Quellu Nicciu de S.Anna

Un racconto dove la storia vera di un ragazzino, in campagna dai nonni, si intreccia con un’altra storia di fantasia, costruita intorno all’Erbu Tedesco, veramente esistito in una contrada del nostro entroterra.

L’articolo è verosimile di cose accadute molti anni fa.

Sono tante, le Edicole Votive, sparse nel nostro entroterra, di alcune si conosce il perché, sono state edificate, proprio lì, in quel punto.

Erette per devozione o dove qualcheduno, ha ricevuto una grazia.

Ma della maggior parte di esse, se ne è persa colpevolmente la storia

Questa è il verosimile racconto du Nicciu de S.Anna, di questo luogo di devozione, tra non molto, non restera’ che un Muggiu de Prie.

Nelle calde serate estive si stava volentieri sotto quel pergolato dove appesa stava l’Uga Merella

Gli zii e il vicinato convenuti sotto quell’Atin a ridere di cose già raccontate tante volte, ma sempre piacevoli da ascoltare.

Poi alla solita ora i bambini erano messi a letto.

Gli adulti restavano ancora lì a chiaccherare, con le loro mogli ritornate sotto al pergolato, dopo aver rimboccato le coperte ai pargoli.

Ora anche loro ridevano magari di cose piccanti raccontate dallo zio buontempone e sboccato.

Penso a chissà quante, di quelle storie raccontate sotto a un pergolato o intorno ad una stufa, nelle lunghe e gelide serate invernali, sono andate perse.

Racconti, lacrime e tante risate.

Un patrimonio di vite vissute perso per sempre.

Non mi piaceva andare in campagna.

Dovevo lasciare la compagnia dei miei amici a giocare in quell’ immenso parco divertimenti, che era il nostro fiume, in una città di mare.

Mille cose più fantastiche di quelle che si potevano fare in riva al mare o in campagna.

Mi mancavano quegli amici sporchi, pieni di croste e maldestri, a piedi nudi, con cui litigavo, mi azzuffavo, ma poi amici come prima, se c’era da fare qualche scorribanda.

Lì in campagna amici non ne avevo, solo dei cugini, ma troppo piccoli, per andare in giro per campi e per boschi

E allora spesso mi ritrovavo a giocar da solo.

Ricordo i biondi campi di grano maturo che ondeggiavano al vento e quelli di granoturco dove mi nascondevo fantasticando chissà quali avventure.

Quel campo de Granun, dove vidi arrivare di corsa mia cugina quella grande con il seno già da donna, che mi scacciò da quelle pannocchie in malo modo.

Io corsi via, fermandomi sulla collina, in tempo per vedere il figlio del vicino, entrar in mezzo a quel granoturco

Chissà a che cosa stavano giocando.

Lunghi pomeriggi assolati dove far silenzio, perché gli zii e i nonni contadini, che si erano alzati all’alba, erano tutti nei fienili a far l’abbiocco post pasto.

La vita in campagna aveva i suoi ritmi e i suoi riti

Come passatempo solitario c’era l’altalena due catene legate ad un legno della tettoia.

Quante ore ho passato a dondolarmi seduto su quella tavoletta

Ma guai ad usarla in quei meriggi silenziosi ed assolati, cigolava e non conciliava con il pisolino degli adulti.

Allora con berettino e canottiera erravo per i sentieri in mezzo ai campi.

Non entrando più in quel campo di granoturco.

Ero contento quando lo zio mi portava nella piazza del paese a vendere i funghi, riuscivo anche a tirar due calci a pallone con altri ragazzotti come me nel campetto della scuola.

Lì mi passava a prendere con la vespa per riaccompagnarmi nella sua casa in campagna,dove noi eravamo ospiti.

Di solito si stava un paio di settimane in campagna, per aiutare i parenti nella fienagione e nella mietitura del grano

In cambio alloggio e vitto da consumare a pranzo e cena, tutti intorno ad una grande tavolata sotto quell’Uga Merella.

Taggen cun u Tuccu de Cuniggiu, Egua du Pussu e Vin du Nonnu.

Non ho un ricordo nitido di che cosa avevo combinato quel giorno.

Ero scappato per non buscarle di santa ragione e stavo dentro quel grande tubo che passava sotto alla strada.

Era il mio nascondiglio

Lì sopra c’era il bivio che portava al lago.

E Gasie in quel posto, facevano una bella ombra, con un po’ d’aria che mitigava la calura di quell’estate.

Una vecchia tavola e due grosse pietre, formavano una sorta di panca sotto agli alberi

Un bambino ci stava comodo dentro a quel tubo di cemento.

Tirai fuori il mio coltellino e iniziai a far la punta a un legno.

Dovevo star nascosto il tempo necessario per far passare la furia omicida di mia mamma!

Ero lì da qualche minuto quando sentii parlare

C’erano due persone sedute su quella panca e non mi avevano sentito arrivare.

Prestai orecchio cercando di capire chi fossero quelle persone.

Riconobbi la voce narrante di un parente, nominato sempre con molto rispetto da tutti.

L’altro non era del paese perché parlava in quella lingua, ostica per noi bambini negli anni 70, l’italiano

Capii che parlavano di un albero, l’Erbu Tedescu

Avevo già sentito pronunciare quel nome

Sapevo dov’era ma mai avevo chiesto il perché

E già perché era chiamato così?

Restai curioso, fermo e immobile e quello che udii fu una storia terribile, di violenza e sangue.

Mancava l’inizio di quel racconto, ma capii che sotto a quel grande noce era seppellito un uomo!

