Giacomo Giuseppe Rusca, u Nini

Giacomo Giuseppe Rusca, u Nini

Dopo quello che era capitato al povero Giacomo, i parenti e quelli che lo conoscevano, gli fecero visita, con gli occhi lucidi, pieni di premure e di belle parole nei suoi confronti.

Anche i militari erano a conoscenza di quella tragedia

A partire da quei soldati tedeschi, che lo avevano accompagnato a bordo di una Kubelwagen a Savona, evitando così tutti i posti di blocco sull’Aurelia, per arrivare prima all’Ospedale.

Chissà se quei militari, avranno udito le urla di Nini quando trattenuto a stento legato ad un letto d’ospedale, con una siringa, i sanitari, cercavano, senza anestesia, di asportare il sangue dalla cavità oculare, nel tentativo di ridurre l’ematoma, per salvar l’occhio destro.

Tanto dolore per nulla, l’occhio fu perso per sempre.

Giacomo aveva 6 anni.

Nel 1944 la nostra città viveva sospesa in attesa degli eventi.

Ma i delatori continuavano il loro sporco lavoro, ogni tanto qualcheduno spariva e non si sapeva che fine aveva fatto.

Furono fucilati dei partigiani e dei renitenti di leva

La guerra era già persa fin dall’inizio.

L’Italia sconfitta su tutti i fronti, dai popoli che aveva aggredito.

Milioni di morti.

Disfatta, resa tangibile, dalla perdita del controllo dei cieli di quella, che qualcheduno ancora si ostinava a chiamare patria.

Ci furono i primi bombardamenti della città e le prime vittime civili.

Fu proprio un allarme aereo, la causa di quel brutto incidente.

Giacomo, correndo per andare al rifugio, inciampò, cadde e si infilzò l’occhio, con il temperino che teneva stretto in mano, per paura di perderlo.

I militari tedeschi gli prestarono le prime cure e lo accompagnarono all’Ospedale di Savona.

Pe un certo periodo, Giacomo ebbe bisogno di effettuare cure e visite di controllo.

All’occorrenza questo servizio era effettuato da militari tedeschi o italiani.     

Un militare italiano, un sanmarco, con il suo cavallo saliva ogni giorno a portar i viveri al P.O.C. della Crocetta di Cantalupo.

Su quel rilievo al cospetto di panorama mozzafiato era stato posizionato un Posto di Osservazione Costiera, due lunghe trincee circondavano il colle.

Spire di filo spinato e ordigni antiuomo completavano la difesa di questo baluardo, fondamentale per l’intercettazione delle navi e aerei alleati.

In comunicazione con le batterie di Punta d’Invrea dei Bottini e il treno armato.

La cima della Crocetta era trapassata, con un percorso est/ovest, da un rifugio, scavato nella roccia, lungo un centinaio di metri.

La cappella della Crocetta era stata abbattuta per non fornire un facile riferimento agli aerei alleati.

Quel militare a cavallo allungava un pò il tragitto passando da Muianna, per far tappa dalle case dell’Uspiò, e far salire sul cavallo Giacomo.

L’occhio non era più bendato.

Su quella sella, Giacomo poteva ammirare quello spettacolo di panorama, sempre più immenso, mentre il cavallo saliva la Crocetta.

Il colle era zona militare, circondata da una recinzione di filo spinato.

A Giacomo piaceva il rumore degli zoccoli di quel cavallo, sul Ciappin di quella antichissima strada.

Questa antica viabilità è oggi chiamata a Stradda Rumana e arriva a Cruscetta, passando al disotto dell’attuale via Craviotto.

Il militare era sceso e teneva le briglie.

Per Giacomo quello era il momento più bello.

Rimasto da solo sopra il cavallo.

Il sedime da Stradda Romana è costituito da grandi Ciappe de Pria.

Ma che uomini erano, quelli che misero a dimora questi macigni?

Un messaggio esplicito per i malintenzionati che percorrevano questa viabilità?

