimo, che come per tanti altri, deriva da fatti realmente accaduti

Un cuculo, aveva il suo posatoio, sopra questo monumento roccioso e il suo tipico canto, risuonava in questa parte della vallata.

Il monolite era più alto di almeno tre metri, abbattuto da un escavatore, durante i lavori di ripristino della viabilità sottostante.

Lavori effettuati  dopo l’ecatombe di uno dei tanti incendi, tutti dolosi, ma mai perseguiti.

Con l’epilogo finale, dell’ultimo enorme, devastante incendio del 10 settembre 2001.

Le fiamme hanno distrutto completamente la vegetazione di questa parte della nostra città.

Si è salvato solo un bell’esemplare, di una foresta di pini domestici.

L’acqua piovana non più trattenuta da radici e arbusti, ha completato l’opera di distruzione dilavando il sub strato fertile e rendendo inutilizzabili sentieri e strade carrabili.

Forse andava fatta opera di diradamento per quei milioni di alberelli di pino, che stanno lentamente crescendo a stretto contatto, lottando contro le piante arbustive, che in certe zone hanno avuto il sopravvento

Questo contribuisce a caratterizzare questa zona della nostra città e dargli quell’appellativo di postu servegu, ma molto suggestivo, unico, dove l’assenza di vegetazione di alto fusto, permette di vedere e ammirare, il lavoro che anche in questa zona del nostro entroterra è stato fatto dalle generazioni che ci hanno preceduto in questo angolo di Liguria, sopra questi bricchi.

Ringrazio i miei compagni di escursionismo, Giuse e Francesco, alla prossima!

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