
A guerra finita, le industrie di Varazze erano in ginocchio, mancava ogni cosa.
La gente doveva arrangiarsi, per mettere qualcosa in tavola e tirar su dei figli.
Un’attività illecita, come era la pesca con le bombe, diede comunque sostegno a qualche famiglia.

“Un fischiu da Madunetta e poi quandu u treno u l’arrive in Ciassa Grande, deve fischio’ sempre fintantu che u cunta fin a desce.” “Se u vedde di caramba, alua deve fischio’ sempre prima de tutte e gallerie! Da quella de Santa Cateina in avanti!”
I nomi propri sono riferiti alle gallerie della linea ferroviaria dopo la Mola, verso Cogoleto, chi doveva capire era il macchinista, un nostro concittadino, alla guida del locomotore, che trainava il convoglio ferroviario, in direzione di Genova.
Doveva far fischiare il treno, prima della galleria della Madonetta, per avvisare che era tutto sotto controllo e poi, appena passata la galleria dei Pescatori, iniziare con il fischio e continuare per dieci secondi.
Ma se il macchinista vedeva qualcosa di sospetto, dei carabinieri o dei finanzieri, allora doveva suonare, ad ogni ingresso di galleria a partire da quella di S.Caterina.
Ma perché queste raccomandazioni ad un ferroviere?
E perché poi far fischiare il treno, per un tempo interminabile,in Ciassa Grande ?

Forse perché dopo quella grande spiaggia c’ è il tunnel più lungo, la galleria Invrea?
Risolve l’enigma un documento, emesso dalla prefettura di Savona il 28 maggio del 1945
Era così intitolato
– Pesca con esplosivi prefettura di Savona numero 7955 Savona 28 maggio 1945
Oggetto pesca con esplosivi ai sindaci di: Savona Varazze Albissola mare Vado Ligure Bergeggi Spotorno Finale Ligure Borgio Verezzi Pietra Ligure Ceriale Loano Albenga Alassio
Viene segnalato a questa prefettura che in parecchie località della zona rivierasca viene praticata la pesca con esplosivi.Tale sistema di pesca, che è assolutamente proibita dalla attuale legislazione sulla pesca, oltre a costituire un reato rappresenta un danno rilevante all’ambiente marino-
Ci furono appelli a consegnare armi ed esplosivi, che risultavano essere in possesso dei cittadini, trafugati dopo la precipitosa fuga dei nazifascisti dalla nostra città
O con la razzia di caserme alloggi e bunker.
Qualche arma fu consegnata per paura delle denunce.
Ma l’esplosivo prese un’altra via.
E così fu anche per alcune armi da fuoco pesanti,mai più consegnate e di cui se ne sono perse le tracce.
Le bombe a uso pesca di frodo, erano di due tipi, quella più semplice costruita con la “saponetta” di tritolo, che si poteva tagliare in lunghezza, a seconda del ciocco che si voleva fare.
Se scaldata a bagnomaria, diventava una sostanza malleabile e poteva essere modellata e inserita in un contenitore, serviva poi ovviamente, un detonatore, innescato da una miccia corta.
La preparazione dell’altra bomba, era un po’ più complessa occorreva un barattolo, tipo quella da conserva o della carne in scatola.
Si riempiva di esplosivo, quello recuperato svuotando i proiettili del loro contenuto, poi si praticava un foro sul coperchio.
Detonatore e miccia erano inseriti all’interno, tramite questa apertura, si sigillava il tutto, con lo stucco da vetri e l’ordigno era pronto.
La zona prescelta, era quasi sempre il tratto di mare, di fronte all’attuale Lungomare Europa.

Il posto migliore era presso la punta d’Invrea, nascosta alla vista della soprastante via Aurelia e inarrivabile da terra.
Era necessaria un’operazione preliminare, si doveva attrarre il pesciume, Brumessandu, pasturando anche per ore, con avanzi di cibo e pane, attirando così i pesci in una determinata zona in prossimità degli scogli.
Per controllare la presenza di pesce sotto il pelo dell’acqua, si adoperava u Spegiu, una latta il cui fondo era stato sostituito da un vetro trasparente.

