
Memorie di Bianchina Patrone
Il beo de Faje prendeva l’acqua dau Rian da Sera, io che mi
ricordo bene, quando sei in Cianarpe, il primo è il Rian du Canain poi u Rian de Pasciun e il Rian da Sera, il quarto è il Rian da Pria Lunga il quinto u l’è u Mainotte, quello che passa dal Deserto
Il Rian da Sera arrivava a solco vivo alle Faje, quello che so e che senz’altro arrivava all’Invrea e in te Peschee du Turiggia.
L’acqua passava sopra il Muraglione dal bivio che va al Deserto, c’era un canale in legno appoggiato sopra due blocchi di cemento, era un canale di castagna e dicevano che ne passava tanta di acqua
Anche se io mi ricordo che era già asciutto
E’ stato u Schenin con il camion, che era carico di fieno a rompere questo canale
Da questo punto, c’era una persona anziana, di cui non ricordo il nome o che non mi fu mai detto, lui era addetto alla deviazione dell’acqua.
Dopo i Cumbotti, c’era una biforcazione che mandava l’acqua per tre giorni ai Piani d’Invrea, poi chiudeva una paratia e altri tre giorni arrivava a Leicanà e nel Rian del Beato Jacopo e andava nelle Peschee du Turiggia e passava da Ca de Toe.
Il solco è ancora visibile oggi, passa dalla tomba di Negri

I Troggi d’Arsoccu ci sono tre dighe, una è piena di terra già vent’anni fa.
Mi ricordo che c’era un pesco selvatico che era una bontà e andavamo a mangiarle.
Il Troggiu lo fece fare mia mamma, con tutte le donne della Costa
La prima diga è alta un metro e mezzo e prendevano l’acqua che andava au Carmettu
Mia mamma, da giovane andava a lavare nel Troggiu ci sono andata anch’io a lavar nell’Arzocco.
Acqua non ce n’era, neanche in casa
Gli uomini che facevano la diga, che ha più di cento anni, portandoci un po’ di vino e un po’ di tabacco, fecero quellu Peschein e cun un Surchettu gh’han fetu arrivò l’Egua da Ciusa.
Quando era piena andava nella vaschetta
Poi c’è un’altra diga di sotto, quasi invisibile, rimane sotto a Ca du Rian in tu Lagu du Rattu, dove d’estate si andava a fare il bagno.
Ora non è più possibile arrivarci.
Mi ricordo che quellu Peschein lo tenevamo sempre in ordine e pulito che brillava.
U Briccu di Danè u l’è suvia e Sevisse in tu Briccu da Guaria E Fosse du Diau sun prima du Cian de Gure Cian de Gure era una bellissima zona con grandi Pin da Barche e da bruscià.
Mi ricordo che una sera, era venuto notte, ed eravamo ancora dalla Guardia dove un tempo dicevano che ci si sente.
Baciccia di Brasci, diceva che una volta era lassù, per pigne alla Guardia, dove c’erano dei pini enormi anche Pin da Barche.
Ad un certo punto sentì suonare un campanello, ma la chiesa era chiusa.
Mentre suo fratello raccoglieva le pigne e lui era sopra un albero disse “Sentu u campanin du santu!”
Suo fratello scappò dalla paura, ma Baciccia scese dall’albero e andò in chiesa, ma non c’era nessuno.