A Stradda Rumana arrivata in vista della vetta, compie una decisa curva a destra e a circa metà dell’ultimo tratto in salita c’è una grande vasca in cemento dell’acquedotto in buono stato di conservazione ma oggi in disuso.

Nel rivolo del troppo pieno di quella vasca, il cavallo era solito abbeverarsi.

Arrivati ad un pianoro c’era l’entrata del rifugio.

Protetto alla vista dei ricognitori, da alcuni giganteschi alberi de Pin da Pinò

Quel militare, forse un padre di famiglia, un giorno lo portò con sé all’ingresso del rifugio.

L’entrata era abbastanza ampia, poi il tunnel proseguiva nel buio.

La luce che entrava nella galleria svelava la presenza all’interno di pozze d’acqua e fango.

Giacomo vide l’ingente quantitativo di materiale, che era accatastato all’interno di quella galleria.

Quel rifugio era in realtà un grande deposito di tante cose, le più disparate, dagli attrezzi, a un ingente quantitativo di tavole.

Alcuni fucili da caccia, probabilmente sequestrati a inizio conflitto.

Altre cose erano coperte con dei teli, e poi grandi rotoli di fil di ferro e di carta catramata.

Il tunnel era lungo almeno un centinaio di metri, si percepiva l’odor di muffa, aria umida e pesante.

L’uscita/entrata al rifugio lato Lenchè era occultata dalle  reti mimetiche.

Da questo punto, iniziava una lunga trincea molto profonda, dove una persona poteva tranquillamente stare in posizione verticale.

Un lavoro immane, effettuato dai militari e dalla gente del posto, sotto la supervisione della Todt, l’organizzazione tedesca per opere di difesa militari

Questa trincea, con alcuni cambi di direzione, terminava all’altezza del P.O.C (Posto di Osservazione Costiera)

Dal lato opposto, era stata scavata un’altra profonda trincea, recentemente ripristinata dall’Associazione Alpini, Oggi l’entrata dai Pini è completamente occlusa da un muro di pietre a secco.

In una spelacchiata radura sotto i Pin da Pino’ alcuni militari a torso nudo rincorrevano un vecchio pallone alzando nuvole di polvere che un vento di mare spazzava via.

Nini era bravo a giocare a pallone.

Ma era ora di ritornare a casa.

A piedi con la pagnotta che il militare gli aveva regalato.

Oppure sempre a cavallo per una lunga vertiginosa discesa percorrendo la Crosa che attraversa la borgata di Cantalupo.

Qui dalla piazza di San Giovanni, si scendeva nella Castagna e quindi si arrivava dalle case dell’Ospedale dove abitava Giacomo.

Quel Sanmarco, un parmense, finita la guerra rimase per un po’ di tempo a coltivare le fasce di Giacomo Masio.

Le cose molto lentamente tornarono alla normalità della solita vita grama della povera gente.

Giacomo Rusca classe 1937 mi ha raccontato questo ed altro, quando bambino, fu coinvolto nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale.

Quando sun a Cugou un caffè dalla mia amica Marilena ci scappa sempre.

Tempo fa mi disse “ Dovresti parlare con Giacomo è nato a Varazze e sa molte cose degli anni 40/ 50 appena lo vedo mi faccio dare il numero e cosi vi sentite”

Tempo e caffè ne sono passati tanti, poi un giorno Marilena mi consegna un cartoncino con un nome Giacomo Rusca e due numeri di telefono.

Ci accordiamo per telefono e un venerdì di dicembre con un po’ di focaccia con e senza cipolle, eccomi al quinto piano di un palazzo nel centro di Cogoleto con una bella vista mare.

Giacomo è nato a Vase in ta Lomellina, in sponda destra del Teiro posto da orti e da alberi da frutta, il 12 maggio del 1937, da Giobatta Rusca e Agnese Fazio.

La mamma morì di parto, dopo aver dato alla luce Giacomo.