Sono molte le zone pescose nel tratto di costa che va da Punta Bella, alla Villa Araba, tutte da ritrovare in mezzo al mare facendo collimare due punti fissi sulla terraferma, le cosidette mire.
Alcune di queste sono denominate Bedin, Beneitu, il Forziere, u Bancu, a Ciapassa, a Secca d’Invrea e u Vapure.
Di solito, si lanciavano le bombe, dagli scogli, magari aumentando la capacità dirompente dell’esplosivo, in modo da ottenere un maggior effetto sulla fauna ittica.
Quest’attività illegale era molto redditizia, si portava via, quasi sempre, un bel bottino, con qualche rischio, ma senza fatica e molto rapidamente.
Era una vera e propria ecatombe, i pesci morivano all’istante a seguito dello spostamento d’acqua provocato dall’esplosione sottomarina.
Dopo l’espolosione, venivano a galla centinaia di pesci morti e potevano essere raccolti a mano.
Da subito ci si dedicava a quelli che, storditi dall’effetto bomba e con la vescica natatoria dilatata, venivano in superfice e potevano essere recuperati con un retino.
Quelli di grossa taglia che tentavano di scappare erano inseguiti anche sott’acqua e presi con la fiocina.
“Cun a cicca in bucca aseisa e a bumba in man, aspettavu u primu fischiu e quandu vedeimu spunto’ u trenu da Madunetta asendeivu a miccia, cun a cicca e lanciovu a bumba in ma”
Le micce per esplosivo, hanno la capacità, visto la loro composizione chimica, composta da combustibile e comburente, di continuare la combustione anche sott’acqua, per cui se il lancio era ben fatto si udiva solo un sordo boato, con una colonna d’acqua fuoriuscire dal mare.
Le cose erano ben diverse, se l’esplosione avveniva a pelo d’acqua.
Il boato era udito da tutti e c’era il pericolo che arrivassero le forze dell’ordine, allora c’era un fuggi dagli scogli.
Ma se i pescou da miccia erano con una barca allora si mettevano di buona lena ai remi per scappare con la paura di essere arrestati!
La zona alla foce del Portigliolo, era uno dei luoghi predisposti per portare a riva il pescato.
Già covo di pirati e contrabbandieri.
Qui il frutto del reato, era rapidamente sbarcato e trasportato in città, magari venduto sottobanco molto spesso in bella mostra nelle pescherie.
Na cascetta de anciue, era regalata al macchinista del treno e naturalmente per chiudere occhi e orecchie anche a qualche autorità locale.
Anche i ragazzi di Cogoleto partecipavano a questa attività.
In bici andavano di vedetta sullo stradone a Puntabella e avvisavano i pescatori di frodo, della presenza delle forze dell’ordine, con un drappo bianco fissato ad un ramo.

Alla visione di quel segnale allora i dinamitardi tornavano indietro e remavano fino alla spiaggia dell’Ersciu, inarrivabile via terra.
Tiravano in secco u guzzu e a turno “se arrampigniavan su pe u scoggiu”, per vedere se ancor c’era pericolo e quel drappo bianco appeso.
In alternativa si poteva abbandonare il pescato su la spiaggia dell’Ersciu o in quello del Lagu delle Donne, aspettando magari le ore notturne per il recupero.
C’era un varco ora murato, dove si poteva accedere all’interno della galleria del treno, ancora visibile ma oggi interdetto al passaggio, a metà circa della galleria Invrea.
Neanche il mare mosso fermava questa attività e alcune bombe furono tirate anche dalle spiagge, aspettando che il moto ondoso riportasse le carcasse dei pesci a riva.
Ma non tutto andava sempre a buon fine, per cento volte si riusciva a farla franca e poi l’incompetenza o la troppa confidenza con l’esplosivo, fu causa di diversi incidenti.
Ci fu chi perse la vista e l’uso delle mani a seguito di un’esplosione accidentale di quelle bombe artigianali.
Per facilitare la pesca in acque dolci, si usava avvelenare le pozze d’acqua con la calce e aspettare che i pesci arrivassero boccheggianti a galla.
Ma questo non bastava allora per acchiappare le anguille, si usava la corrente elettrica, allacciandosi direttamente alle linee aeree.
Questa fu la causa della morte, per elettrocuzione di un nostro concittadino, nei pressi del rio Rianello
Allego a questo articolo alcuni commenti ricevuti.
Renato Righetti.
Una parte del racconto la condivido, dico piu’ ho meno 50× 100 per quanto mi ricordo di persona.Allora eravamo circa 5 o 6 e andavamo a pescare con il trittolo,devo ammettere che Io personalmente ci sono stato solo un paio di volte,ma due dei miei fratelli ci andavano spesso.Come gia’ detto erano unna cumbriga,posso anche fare il loro nome( u Ciffuleru’,l’Ursu’ u Peiqua’ e mio fratello maggiore,Bruno).L’ursu’u steivain scia posta a fare la quarda che non arrivasse la Finanza o i Carabinieri,u Cifuleru’ e u Pequa se cacceivan i ma a coggie i pesci che vegnivan a galla e a tuffarsi per quelli che rimanevano al fondo.Dimio fratello maggiore era quello che tirava le ‘saponette,
Non c’e mai stato un accordo con il machinista del treno,o una barca di assistenza in mare.
Con questo non voglio dire che il raconto non sia vero pero’,per tutto il tempo che il nostro gruppo a pescato non ho mai visto una barca in mare e nemmeno un accordo col machinista.
Se qualcualtro a vissuto quel periodo a Suo modo Mi fa’ piacere sentire,leggere,la Loro versione. Ciao a tutti.
Cristina Venturino
Mia madre mi ha sempre raccontato un episodio terribile avvenuto tra Cogoleto e Arenzano. Alcuni ragazzi alla fine della guerra, per miseria nera, andavano a pescare con le “saponette”. Purtroppo il più piccolo dei fratelli si infortunò gravemente ad una mano. Gli altri, con un sangue freddo pazzesco, lo portarono nella Pineta di Arenzano, fecero scoppiare una saponetta nel bosco e poi chiamarono i carabinieri dicendo che si era trattato di un episodio accidentale. Lo sapevano praticamente tutti , ma nessuno fece la spia e quel povero ragazzo riuscì a prendere la pensione di guerra.
Gian Luigi Calzolaro
Ricordo da ragazzo un pescatore, u Tenente, che aveva il moncherino e tutti dicevano che era stata una bomba da pesca, mentre lui asseriva che era stato un barracuda…
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foto Archivio Storico Varagine