Un altro posto dove dicevano che ci si sente era dai Trei Nicci
I Grasien, Luigina e u Dria, in ti Lapassò
Furono prelevati e portati in un ricovero per anziani
Mettevano a bagno gli indumenti a fine inverno.
Bruciavano rami verde di pino, con un fumo nero che si vedeva da lontano.
C’era l’Uga Merella. si sentiva il profumo dalla Postetta.
La Luigina era una donna all’antica.
Metteva tutti gli indumenti nel Rian, senza lavarli, poi verso settembre ottobre diceva “Dria a roba da mette a l’è ancun in tu lagu!”
Allora la prendevano e la mettevano ad asciugare sopra una corda.
Quei vecchietti, lì da soli isolati da tutto, di notte con solo una lanterna.
Avevano capre e pecore
Il vigile Cappello, che gli fece visita, senza pietà gli portò via un gallo e un agnelletto
Invece che portar loro qualcosa, come faceva mia mamma.
Ma anche noi a quei tempi non avevamo più di tanto
Mattau, e gli altri due vigili, erano bravi.
Mio papa’ era macellaio prima a Utri, poi Taggiacarne de Bordu.
Alle Faje i Spagnolli, avevano le vacche come tutti.
A Casanova c’erano 500 mucche, all’Alpicella e le Faje molte di più
C’erano almeno 4 o cinque vacche per famiglia
U Crou ne aveva cinque o sei
Mio papà fu chiamato dai Spagnolli perché andasse a ammazzare una mucca
Ma durante la guerra, non si poteva macellare di nascosto
Uno gli fece la spia, con un disegno particolareggiato della casa, con il terrazzo e anche le figure umane.
Mio papà era bravo, in dieci minuti macellava una mucca.
A causa della spia, arrivò Cappellu, prese i due Spagnolli, i padroni della mucca e anche mio padre.
Cappellu arrivò una sera in Casanova, prese mio padre, era qualche giorno prima di Natale.
Li portarono in prigione a San Nazario
Rimasero in prigione per 26 giorni.
Il guardiano della prigione era un uomo tanto bravo
Ai Spagnolli le loro moglie e figli portavano delle tazze de tagliatelle e sotto c’erano le fettine di carne
Arrivò altra gente in quella prigione
“ E tu che cosa hai fatto”
“ Mi hanno fermato con un Cavagnin de Ove”

Ero presente, quando fecero un rastrellamento al Deserto, il giorno di San Giuseppe, nel 1943.
Io avevo portato con me il mio vicino di casa, un bambino che non aveva neanche tre anni, si chiamava Dino.
Eravamo tutte ragazze della mia età.
C’era u Giometta che abitava ai Cien de Sciarburasca, suonava l’armonica, era lì per la festa
Varcato il muro del Deserto c’è na Peschea, dove non c’è mai stata dell’acqua.
Giometta si mette a suonare da quella Peschea.
Gioventù quel giorno a San Giuseppe, ce n’era tanta e tutti sono andati lì a sentire suonare.
Improvvisamente, ci fu un rastrellamento, gli uomini nella Peschea e le donne nella strada con i bambini.
Io sono rimasta lì, con questo piccolino in braccio, insieme alle altre ragazze
Avevano preso durante quel rastrellamento, due persone u Remu du Desertu e l’altra persona, non ricordo chi era
Erano probabilmente renitenti di leva
Nel frattempo che eravamo lì alla festa di S.Giuseppe,
dalla Russua, dove c’erano i partigiani, sbucò fuori una grande formazione.
I fascisti li hanno visti, con i binocoli e si misero a sparare nella loro direzione
Impossibile colpirli, perché erano troppo distanti
I partigiani non risposero al fuoco, per non rischiare di colpire le persone civili trattenute in ostaggio nella Peschea.
A Dino quel ragazzino poveretto, che era con me, gli domandarono “cosa ti hanno detto i soldati? “ e lui rispodeva “Documenti e ia!”
Nelle cascine si rifugiavano i partigiani

