Quella Tenda a Pria Lunga

Bianchina classe 1931

Io avevo sei, sette anni e di cose ne ho viste tante

Quelli delle Faje, che erano a tagliar erba, la sera ritornavano a casa

Noi salivamo a luglio e restavamo in montagna fino a settembre.

Da sei anni fino a nove anni

Gli uomini a tagliare il fieno, c’era pulito da non credere tutta la gente delle Faje era in queste zone.

In una cascina ci dormivano in venticinque

Da mangiare si faceva la minestra, avevamo la vacca e facevamo il burro

Eravamo noi tre, io mia sorella e mio nonno u Lasain

oltre a far da mangiare, aiutavamo a tagliar l’erba con u Messuin, che lo conservo ancora.

Il bosco che avevamo, era grande e veniva anche altra gente per conto proprio, era mio padre che gli diceva “Vegni che tantu mi nu seigu tuttu”

Eravamo nella tenda, che aveva un bello strato di fieno.

Portavamo un sacco di cipolle, per le vipere le mettevamo intorno alla tenda tagliate, perché dicevano che tenevano lontano le vipere, per fortuna lì vicino alla tenda non sono mai arrivate

Dicevano che le teneva lontane e non andavano sotto alla tenda, sotto a quello strato di fieno

Mi ricordo mia sorella, aveva una zucca regina lunga, in spalla lungo la Russua, il sacco di pane, il riso, la pasta.

A mio nonno quando si faceva da mangiare, si chiedeva “Puè a l’è bunna?” all’indomani “Puè ancò cumme a l’è?” “Ancò a l’è ancun ciù bunna! Ma cosa gh’ei missu?”

Ai genitori si diceva papà e mamma ai nonni puè e muè….

Questo brano fa parte dei “I Ricordi di Bianchina” la storia della sua vita,

che saranno pubblicati, nei prossimi giorni su questa pagina Facebook.

Bianchina, con la sorella Luigina e u Lasain, il nonno, durante il periodo della fienagione, salivano a Pria Lunga, oltrepassato il fiume, in una radura montavano la tenda per ripararsi di notte e dalle intemperie.

Ho chiesto all’amico Saturnin, Giovanni Cerruti, se poteva accompagnarmi alla ricerca dei resti di quel riparo.

Bianchina è stata molto precisa, nella descrizione di come fare per trovare il posto.

-Passei sutta a Rocca da Piggugiusa e arrivei da Pria Lunga, straculei u rian e li dedotu u gh’ea a nostra tenda, sun veramente cuntenta se u ghe resto’ ancun quarcosa-

Saturnin è convalescente da un’operazione alla mano e allora la mattina del 22 giugno, mi metto alla guida du so Susuchi.

Abbiamo abbondanza di provviste, casomai avanza del tempo e si vuol, andare nella cascina del Binetto a far pranzo.

Arriviamo all’ex stalla da Russua dove lasciamo l’auto.

E’ una bellissima giornata, che ci regala stupendi panorami della nostra bella Liguria

Anche sciami di tafani che ci faranno compagnia, lungo tutto questo percorso.

Seguiamo le istruzioni di Bianchina, passiamo sotto a Rocca da Piguggiusa e al termine della discesa alla nostra sinistra ecco l’imponente Pria Lunga, il toponimo di questa zona.

La sorgente che sgorga sotto a questo enorme macigno è captata dall’Acquedotto e fornisce un grande contributo alla rete idrica della nostra città

Oltrepassato il Rian, siamo al cospetto di una ex, grande zona prativa

Oggi faggi e noccioli hanno colonizzato questa radura.

Ecco il masso! E’ come lo ha descritto Bianchina!

Il muretto è in parte diruto ma all’interno c’è ancora quella panca di pietra.

Non era una tenda vera e propria.

Probabilmente era messo solo un telo impermeabile, teso a far da riparo.

Sul masso ci sono ancora le pietre, fissate con la calce per drenare l’acqua piovana, verso l’esterno di quel riparo.

Bianchina aveva parlato anche di una pietra squadrata usata come tavola.

Poco distante, troviamo anche la pietra/tavola e decidiamo di mangiare lì sopra quel cubo di roccia, focaccia con cipolle e senza.

Chissà quanto tempo è passato da l’ultima volta che degli esseri umani, erano qua, come noi, a dividersi del cibo.

Visito ancora il riparo, in un angolo trovo una bottiglia di vetro.

Il muretto in parte diruto, dove mettevano le cipolle per allontanare le vipere.

L’ambiente era appena sufficiente per contenere due bambine e una persona adulta.

Fu questo masso che devio’ l’ondata di piena del Rian, in quella drammatica notte nell’estate del 1939.

E vero che, nei luoghi dove hanno vissuto degli esseri umani, resta sempre qualcosa, un’amore che non c’è più, sensazioni o chissà cos’altro.

Questo è quelllo che noi dobbiamo cercare.

Ma non sempre si riesce a immaginare e tantomeno capire, chi erano quelle persone e perché hanno lasciato nitide, testimonianze, ma oscure motivazioni.

Bianchina con il suo racconto, invece ha dato luce a questo luogo.

Oggi noi arrivando al cospetto di questi, pur miseri manufatti, non dobbiamo aver il solito dilemma:

– A cosa serviva quel muretto? Perché su quel masso ci sono quelle pietre, tenute assieme con la calce? E quelle pietra piatta perché si trova lì?-

Grazie ai Ricordi di Bianchina, quel luogo ci racconta una storia del nostro entroterra, di povera gente e di tanto lavoro, che sarebbe andata persa, come purtroppo tante altre oggi nell’oblio.

Ho inviato le foto a Clara, sulla via del ritorno arriva un sms, sua mamma ha visto le immagini, si è commossa, conferma, che quello è il posto dove mettevano la tenda e ci ringrazia di cuore!

Io invece devo ringraziare Saturnin, della sua sempre gradita disponibilità e ancora grazie alla sua pregevole ricerca, raccolta nel suo libro “Le Cascine del Beigua” dobbiamo a lui anche questo racconto e la Storia di Bianchina, che pubblicherò nei prossimi giorni.

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