Qualche anno dopo Giobatta Rusca sposò Caterina Bolla da cui ebbe altri due figli Bartolomeo e Geronima.

Nel 1943, dopo l’8 settembre, quando arrivarono i tedeschi in forze, per presidiare Varazze, Giacomo aveva 6 anni.

I bambini come Nini, furono spettatori attenti e memori degli avvenimenti di guerra.

Quello che videro e udirono è rimasto indelebilmente scolpito nella loro memoria.

Nel 1943 la guerra era praticamente persa, in tutta la penisola i nazifascisti avevano perso il controllo dei cieli e del mare.

Ci furono i primi bombardamenti della città.

Dalla Lomellina la famiglia di Nini si trasferì in un’abitaazione dalle parti dell’Ospedale, in ta Ca du Perisi.

Sotto casa, al riparo di una roccia, avevano costruito un rifugio antiaereo, dove andavano a ripararsi, all’approssimarsi di un’incursione aerea.

I Tedeschi avevano requisito il piano terra di quell’abitazione, dove c’era un magazzino.

Nonostante quella occupazione forzata non cui fu mai uno screzio con i militari.

Cosa normale durante un conflitto requisire delle case per dare

alloggio ai soldati.

La forzata occupazione militare, aveva un risvolto positivo.

I soldati tedeschi chiesero alla mamma di Giacomo se poteva far la pasta per loro consumo e in cambio ebbero una costante fornitura di farina per tutta la famiglia.

Ma quella coabitazione aveva un problema con la presenza dei tedeschi, quella casa poteva diventare un bersaglio per le incursioni aeree. 

Era un buon punto di osservazione, da quella casa si aveva il controllo visivo, del colle di S.Donato, la strada verso l’entroterra, il Cotonificio e il dirimpettaio colle du Buntempu, dove i tedeschi avevano piazzato una batteria contraerea.

Furono proprio quei militari che si allertarono quando videro un’ombra scura in una notte di luna piena, che si aggirava in quei terrazzamenti sopra Uspiò de Vase.

Era il papà di Giacomo, intento a zappare, i militari lo circondarono, intimandogli di non andare più a far quel lavoro di notte.

Con il coprifuoco erano autorizzati a sparare anche alle ombre.

Quel fiasco di vino che il papà di Giacomo aveva, fu preso dai quei soldati, per una pausa di oblio, di quella sporca guerra.

La zona rocciosa, dove la strada si fa stretta, prima di arrivare al Parasio è chiamata dau Puntin, per l’esistenza fino agli anni 20, del secolo scorso di una viabilità sospesa, che dalla via Bianca arrivava a S.Donato

In quella roccia scavarono i tunnel di mina.

Era la Todt che supervisionava i lavori, sul posto c’erano soldati tedeschi e italiani, ma chi faceva il lavoro pesante e qualificato erano i lavoratori nostri concittadini, come GB Porro, u Porin e Baciccia de Rocche.

Nella parete est, dau Puntin, furono scavati 5 fornelli di mina, un sesto non fu ultimato.

La roccia di risulta dello scavo era caricata sopra un carro a trazione animale e scaricata in Teiro.

Per un bambino come Giacomo, salire su quei carri era uno spasso.

Salivano sui carri che facevano la spola dau Puntin fino alla riva del Teiro, aspettavano lo scarico del materiale di risulta degli scavi e poi al ritorno salivano direttamente nel cassone.

Questa parte del sciù da Teiru, divenne un bersaglio per le incursioni degli aerei alleati

C’era il complesso industriale del Cotonificio e nel Parasio erano assemblati i MAS di Baglietto.

La guerra era persa, ma la retorica nazifascista propagandava la resistenza ad oltranza e a Fabrica divenne un punto di resistenza.

All’interno dello stabilimento vi era un deposito di materiale bellico e una consistenza presenza di militari

Gli abitanti di questa zona e gli operai che lavoravano allo scavo dei fornelli di mina dau Puntin, furono avvisati della situazione di pericolo.