Era un territorio grande, quello che noi falciavamo, era di quello della fabbrica da Giacca de Cugou
Mentre eravamo lassù, a Pria Lunga, arrivarono i partigiani
Noi avevamo cinque pani di casa e la pasta.
Avevamo tutto praticamente, patate, cipolle e il fiasco dell’olio, in un cespuglio di nocciole, ci hanno preso solo due Reste de Pan.
Mio nonno disse: “Che bravi che ne hanno preso solo due e ne hanno lasciato altri tre per noi”
“Puè hanno visto che siamo in tre”
Puè e Muè erano i nonni
Ai genitori si diceva papà e mamma ai nonni puè e muè
Avere avuto come oggi dei secchi di plastica, invece avevamo i Buggiò de Singu, per mungere la mucca
A Nevea a l’ea in sa Russua, non era più in funzione.
Ho saputo che c’era caduto un toro, che lo hanno ammazzato dentro la Nevea, perché come i cavalli, se si rompono una zampa non guariscono più.
Mi è rimasta la paura dell’acqua
Era prima della guerra nel 39 mi sembra, la giornata era bella, verso sera lampi e tuoni.
Tutta la notte è stato giorno!
Mio nonno ha tolto tutta la roba di ferro, intorno alla tenda per i lampi, perche’ discian che tian i furmini
Io e mia sorella, l’abbiamo aiutato, eravamo tutte bagnate.
Una notte da inferno, sotto la tenda si può immaginare “emu a smoggiu” completamente.
Non aveva ancora fatto giorno che vediamo arrivare Beppe u Papin, il papà di Piero quello che era nell’Acquedotto.
“U l’arrive Beppe!”
Io, quando ho visto arrivare Beppe “U l’è cumme u fusse arrivò u Segnù”
Il Rian da Prialunga, duvve han piggiò a prima equa dell’Acquedottu, non si poteva oltrepassare, perché l’acqua arrivava sul prato, dove era la tenda.
Una cosa spaventosa.
Beppe abitava in ti Previ, dopo u Muagiun.
Quella sera disse alla moglie “Bati sta tranquilla, che u Lasain cun quelle due figette u l’è sa mortu”
“Non è più vivo è impossibile!”
E arrivato lassù meschin!
Siamo andati in basso, perché oltre non si poteva passare e siamo scesi fino alla Funda.
Lì abbiamo incontrato mia mamma, che stava arrivando.
Ma dove è uno oggi, che parte con quel temporale, che viene fin lassù?
Vorrei vedere se c’è un uomo che parte e che viene fin lassù!
In tu Vascè, dove è morto quel giovane con la ruspa, anche lì c’era gente che seigavan.
L’acqua gli ha portato via il fieno nella stalla, che era già legato.
Quel ruscello soffiava, non mi scorderò mai più quel soffio!
Tempi di Guerra
A Casanova avevano “purtò via dui binelli”
I fratelli Piombo e Accinelli, che poi erano due fratelli, li hanno presi tutti a casa
Gli ha fatto la spia una donna con i capelli rossi, ma non era di Casanova era una sfollata che abitava sulla Costa.
Gli Accinelli abitavano in te Liè, lungo la strada che porta nell’Arzocco, ma la casa ormai è crollata
Mia mamma mi diceva, che anche se li avevamo visti dovevano dire sempre di no
“Mi raccomando non avete visto nessuno!”
Loro invece si facevano vedere, li vedevamo nelle fasce
Altri erano nascosti in una cisterna.
I Ratto il papà di Santina, erano anche loro due fratelli nascosti
Hanno asciugato la cisterna, passavano dalla greppia della mucca e andavano nella cisterna
Noi eravamo vicini di casa e loro non si facevano vedere.
Eravamo piccole avevamo dodici anni
Un giorno eravamo alla Ramognigna pe Sanguin con mia cugina Caterina.
Sono arrivati quattro soldati vestiti in borghese.
Uno di loro si teneva su i pantaloni l’altro “u gh’eiva na michetta de pan sutta l’ascella” “eivan scentò i vestii da surdattu” e in Villa Dedotu gli avevano dato dei vestiti.
Eravamo proprio lì, dove ora c’è la rumenta, ci hanno chiamato
“Ragazze se vedete dei tedeschi non dite che ci avete visto”
“No no!”
Eravamo già “ instradè da me muè”
“State tranquilli, state tranquilli!”
Non passa neanche un’ora, noi cercavamo i Sanguin avevamo già la cavagnetta quasi piena, era il mese di novembre.
Arriva un tedesco con l’interprete, strada non ce n’erano, solo un sentiero
L’interprete viene verso di noi e il tedesco restò sul sentiero
L’interprete disse “Avete visto dei soldati passare, dei ragazzi?”
“No no nessuno, niente, non è passato nessuno di qui”
“Quant’è che siete qui?”
“E’ tanto si, guardi quanti funghi che abbiamo”
“Ma li avete visti allora ?” “No no!”
Allora l’interprete riferì al tedesco che non avevamo visto niente.
Ma il tedesco insisteva e noi nuovamente a ripetere
“No no no non li abbiamo visti !”
A questo punto il tedesco scende verso di noi, aveva il nastro di cartucce a tracolla, prende il moschetto lo carica e viene verso di noi.
Rivolto all’interprete, gli ordina di ripetere la domanda
“No no no! Nessuno è passato nessuno, non abbiamo visto nessuno, niente, niente!”
Allora ci hanno lasciato andare.
Mi è venuta la febbre dalla paura credevo di morire
Avevo dodici anni.
Raccontando questo fatto, c’è chi mi disse “Io glielo avrei detto”
Quando il tedesco stava scendendo, verso di noi, ho guardato Caterina, come dire è la fine, ma non fa nulla.
Mia mamma ci diceva sempre, guai a dire qualcosa voi dite sempre che non avete
Capitava che mettevano in prigione i genitori, di chi sapevano che era nascosto
Pasquà e a Luigia, i genitori di quelli che erano nascosti nella cisterna, si litigarono per chi di loro doveva andare in prigione.
L’uomo voleva che fosse la donna, ad andare in prigione.
Luigia rispondeva “Chi gli fa da mangiare ai nostri figli? Vanighe ti in galea!”
Allora mia mamma e le vicine gente anziane dissero
“Pasquà le mucche sono abituate ad essere munte dalla Luigia, come fate voi, non potete mungere perché non ve lo danno il latte”
“E alua l’han missu in caresà” che e andato lui in prigione.
Gli hanno messo un po’ di roba in un sacco e mi sembra di vederlo salire quella scala
A Varazze, se si parlava male del fascismo davano l’olio di ricino.
La Farmacia Gallo preparava le dosi.
Ci fu la richiesta di mezzo litro di olio di ricino e quel sant’uomo di Gallo disse:
“Ma non è un po’ troppo per uno solo?”
“A si? Mezzo per ognuno!” e al farmacista tocco bere l’olio di ricino.

