L’Esurcismu de S.Nasò


Nel manoscritto di Della Cella è descritto il mandamento di Varazze nel 1820, questo possedimento, del regno Sabaudo, comprendeva anche le comunità di Stella, Cogoleto e Celle.

Era una sorta di questionario con cui i regnanti volevano conoscere i possedimenti, le risorse e i sudditi, pervenuti loro dall’ex Repubblica di Genova, dopo il periodo napoleonico e a seguito della trattato di Vienna.

Il popolo di questo mandamento, era descritto come “nullatenente ma di talento, con particolare attitudine all’agricoltura e al commercio, i popolani sono mediocremente sociali, hanno genio per la navigazione, non hanno abitudini particolari, sono tranquilli, rispettosi della religione e nell’attaccamento alla sacra persona di Sua Maestà”.

Ma qualche anno prima i fremiti rivoluzionari, al seguito di Napoleone nel 1800, fecero presa su questo popolo nullatenente di talento e trovarono il loro sfogo naturale, culminato con l’innalzamento dell’albero della libertà, in piazza Cambi ( ciassa du ballun) con grandi festeggiamenti e manifestazioni di ostilità contro il clero e i nobili

Ma poi tutto ritornò come era prima, con la restaurazione, i beni ecclesiastici sottratti da Napoleone, furono restituiti, la chiesa della Madonna della Croce di Castagnabuona, che era stata trasformata in ospedale da campo dal generale Massena, per i suoi uomini, fu nuovamente consacrata, con una grande cerimonia.

Gli ideali di libertà arrivati con il vento della Rivoluzione Francese si erano già sopiti qualche anno dopo, per un ritorno alla “gradita normalità” come descritto nel manoscritto di Della Cella.

Anche nel XVII secolo gli abitanti di Varazze, erano nelle stesse condizioni, nullatenenti, ma di talento, costruivano le più belle imbarcazioni d’Italia e “lavoravano da mane a sera a costruir navi su cui innalzar un ramo d’ulivo contro gli spiriti malvagi” ed erano rispettosi della religione e di chi aveva il potere. Ma se dai cantieri navali i demoni erano tenuti distanti, da questi uomini nullatenenti di talento, non così poteva essere per le loro umili abitazioni, dove stavano le donne a tirar su dei figli e a sgobbare per accudire la casa.

In una lapide murata nella sacrestia di S.Ambrogio è tramandata la memoria di un padre esorcista, che esercitò nel 1632 a Varazze.

Gli esorcisti dovevano essere idonei allo scopo, con licenza del Vescovo, che autorizzava il parroco, a seguito di gravi sospetti, spesso a seguito di delazioni e maldicenze, a richiedere un esorcismo, per una persona, quasi sempre una donna, posseduta dal demonio.

Nel 1620 il parroco di San Nazario, esorcizzò Maria Perietta, posseduta da ben dodicimila spiriti! La cronaca di questo esorcismo, fu tramandata con grande enfasi da uno scritto di Tito da Ottone, con tanto di solenne promessa, da parte degli spiriti malvagi, che mai più sarebbero entrati nel corpo della poveretta. Fu anche depositato un atto con cui si affermava l’avvenuto esorcismo, il 28 aprile del 1620, alla presenza di una decina di testimoni, prescelti tra le personalità più illustri della città, non si hanno notizie di quali furono le spese e i ricompensi ricevuti

Nulla anche della sorte della povera Maria, guarita dalla possessione malvagia, chissa’ quale sarà stata la sua vita, se si era maritata, diventando nonna di molti nipoti a cui perpetrare la paura del demonio, oppure avesse finito i suoi giorni in un convento “consunta di una malinconia che nessuno seppe mai conoscere”.

Le due datazioni non coincidono, l’esorcismo di Maria Perietta fu esercitato nel 1620, mentre la lapide di Sebastianus Beneventus padre esorcista reca l’anno 1632, ma del suo operato a Varazze presso la parrocchia di S. Ambrogio, reso noto da questa lapide, non si ha notizia ne’ di quanti e quali furono, gli esorcismi praticati, in quell’anno, nella comunità parrocchiale, la più grande di Varazze.

Dell’esorcismo di Maria Perietta esiste anche un’opera pittorica, conservata nell’ufficio parrocchiale di San Nazario, dove nella tela è rappresentato il parroco Don Sciora, mentre esorcizza la donna, raffigurata in basso a sinistra, in proporzioni minori, assistita da un uomo e una donna, mentre sta vomitando dei diavoletti neri.

tratto da “Varagine” di Tino Delfino

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