Un giorno suonarono le sirene dell’allarme aereo.

Poco dopo, dau Vignò scese in picchiata un aereo alleato.

Sganciò una bomba, che esplose nell’orto della Madonetta, lo spostamento d’aria fece cadere Giacomo che scivolò lunga discarica

Suo zio, u Porin, abbandonò il carro, afferrò Giacomo, lo sollevò di peso e attraversando il Teiro si misero al riparo nei pressi di quella grande pietra sotto a Ca di Pelosi

Dau Vignò arrivò un altro aereo che si abbassò mitragliando e sganciò altre bombe.

Giacomo vide distintamente quegli oggetti neri espulsi dall’aereo.

Poco dopo i boati delle esplosioni.

Gli aerei mancarono l’obiettivo che era il Cotonificio.

Una bomba esplose al pianoterra del Palazzo da Fabrica, sventrandone la parte verso via Montegrappa.

L’edificio resistette grazie alla struttura in cemento armato.

Un’altra bomba esplose all’entrata della Fabrica, una inesplosa fu ritrovata in una tromba delle scale.

Le esplosioni avevano sollevato nuvole di polvere e provocato una pioggia di terra e pietre.

Tutti i vetri non protetti dai Scui o Gioscie andarono in frantumi

Nel silenzio spettrale che seguì a quell’incursione, Giacomo udì distintamente il suo nome pronunciato dalla voce disperata di sua mamma.

Arrivato a casa gli fu intimato di non andare più dau Puntin.

Le gallerie appena scavate, nella massa rocciosa, furono riempite di esplosivo.

Era l’epilogo di quella sanguinosa guerra che stava volgendo al termine.

I nazifascisti difronte all’avanzata degli Alleati stavano preparando la loro fuga.

Da quella posizione panoramica, da a Ca di Perisi si poteva vedere il movimento delle colonne motorizzate lungo la strada

La giornata del 24 aprile fu particolarmente trafficata, con il transito di mezzi di trasporto, truppe e corazzati.

In fuga verso il passo dei Giovi.

L’afflusso di uomini e mezzi non era costante.

Giacomo vide entrare e uscire da quelle gallerie di mine, delle persone, pronte a nascondersi, forse ad un segnale convenuto di chi era di guardia sul Teiro, all’approssimarsi di altri mezzi militari.

Erano molto probabilmente, gli stessi operai che avevano scavato quelle gallerie che stavano portando a termine il disinnesco delle mine du Puntin, togliendo detonatori e cavi di innesco.

Scongiurarono una grande esplosione.

Lo spostamento d’aria e le vibrazioni dello scoppio, avrebbero sicuramente distrutto anche la borgata du Ciou in tu Pasciu e procurato danni alle abitazioni limitrofe.

I fascisti passarono con un megafono, ad avvisare gli abitanti della zona di un’imminente esplosione.

Tutti gli abitanti dovevano abbandonare le loro case e mettersi al riparo.

Il papà di Giacomo che era a lavorare al Manicomio di Prato Zanino, fu avvisato del ritiro delle truppe nazi fasciste da Varazze.

Si sapeva che i nazifascisti come ultimo vile gesto, avrebbero fatto terra bruciato durante la ritirata, facendo esplodere le mine che avevano piazzato lungo via Piave.

La sua casa era in pericolo, la deflagrazione avrebbe coinvolto tutte le abitazioni anche quelle nei dintorni dell’Ospedale

Il padre di Giacomo, arrivò in tempo a porre in sicurezza la sua famiglia.

 Tranne il padre il nonno di Nini, Giuseppe, che era disabile e non volle abbandonare la casa.

Giacomo ricorda quella precipitosa fuga verso il loro rifugio.

Dalla stradina passava altra gente, diretta verso la casa del S.Martin, dove in alto al limitare del bosco, era presente un grande rifugio, scavato nella roccia.

A Grotta, qualche anno dopo quel rifugio fu luogo di gioco di noi bambini

Altri abitanti della zona furono ospitati nel grande rifugio da Fabrica presso l’omonimo palazzo.