Non avevamo neanche i soldi per mangiare, ma dovevamo andare in divisa, ai sabati fascisti, gonna blu a pieghe, camicia bianca con la cravatta, ero una piccola italiana.
Nella scuola avevamo il fascio di bronzo
Il 21 di aprile i fascisti a Casanova facevano una festa in ta Sciandra, due balli, uno all’aperto e l’altro da Garbarin.
L’Erbu da Cuccagna, che non ne avevo mai visto
Gli uomini tutti con quel berretto con il fiocco
E poi volevano l’oro.
Mia sorella diceva che la maestra voleva l’oro.
Dicevano che a Varazze, finita la guerra ne hanno trovato due sacchi, in un palazzo difronte alla
Farmacia Gallo
Quandu batteivan u gran, veniva una guardia a pesarlo.
Era una brava persona, vestito di bianco.
Pesava quello per la semenza e lo lasciava a noi, poi quello per nostro uso.
Visto che gli davano da mangiare nelle case dove “batteivan u gran” di solito si raggruppavano quattro o cinque famiglie
E allora mentre la guardia mangiava, qualche mezzo sacco di quello messo da parte per essere consegnato all’autorità o “fovan satà”
Ma era mai possibile ai poveri, ai vecchi con fatica e stenti arrivava anche chi doveva prendere una parte del loro grano?
Andavamo a prendere “l’egua saia in ma” per fare il sale, che non ce n’era.
Ma neanche chi aveva dei soldi riusciva a trovar di sale
Avevamo “na saea” salivamo su dalla via Bianca, con la damigiana di acqua di mare in spalla li ho contati sono 376 scalini!
A volte suonava l’allarme, dovevamo lasciar lì la damigiana e scappare nel rifugio.
In via don Minzoni all’interno c’era anche un’Altare, aveva un entrata e un’uscita.

