U Muggiu de Prie

Provenendo da Sanda, oltrepassato il bivio per il Bricco delle Forche, la strada dopo una curva a destra prosegue con un tratto rettilineo e dopo un centinaio di metri, supera un piccolo dosso.

Poco prima a sinistra c’è un Nicciu, con una ceramica che rappresenta la Madonna della Guardia.

Questa zona è chiamata Muggiu de Prie.

Interessante la sua storia, comune a molti altri luoghi del nostro entroterra.

U Muggiu de Prie probabilmente era un manufatto pagano

Tutti i simboli politeistici, furono trasformati in luoghi di culto cristiano, come lo sono ad esempio alcune chiese edificate sopra le vestigia di tempi pagani o i Nicci, che hanno inglobato le pietre fitte.

In molti altri luoghi i semplici manufatti, dove le antiche popolazioni adoravano gli elementi naturali della terra dell’acqua ecc. sono stati distrutti dalla furia cristiana.

Comparvero le croci sulle pietre incise.

Anche il Muggiu de Prie fu smantellato e le sue pietre ora faranno parte de quarche Miaggia de Ca o in te na Mascea de na Fascia

Al suo posto e con quelcheduna di quelle “pietre scagliabili” fu eretto un Niccciu du Muggiu de Prie.

Dal libro “Stella S.Martino U gh’ea na vota…u gh’è ancun” di Rossana Bolla e Patrizia Rebagliati, ho estratto questa la storia du Muggiu de Prie, sarebbe stato più semplice, e molto meno impegnativo per chi legge, magari farne un sunto.

Ma avrei snaturato la forma del racconto e l’approccio ad un argomento sempre delicato come è quello religioso di un uomo dell’ottocento come il Rocca, grande conoscitore di tutto il nostro entroterra.

Religione che da sempre condiziona l’essere umano, in questo nostro angolo di mondo.

Troverete nel testo alcuni errori di ortografia e di forma con nomi e coniugazione dei verbi storpiati , veri e propri “Gosci” cumme ghe discian a Zena, ma è lo scritto originale, anche piacevole nella lettura, di Pietro Rocca.

Una storia che fa riflettere come furono manipolate stravolte le credenze popolari in nome di un nuovo Dio.

 U Muggiu de Prie di Pietro Rocca

A sud di San Martino a distanza di un miglio e mezzo di lato occidentale della strada esiste ab immemorabili, un grosso piramidale mucchio di pietre tutte scagliabili, con la mano avente cinque metri di diametro e tre e mezzo di altezza, il quale non può ascriversi alla natura del terreno né al caso né tantomeno ad esigenze di coltivazione.

Questa singolare di congerie di pietre ammonticchiate  piramidalmente e di cui s’ignorò sempre l’origine e la causa e che in questo luogo fu sempre cagione di paura al viandante.

Muoveva anche a me perfin da ragazzo ad investigare lo scopo, ond’è che chiestone ai longevi, il mio nonno materno dicevami che essere tradizione stato lapidato un gran malfattore di Cremolino, Il quale tagliava a fette e cuoceva i viandanti che capitavano nella sua osteria.

Cagione pertanto molto ragionevolmente presunta dell’orrore che ispirò sempre questo luogo.

Per quanto però aver possa qualche fondamento si fatta tradizione.

Giacchè sappiamo, che tale uso vigesse già presso gli ebrei e vige ancora nella campagna come me ne assicura il compianto Monsignor Cerruti.

Io preferirei riscontrarvi l’antico Acervo di Mercurio di cui l’Erme doveva ivi sorgere sia perché in prospettiva del Monte Ermetta sia perché giacente a lato di pubblica strada ove passanti come era d’uso ammontichiavano  pietre in segno di omaggio a Mercurio che ritenevano protettore dei viandanti dei mercanti che da lui presero anche il nome anche dei ladri….

Non stancandomi di indagare presso i nostrani e i limitrofi.

Un tale di Sanda che usa sovente la strada  dissemi di aver appreso in sua giovinezza, che uno di quelle grosse pietre esistenti al lato meridionale della piramide chiamavasi dai suoi terrazzani Pietra del Diavolo come che raffigurata a modo di belva infernale e quindi segno di orrore e di spavento ai passanti per quanto facendovi osservazione non abbia egli potuto ravisarvi sembianze ferine.

Recatomi  solecitamente con diversi amici ad esaminare per ogni verso questi informi pietroni e non riuscitoci di scorgevi sembianze di sorta, pensammo a scostarci di pochi passi, ove per caso la visuale ottica ci presentasse qualche rilievo.

E infatti nel masso più meridionale che sta di fronte ai passanti quando vengono dal mare, ci parve scoprirvi l’effige informe di una mostruosa belva accosciata con larghe occhiaie e il muso acuto come di cinghiale. Forme, determinate evidentemente dalla disposizione delle diverse bozze salienti, qua e là coperte di muschio e di secolari licheni.

Sicchè argomentammo che da ciò potevano motivarsi esposte superstiziose dicerie, quando in quel sasso non fosse stato raffigurato l’informe Erme di Mercurio, ritenuto dai posteri allorché divennero cristiani, come un Dio infernale, e quindi cagione di paura ai passanti che cercavano di abbonirlo col gettare una pietra sul mucchio di aderente.

Venuta in pensiero ad alcuni villeggianti di scomporre il mucchio suddetto con l’idea di trovarvi i resti umani del supposto malfattore, mi affatica di sconsigliarli da tale impresa, fino a tanto almeno che se ne  ottenesse ottenesse un disegno il quale poi venne eseguito ad olio dalla dilettante signore Edvige Picconi, la quale ebbe il gentile pensiero di regalarmelo.

Fu In seguito a ciò che 16 ottobre 1875, presente il distinto geologo Cavalier Don Perrando il professore de Renzi e vari altri signori si scolmò con mia repressa pena il mucchio senza trovarvi vestigio alcuno di resti umani come io aveva costantemente prenunziato qualificandolo non altrimenti che un vero Acervo di Mercurio.

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