U Muin a Vapure (prima parte)

Da una chiacchierata, di questa estate con Berto e Antonella, nel chiostro dell’Assunta al termine di un’evento storico, era nata l’idea di una visita au Muin a Vapure, la zona industriale della Varazze dell’800.

Un pomeriggio di fine ottobre, io Berto e Antonella siamo alla base del percorso che porta al Colle di S.Donato.

Si sale lungo la strada lato mare, un tempo sovrastata da un bel pergolato, sorretto da colonne in pietra, con parapetto in legno e c’è subito una curiosità alla nostra destra, con i resti di una Sigogna, un’attrezzo per il prelievo d’acqua da pozzo o da canale, nei pressi della Ca du Gnarin, completamente invasa, resa impenetrabile da Lelua e Ruvei.

Lelua, edera, che è arrivata alla ciminiera in mattoncini, tronca, perché pericolante, du Muin a Vapure.

L’edificio come tutti quelli di questa zona è abbandonato, da decenni e in cattivo stato di conservazione.

Opifici fagocitati da vegetazioni invasive, con la crescita al loro interno di piante d’alto fusto e poi rifiuti di ogni genere.

Non esaustivamente, la storia della zona, oggi denominata Muin a Vapure, ha avuto inizio in epoca romana, sede dell’Arsenale e scalo marittimo del Castrum del Parasio .

Dopo diverse vicissitudini storiche, in epoca medievale prese il nome di Borgo Teri, nel XII secolo i Frati Gianchi, i Cistercensi, impiantarono alla base del Colle di S.Donato, dei mulini per granaglie e costruirono una delle loro Grangie a evidenziare l’importanza di questo territorio.

Dopo il 1450 i Cistercensi, perdono il possesso di questi opifici e delle zone dove erano insediati.

Con un salto di alcuni secoli arriviamo al 1884, l’anno che ancora si poteva leggere, non molto tempo fa, su un muro lato Teiro del Saponificio.

Tutta la zona del complesso industriale, oggi denominato Muin a Vapure, era intestato au Sciu Febo, già Giordano Costantino di Genova, che in questa zona a fine ‘800 poteva vantare: un Mulino per cereali, un Mulino per le cortecce di pino, destinate ai colorifici, un Oleificio al solfuro, dove si estraevano dalle sanse olio non commestibile, un Saponificio dove era fabbricato un sapone tipo Marsiglia a quei tempi molto pregiato, a base di soda, sale e l’olio prodotto dalle sanse.

In quest’area vi era anche una stalla e un grande allevamento di maiali.

A inizio del ‘900 tutte queste attività furono ridimensionate o sparirono del tutto.

Nel 1937 alcuni manufatti erano utilizzati da Umberto Righetti, per un’impianto di riciclaggio degli stracci usati, inquinati da grassi o oli.

In pratica gli stracci erano lavati e si recuperava dell’olio minerale.

Nel 1947 le aree du Sciu Febu, furono acquistate dai fratelli Berio, e attrezzate con un grande e innovativo impianto, che sempre dalle sanse estraeva dell’olio non commestibile.

Negli anni 60 terminò anche questa attività.

In un’area dismessa dalle lavorazioni sopra descritte, negli anni 50 si installò l’officina di Angelo Toso, specializzata nel realizzare ruote a pale e condotte per mulini gombi ecc.

Anche Alessandro Risso, Penolle, usufruì di una zona limitrofa au Muin a Vapure per il suo deposito e riciclo di ferrovecchio.

Pantellin in un edificio, oggi parzialmente diruto, aveva la stalla per il cavallo, una ruota appoggiata ad un muro, ci ricorda il suo Tumbarellu.

I fratelli Regnasco, di professione marmisti, presero posto con le loro attrezzature e macchinari nella Savunea e in alcuni edifici contigui.

La loro fu l’ultima attività presente in questa parte di Varazze.

Con la costruzione del viadotto autostradale Teiro Nord, le zone du Muin a Vapure e Simiteu Vegiu, subirono una forte perdita di valore immobiliare.

Oggi u Muin a Vapure è l’ultima zona di silenzio della nostra città

A questo punto è da citare una frase di Paolo Cognetti molto attuale oggi nella nostra città

“Quante cose ci vengono amputate, senza che ne sentiamo dolore, perchè siamo anestetizzati. Eliminare le zone di silenzio dalla nostra vita è come abbattere gli ultimi boschi per costruire dei supermercati, come radere al suolo una montagna per farci passare una strada. Servono esploratori che esaurite le terre sconosciute, vadano a cercare in quelle dimenticate, tornino ai luoghi che l’uomo abitava e ora non più. Un paese fantasma, una fabbrica abbandonata. Che cosa c’è lì, dove tutti sono andati via?” Un amore che nessuno si ricorda”. Servono libri che mettano in salvo quell’amore

In questo posto, dal nome antico, Muin a Vapure, ci sono le ultime testimonianze di un passato laborioso della nostra città, fatto di fatica, freddo, caldo, sudore, pericoli e giastemme….la vita reale della gente comune, che dal Sciu da Teiru, traeva le risorse per il proprio sostentamento e quello de niè de figgi.

Ma questo lo sa solo chi ha veramente lavorato in vita sua

U gh’ea sulu na miaggia de mesu a chi fasceiva l’Oiu de Sansa, da quelli che lavavan e strasse, e primma ancun da chi feiva u savun da na stalla.

E come non ricordare u Furmine, che aveva l’orto lungo la strada che sale al colle, allevava cuniggi, galline e raccoglieva la menta qua particolarmente profumata.

E du Muin a Vapure conosceva ogni cosa, lo ascoltavo e facevo domande.

Mi e u Furmine  settè in so Punte Novu, dau Palassu da Fabrica.

Oggi è Berto che ci guida e ci racconta, di questo posto dove tutti sono andati via, anche lui che in ta Ca da Ravina, ci abitava.

Toglie l’erba dau Nicciu costruito da suo papà Giuseppe.

 Ci racconta di quel singolare sgabello, fatto con una vecchia mola.

U Troggiu per lavare i panni, che utilizzava l’Equa du Beo.

Il Beo, canale è prosciugato, ma la struttura è rimasta intatta e lo si può vedere entrare e uscire da diversi opifici, dove come una linea in tensione, portava energia, che faceva girare le ruote, alimentava caldaie o scioglieva la soda per fare il sapone in ta Savunea.

continua

foto in b/n Archivio Storico Varagine.

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