Sono stata anche nel rifugio dove poi c’era il garage Impero, era enorme
Poi hanno minato tutta la spiaggia, prima si poteva andare in mare a prendere l’acqua
Allora il comune sulla via Aurelia, aveva messo delle botti con i rubinetti e pompava l’acqua dentro
Ma quando arrivavano quelli dell’Alpicella, S.Martino Sassello e delle Faje, per prendere l’acqua, dovevamo starci delle ore perché avevano tanti recipienti e quelle damigiane sui carri da riempire.
A volte c’era qualcheduno che diceva “Vegni piccina impite sta damisciana”
Si faceva un pugno di sale era una spece di crema bianca
Ma per fare il sale, bisognava andare a tagliar la legna
Andavamo a vendere le pigne in tempo di guerra dove era il Gran Colombo, che oggi hanno fatto degli appartamenti
Li c’erano gli americani che erano tutti neri
Ci vedevano noi ragazzine, eravamo sette o otto con il sacco in spalla, altre avevano un fascio di legna.
C’era anche chi voleva la Scorza de Pin, come Mariolina che le faceva compagnia perché “A Scuttisava”
I soldati neri, non mi dimentico, ancora adesso recito un requiem in eterno, perché oramai sono tutti morti
Quando attraversavamo il ponte, ci davano le Cincingomme e cioccolata, gli facevamo pena
E Peque in Arsoccu
Andavamo a lavare in Arzocco con e Cunche de Singu con quell’orlo che tagliava le spalle e d’inverno in Arzocco nel Peschein dove si lavavano i panni.
A volte veniva Ginin, ad aprire l’acqua e allora gli si chiedeva di aspettare dieci minuti, che si doveva risciacquare il bucato “Ma io devo dare da bere ci rispondeva”.
Avevamo anche le pecore sai che cosa facevamo?
Prima di tosarle si lavavano, le portavamo nella diga le buttavamo nell’acqua loro nuotavano.
“Ti vedesci cumme noan!”
“Io non sono capace a nuotare perche ho paura dell’acqua, ma le pecore si”
Poi uscivano, allora le insaponavamo “cun u Savun che u sguarava a roba” lo facevamo noi con la soda caustica e ossa, era messo in cassette di legno, strette e lunghe.
La soda caustica faceva sciogliere le ossa, era chiamato “u savun che u sguare a roba” perché restava duro, pieno di punte.
Insaponavamo le pecore e poi le buttavamo nuovamente in acqua, si lavavano nella prima diga.
“Quante cose otru che rumansu!”

Porta un pò te mue a prossima otta!
Mi dice Bianchina.
Io bambina in mezzo a quei faggi, quando veniva notte dicevo a mio nonno “Puè cunta un po’ e ue quantu u gh’è vo a vegni duman?”
E lui contava “Desce, unse, duse”
Non mi raccontavano favole, mio nonno mi faceva pregare.
Io non andavo ancora a scuola e sapevo già il Miserere e ora non lo so più
Se inizia qualcheduno, allora riesco a recitarlo altrimenti niente
Alla sera dopo mangiato, ci prendeva in braccio tutte e due.

Seduti sopra una pietra, c’erano delle pietre larghe avevamo a pria du mangiò a pria da setò ean tutte prie.
E si pregava in mezzo a quel bosco, poi si andava a letto nella tenda, aveva tanta pazienza mio nonno
“Attensiun a e vipere dunin!”
Ci chiamava ogni momento, ci teneva sempre sotto controllo
A mezzogiorno con mia sorella Luigina, oggi 95 anni andavamo a giocare nel Rian e ci chiamava perché aveva tanta paura, perché quando c’è tanta acqua dicono che ci sono tante vipere
“Te le mai vistu u masciu da vipera?
L’aspesurdu?
Ti vedessi che grossu che u l’è”
Non c’era nessun rimedio, per il morso da vipera solo il coltello, da tagliare per far uscire il sangue io non so se si usavano delle iniezioni
Tutte quelli persone che erano lassù in montagna e nessuno aveva niente contro il veleno da vipera

Quando è andato a finire il toro nella neviera uno dei pastori fu morso da una vipera nel braccio e morì
Lo avevo visto era diventato irriconoscibile.
Dai Piluin che sono due pietre enormi, c’è una tana che in caso di pioggia, ci possono stare cinque o sei persone, ma non si poteva andare perché faceva paura che dicevano che c’erano le vipere
Eravamo lì con mia sorella che mangiavamo le more.
Lì vicino “u gh’ea un sgugiò con grandi pietre” e lì c’erano delle belle more, grosse eravamo lì che mangiavamo le more, mio papa che era dietro mi disse
“Ferme ferme figette!” io e mia sorella due statue
C’era una vipera che saliva lungo la pietra, mio papà l’ha uccisa e poi tagliata e dal taglio sono usciti sette viperini che scappavano via veloci
Quella volta ci è andata bene perché mangiavamo le more e non avevamo riflettuto che potevano esserci delle vipere
Se tornassi indietro ogni giorno scriverei una riga su un quaderno
Penso a tutto il mangiare che abbiamo oggi.
Noi andavamo su in montagna, avevamo un pò di pasta il formaggino Tigre, lardo a gogò, Pansetta cun a Fia, Pan de Ca.
Il fiasco dell’olio che lo vedo ancora ora in mezzo alle nocciole “misso lì in te na pria in te nisoe”
Facevamo la pastasciutta
Si stava tre mesi sul Beigua, ogni sabato si scendeva a casa, gli attrezzi erano nascosti, in un cespuglio, ma nessuno ha mai rubato niente
In Prialunga il primo ad essere tagliato era il prato in modo che il fieno era messo sotto la tenda.
Nella tenda ci stavamo in tre, comodissimi e con tutta la roba all’interno, patate e cipolle si lasciavano fuori non c’erano cinghiali o altri animali.
Pane, pasta, riso, zucchero ed altro, tutto appeso in tenda.