Proveniente dalla zona della Camminata, si udì una forte esplosione. 

Prima di sparire alla vista nel rifugio, sotto casa, Giacomo vide arrivare un (sidecar) da cui scesero alcune persone.

Bastava loro collegare i fili al magnete.

Restando a debita distanza, dopo aver steso un centinaio di metri di cavo.

E poi far brillare le cariche

Ci furono momenti concitati con un andirivieni di militari, dau Puntin, poi un silenzio innaturale.

Poco dopo Giacomo udì distintamente le parole pronunciate con un megafono.

“Porci italiani la pagherete!”

Nessuno però osava uscire dai rifugi

Passò forse una mezzora, quando si udì un forte boato e una densa colonna di fumo e polvere si alzò in cielo in direzione del Pero.

Erano esplose le mine di S.Anna.

Qualche giorno prima i militari avevano abbandonato il Posto di Osservazione Costiera e il rifugio della Crocetta di Cantalupo

Quel grande deposito di materiali, fu velocemente depredato di tutti i materiali che conteneva.

Probabilmente rivenduti poi, in un qualche esercizio commerciale della nostra città.

Tutta la Crocetta era minata, con cartelli e filo spinato per delimitare la zona.

Un giorno, circa un anno dopo la fine della guerra, i carabinieri inviarono una convocazione a Giacomo.

Doveva presentarsi accompagnato dai genitori in caserma.

Che cosa poteva aver combinato di così grave un bambino di otto anni, per essere convocato in una caserma dei carabinieri?

Questa fu la domanda indagatoria che gli fece suo padre.

Il maresciallo chiese a Giacomo informazioni di quel rifugio della Crocetta, che cosa era stato depositato in quel tunnel e se poteva accompagnarli sul posto.

Salirono alla Crocetta con l’avvertenza di non abbandonare mai a Stradda Romana visto la presenza, oltre la recinzione, di mine antiuomo

Arrivati nei pressi dell’entrata del tunnel, Giacomo, indicò ai carabinieri la via da seguire.

Ritornò una seconda volta per collaborare con una squadra di sminatori

Sapeva dell’esistenza di una mina nei pressi della vasca dell’acquedotto e la segnalò agli addetti allo sminamento.

La zona fu bonificata dagli ordigni esplosivi.

Ma inevitabilmente qualche mina sfuggi al controllo e questo fu causa di una disgrazia a farne le spese fu il fratello di un noto medico di Varazze.

Giacomo ricorda quando il malcapitato fu trasportato via, steso sopra una scala.

A raccogliere legna con i suoi amici, Giacomo s’accorse di una mina antiuomo a strappo.

Fecero esplodere quell’ordigno!

Un boato!

Per non essere scoperti, colti sul fatto e puniti dagli adulti, Nini e i suoi amici fecero un largo giro, salendo sopra u Sucau e scendendo fino al Vinò.

I bambini accompagnavano gli adulti nel bosco e li aiutavano nella raccolta della legna a comporre grandi fascine da portare in spalla.

Ai bambini era fatto trascinare con una corda u Pinuttin un tronco di pino.

Insieme ad altri ragazzi Giacomo andava in ta  Pinea du Sucau e nei Cien de Cantalù a raccogliere le pigne che erano vendute al Carbunin.

La pigna secca era un buon innesco per la combustione del carbone.

Suoi compagni negli anni dal 48 al 51 in questi boschi a raccogliere legna, Pigne, Seppi de Bruga e u Giassu de Pin, erano Corrado Teneggi futuro giocatore di calcio di serie B e la sorella Marisa poi conosciuta come la cantante Miriam del Mare.

I ragazzotti facevano qualche soldino recuperando i colaticci di ghisa, negli scarti di fusione scaricati in Teiro, dalla fonderia Granone, rivenduti poi a Penolle

All’Oratorio c’era don Dania.

