
Non esistono documenti dell’epoca, che attestino con precisione, tutti i possedimenti dei Cistercensi, i frati bianchi provenienti dalla Badia di Tiglieto, nel territorio della nostra città.
Di alcuni però v’è certezza.

Anche perchè la presenza di una Grangia, che aveva funzione di governo con la contabilità e il magazzino, di cerali, olio e di altri beni alimentari, doveva avere il suo tornaconto.
Questa costruzione è conseguente, ad estesi possedimenti di terra fertile, di coltivatori e braccianti tutti al servizio dei frati bianchi.
Non meno importanti erano le proprietà degli impianti e delle opere idrauliche, fatte costruire Sciu da Teiru dai Cistercensi, geniali ideatori di mulini, frantoi e canali.

La Badia dei frati bianchi di Tiglieto, possedeva tutta la zona oggi denominata Muin a Vapure, dove erano attivi due mulini per granaglie.
Altri opifici erano, dai Muinetti in fondo a Via Gianca, in tu Pasciu e dau Laguscuu.
Avevano la proprietà o la disponibilità, di estesi terrazzamenti, dove coltivar ortaggi, primizie e alberi da frutta.
Chilometri de Mascee, che furono edificate nelle zone più riparate e soleggiate della nostra città.

U Carmettu e u Buntempu erano irrigati da una geniale opera idraulica, ancora visibile oggi, vigne, orti e ulivi anche lungo a Via Gianca e a Costa de Casanova.

Anche la grande piana della Camminata era dei Cistercensi, dove producevano ortaggi e frutta

La zona soleggiata e terrazzata da Suia, sopra la località dei Busci in sponda destra del Teiro, che traeva l’acqua per irrigare, dal rian da Riva.
Terrazzamenti edificati su di un’acclive pendio, dau Simiteu Vegiu, fino ad arrivare au Vignò.

Fasce anche in tu Pasciu, u Buggia, Bosin, Laguscuu e Gambun.
Questi possedimenti erano protetti da una poderosa muraglia di confine ancora ben visibile lungo la via Bianca.
In sponda destra del Teiro il confine costituito sempre da una muraglia, era probabilmente sul crinale che risale verso la localita Castagna.
Di questa opera non restano che pochi resti, distrutta dallo scavo della galleria autostradale, non vi è riscontro di altri possedimenti dopo u Simiteo Vegiu, in sponda destra del Teiro ( Lomell ina)
A partire dal XIV iniziò la fase di decadenza della Badia, con le conseguenti lotte di successione delle proprietà dei frati bianchi.
Relativo a questo periodo storico, è molto interessante la lettura del libro, edito nel 2000, dall’Associazione Culturale San Donato “L’Abbazia Cistercense di Santa Maria di Tiglieto” da cui ho estratto alcuni frettolosi riferimenti storici e le foto della Grangia, per comporre questo articolo.

Caduta in disuso….facciamo un salto storico di alcuni secoli e arriviamo nell’800, quando all’interno della Grangia, furono costruite delle vasche, che erano funzionali all’adiacente Savunea.
Un’incendio ne distrusse la copertura.

La Grangia, monumentale edificio, in gran parte diruto, di rilevanza storica del XII secolo, costruita dai Cistercensi è oggi completamente nascosta alla vista dalla Lelua, edera.

La Grangia Cistercense, è nominata dagli storici locali, mai vista però dai miei concittadini, dal vero senza vegetali e piante rampicanti.

Suggestivo e simbolico, il grande arco della Grangia, pregevole opera di architettura.
Il Teiro privo di argini negli anni 60, era luogo di infinitii giochi di noi bambini, nella bella stagione lo si attraversava per le nostre scorribande al colle de San Dunò.
Nel beo che ancora alimentava la cartiera Arado, catturavamo i grandi ragni con la croce, che messi in una scatola di latta servivano per spaventare le bambine.
La Grangia era pollaio, recinti per animali e deposito, oggi è abbandonata all’incuria dell’uomo e al degrado del tempo.

Animali del bosco razzolano fra le sue rovine, una scena emblematica del degrado ambientale e culturale della nostra città.