La tenda era messa sopra una pietra e quando posero il tubo dell’acquedotto, mio padre si fece dare un po’ di cemento, per fare il solco e tenere lontano l’acqua dalla tenda.

La pietra sembrava fatta apposta, era una meraviglia e tutto intorno alla tenda, c’era un muretto di pietre alte un metro
E lì vicino, c’erano le pietre, dove potevamo sederci per mangiare e una pietra dove si condiva la pasta
I piatti andavamo a lavarli nel Rian e tra la tenda e il muretto c’era uno spazio, che riempivamo con le cipolle tagliate perchè dicevano che tenevano lontane le vipere.
Dicevano così perché la cipolla è un po’ forte e per quello o per fortuna di vipere sotto la tenda non ne sono mai venute
Vipere a quei tempi ce ne erano tante perché c’era tanta acqua
In quella zona c’era l’impresa Perata, per l’acquedotto, ci sono stati per tanto tempo.
Vincenzo Perata e quelli del comune, il geometra Prospero e il papà “du Furmine Armandu.
U “Furmine” era lassù a lavorare per l’acquedotto.
Ma lo sai che l’acqua dove l’hanno presa nel Rian c’è un ciottolato, che si sente scorrere l’acqua e non si vede niente
Stefano delle Faje ha detto
“Si sente un fiume d’acqua sotto e non si vede niente”
Prima l’acquedotto era dove c’è la vasca du Giu du Ge che un tempo alimentava Varazze
Il Beigua
L’albergo vecchio del Beigua era strapieno, che bello il Beigua senza strada!

Quelle squadre di gente che cantava mentre salivano
Bello Pratorotondo c’era lo Stagnin, ma non aveva terreno e la legna la prendeva dove capitava.
Dalla Rochetta c’era uno che gridava contro i fascisti e lo hanno fermato “Che cosa sta dicendo?” “Vincere la guerra e vincere il nemico!”altrimenti lo avrebbero ammazzato sul posto.
Raccontavano che al Palo avevano sparato a un tedesco, era ferito
“Alua ste donne han pigiò na Lesa tutte donne l’hanno portato a Sassello”
Anche qua c’erano dei comandi come da noi a S.Peo da giescia da Guardia
Lo hanno portato loro solo donne, uomini non venite perché vi ammazzano poi magari dicono che siete voi
“L’han rubelò fin au Sciascellu”
Raccontavano che questi tedeschi ci hanno fatto festa anche dei regali, le hanno ringraziate
Loro dissero che l’avevano trovato abbandonato
Abbiamo faticato tanto da morire
Casanova
Abitavamo sopra la bottega “du Rissu” in casa di Dondo Napoleone.
Poi fummo sfollati ai Panaddi
Anche li sotto si andava a lavare in tu Rian
In Muntadò c’era il faro con tre soldati si chiamavano Bellonghi, Avansili e Barbieri, mi ricordo i cognomi
Avevano fatto una casetta in legno meravigliosa si poteva dormire e far da mangiare.
Hanno fatto i camminamenti e loro si erano fatti una casetta di legno che era stupenda e anche la casetta per i bisogni era una meraviglia.
Facevano da mangiare sul posto uno era d’Albenga, Barbieri, c’era un faro che illuminava tutto per vedere gli aerei
A Ca da Ture con Francesco e Tugnettin, “ti me lasci andò un po’ in sa ture? U gh’è na vista da Ture che ti vedesci”
Ho letto che nel 600 sul Muntado’ un lupo si è mangiato una bambina di sei anni lo avevo letto un racconto de Rissu

C’è un nicciu in Muntadò dietro a Ca da Ture c’è un niccetto che hanno portato via la Madonna.

Io e mia sorella Luigina quando eravamo piccole ci portavamo i fiori
Casanova arrivava fino dalla Madonnetta della Rocca, quello era il segnale di confine.
foto in b/n Archivio Storico Varagine