Giacomo era bravo a giocare a pallone suoi compagni di squadra erano Teneggi, Barbarossa, Recagno.

Suò papà non voleva che Giacomo giocasse a pallone, per paura che in un scontro di gioco, una pallonata o altro potesse subire una qualche danno alla vista.

Ma era troppa la voglia di giocare e allora Giacomo nascondeva le scarpe da calcio e la maglietta, in una valigetta riposta in quell’ex rifugio sotto casa.

Il padre un giorno scopri il nascondiglio e bruciò la valigetta con il suo contenuto.

C’erano da fare altre cose più utili che giocare a pallone come quella di portare il letame nei terrazzamenti coltivati dalla sua famiglia.

Bambini e ragazzi facevano la loro parte, nelle attività di famiglia

Ma c’erano momenti di infiniti giochi sciu da Teiru.

Passatempi con quella niò de figgi che abitavano a Ca di Pelosi.

Bambini della sua età, Nini li ricorda tutti, Rosetta, Angelo, Clelia, Guido, Roberto, Emilio, Pio, Dina.

Voglia di divertirsi, di star insieme dopo le brutture della guerra.

Ragazzotti su quel muro che circondava il Cotonificio, d’estate quando dai finestroni si intravedevano le operaie ai telai.

Un lavoro disumano, riuscire a sopportare il calore in quei vecchi locali ancora con il tetto a falda.

Nel “51 la sua famiglia si trasferì all’Aspera in quella casa che domina dall’alto con la sua torretta, qui avevano preso in affitto un terreno, di proprietà di Botta (titolare del Kursal ) che aveva sposato una Lupi.

Avevano una stalla con sette mucche, il fieno era tagliato nei prati alla Natta, ma a volte portato a spalla dalla sottostante via Aurelia.

Era una terra dura da zappare, l’acqua per irrigare era quella piovana raccolta dalle grondaie e convogliata in una Peschea.

Giacomo ricorda la grande nevicata del 1954 con grandi accumuli di neve, suo padre a causa di una caduta sul ghiaccio, perse per un paio di mesi l’uso del braccio destro.

I vicini si prodigarono per dare una mano a Giacomo costretto a zappare da solo quel grande appezzamento di terreno.

La coltivazione dei Sciti dell’Aspia dava una buona raccolta di ortaggi olive e frutta. 

Giacomo parla della sua passione per la caccia praticata poi per tutta la vita

Le prime volte all’Aspia postu de passaggiu de strunelli, turdi e grivelle.

Esiste ancora oggi a Casetta du Balletta, che era di proprietà dei Roncallo, dove si praticava la caccia con la rete.

La prima esperienza lavorativa al difuori dell’economia famigliare fu negli anni 1951/52 vendere i krapfen e le brioches con la marmellata, del forno Vernazza, lungo l’arenile di Varazze a 5 £ cad.

U Nini insieme al fratello Bartolomeo con le loro sua cassette a tracolla, erano soliti percorrere la zona di levante dal molo del Teiro fino al Nautilus.

Altri venditori dei forni di Lavoratti e Giordano percorrevano la spiaggia di Levante.

Erano pagati a “cottimo” per ogni krapfen o brioches venduta, a detta di Giacomo era un lavoro molto ben retribuito

Negli anni dal 53 al 60 dipendente della panetteria Giordano a consegnare il pane nell’entroterra.

In tu Pasciu u Pei, Campumarsu e Casanova, con la 600 multipla senza patente!

Anche perché al mattino presto non c’era nessuno a far controlli per le strade!

Poi anche con un furgone Alfa Romeo a consegnare biscotti e panfrutto lungo la riviera.

Nel 1960 fu assunto nel Manicomio di Prato Zanino come conduttore di caldaia e giardiniere.

Nel 1964 Giacomo sposò nella chiesa di S.Gottardo a Genova Enrica Schianchi.

Da quel giorno Giacomo abita a Cogoleto.

foto Archivio Storico Varagine

Nota dell’autore

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