L’ingresso è interdetto, ma con un ampio giro, si può entrare, arrivando dall’alveo del Teiro, ancora in secca, cosa insolita per questo periodo dell’anno.

Si passa davanti a Savunea, anche questo pregevole edificio di archeologia industriale è stato conquistato dai rampicanti e nascosto alla vista da alberi con alto fusto.

Questa è la foto da Savunea, scattata negli anni 90, quando in questo edificio, esercitavano l’attività di marmisti, i fratelli Regnasco

Serve avere rispetto della propria Storia, che non deve essere sempre e soltanto quella religiosa, ma anche e sopratutto, quella della vita reale delle persone che hanno, con il loro lavoro, creato, mantenuto e fatto crescere figli, famiglie e comunità.
In altre realtà, questi ex opifici, sarebbero già stati aquisiti da un’Ente Pubblico, Comune, Sovraintendenza, Beni Culturali ecc. manutenuti e valorizzati.
Ci sono finanziamenti per far tutto, possibile che non esista niente per l’archeologia industriale della nostra città?
L’ultima testimonianza storica, culturale, industrriale di Varazze.
Che cosa c’è lì, dove tutti sono andati via?” Un amore che nessuno si ricorda”. Servono libri che mettano in salvo quell’amore”

Grazie ad un’uomo geniale abbiamo un libro, quello di Lorenzo Arecco “Gli Opifici ad Acqua nella Valle del Teiro” una meritevole opera che ha messo in salvo la memoria del Sciu da Teiru e da cui ho preso diversi spunti, per questo articolo.
Ancora Grazie Lorenzo!
Questo libro, descrive gli impianti e la storia delle quattordici ruote a pale e delle molte altre attività, che traevano energia dall’acqua, nell’estesa zona industriale del Sciu da Teiro.
Un libro che fa pensare a quella moltitudine di operai e non solo, che a pochi metri dalle proprie abitazioni, da una ruota messa in rotazione da un beo d’equa, traevano sostentamento per le loro famiglie.
Un libro che dovrebbe essere sui banchi di scuola della nostra città!
Gente laboriosa, bestie da travaggiu sa da figgiò.
Ma anche capaci di geniali soluzioni a problemi di produzione, soluzioni tecniche, migliorie, modifiche apportate nel tempo dall’esperienza o da innovazioni specifiche per ogni tipo di attività, sono state effettuate con alterne fortune in questi opifici.

Magari un tempo anche segreti industriali, che si celano ancora fra questi impianti, marsi da ruse, ingugii da lelua, ruvei e pin de rumenta.

Consiglio vivamente di non oltrepassare la zona interdetta per il serio e concreto pericolo di crolli.
L’insolita grande schiusa di mosche e zanzare, divulgata dai media come una delle sette piaghe, sembra che si sia concentrata proprio in questa zona, bisogna andar via nonostante siamo attrezzati di repellente!
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Un pallido sole è ancora lungi da coricarsi dietro ai bricchi.

Terminiamo questo bel pomeriggio, per dar risposte ad una questione toponomastica, nel Sciu dell’Aniun, in Costata dove oltre ad ammirare la bellezza naturale di questa suggestiva località, ci sono altre due cose da fare.

1)Visitare la Fornace da Calce.
Forse di epoca romana, ben conservata grazie alla sua copertura, è costruita nei pressi della carrareccia che in questo punto oltrepassa un Rian e poi l’Aniun per arrivare a Custò e scendere verso la Via Gianca.
E’ possibile che da questa fornace arrivava la calce per edificare la nostra città?

2)Assaggiare i Armuin o Gassaolli, i corbezzoli.
Ste ballette russe sun e ciù bunne che se poan truvò a Vase!

Sulla via del ritorno, facciamo visita a S.Giacomo in Latronorio.
Io e Antonella ringraziamo Berto, per la sua gentile disponibilità e per la visita au Muin Vegiu, lui è un grande conoscitore della storia locale di curiosità e aneddoti.
Grazie Berto!
foto in b/n Archivio Storico Varagine