Un soldato tedesco ucciso da un sol colpo di fucile, da quel parente, tanto stimato.

Parlava solo lui, disse che alla mia età, a 12 anni, rientrando un giorno a casa aveva trovato sua mamma in lacrime, con un grande livido su una guancia e i vestiti strappati.

Quell’omone tedesco, aveva abusato di lei.

Sapeva dove suo nonno teneva quel fucile, il famoso Carcano o modello 91, una carabina in dotazione dell’esercito italiano, con cui lui ragazzo, aveva già sparato più colpi, alle lepri nel campo dietro la stalla.

Il militare tedesco era già lontano, lungo la strada, con un sacco sulla spalla dove metteva quei conigli che arraffava, ogni volta che arrivava nella casa dei nonni.

A meta’ della salita, si era fermato per pisciare, sotto a quella noce.

Quel ragazzo invece era accecato dall’odio, ma con un’ottima mira

Dove c’era l’edicola dedicata a S.Anna, lungo la strada, a quel tempo, esisteva solo una grande masso

Lui appoggiò il fucile sopra quella pietra.

Ebbe tutto il tempo di mirare bene, all’elmetto del tedesco.

Premette il grilletto e quel corpulento tedesco colpito dalla forza del proiettile, fece una mezza giravolta e si accasciò al suolo.

Arrivarono tutti, parenti e il vicinato e in meno di un’ora quel militare fu seppellito sotto quella pianta.

L’Erbu Tedescu

Non riuscii a carpir altre parole, perché i due uomini si avviarono verso l’edicola di S.Anna, troppo lontana per continuare ad ascoltare

Ritornai verso la casa degli zii, dove presi la mia quotidiana dose di botte, per quello che avevo combinato

Dopo qualche giorno io e la mia famiglia ripartimmo, per il ritorno a casa.

Quello fu l’ultimo anno di vacanza, dai miei zii in campagna.

Raccontai la storia dell’albero tedesco, ai miei amici, modificandola un po’

Aggiunsi il macabro particolare di quell’elmetto indossato dal soldato, con un foro da proiettile, usato per innaffiare le piante!

Bella la vita, quando una parola una canzone o un’oggetto, ci riporta indietro nel tempo.

Quando la verità supera la fantasia.

A scoprire vecchie cicatrici, ma anche ricordi quelli più belli.

Da adulto mi piaceva girar per i mercatini, ci andavo per curiosità, ma anche per la mia seconda passione, quella del restauro di manufatti in legno e mobili d’epoca.

Cercavo guarniture, cerniere viti chiodi o altri accessori per mobili.

Ma quel giorno….da dove era uscito fuori, quell’ elmetto tedesco, che faceva bella o brutta mostra sopra quel banchetto di cianfrusaglie?

Con un foro di proiettile?

Qual’era la sua provenienza?

L’ambulante, rispose alla domanda e parlò di quella frazione della mia città, dove andavo in vacanza da bambino.

Disse che il foro dell’elmetto lo aveva fatto un contadino con un trapano.

Non mi convinceva la cosa, comunque visto la balla che avevo raccontato agli amici, mi sentivo in obbligo verso quell’oggetto.

Acquistai non proprio ad un buon prezzo, quell’elmo tedesco con il foro.

Arrivato a casa esaminai con una lente d’ingrandimento quell’oggetto

Uno spesso strato di ruggine ricopriva quel copricapo militare, con la tipica forma crucca.

Non bisogna essere esperti balistici, per capire che quel foro era compatibile con la perforazione di una pallottola.

Poteva esser proprio quello, l’elmetto indossato dal soldato che fu seppellito sotto l’Erbu Tedescu?

A questo punto delle indagini, bisognerebbe riesumare il cadavere studiarne la traiettoria del proiettile ecc. ecc.

A ben vedere sotto quello strato di ruggine c’erano dei numeri.

Decisi per una pulizia dalla ruggine.

Erano numeri e lettere una poteva essere una data 26 7 44 ma le lettere SA?

Chissà chi l’aveva scritta, magari era una data di nascita di chi? Forse di un figlio del soldato tedesco e le lettere? Le iniziali del suo nome o quelle della persona amata?

Non so quanto tempo è passato da quei giorni in campagna

Non esiste piu quel pergolato de Uga Merella e quei racconti persi per sempre.

Restano i ricordi le foto di quei parenti, che nelle sere d’estate sentivo parlare e ridere.

Ci si perde di vista, poi nella vita, non rividi più quel parente, da tutti stimato e rispettato.

Nella mia ricerca storica sulle Edicole Votive mi dissero che fu proprio quel parente , che costruì l’edicola votiva simbolo di fede e di scampato pericolo.

Ma il perché, come tanti altri è andato perso per sempre.

Quante cose oggi da chiedere a chi non c’è più

E di quella noce recisa molti anni fa non resta che un ceppo annerito e marcio

Quell’elmetto che era nuovamente ricoperto di ruggine lo avevo regalato non ricordo a chi

Quei numeri incisi li avevo scritti su un biglietto, ma poi perso in mezzo a qualche libro.

Capita poi, quando i capelli imbiancano e gli anni passati sono tanti, forse non per caso, di ritornare nei luoghi che ci hanno visto bambini, a correre dietro alle nostre fantasie

E così con la moto, in un mattino d’estate sono ritornato in quella campagna.

Gli alberi al bivio facevano ancora ombra sopra quel ponte, dove ascoltai quella conversazione.

L’Erbu Tedesco non c’era più

E quell’edicola di S.Anna, ridotta a un cumulo di pietre.

Durante il ritorno, pensai molto, distraendomi anche dalla guida della moto.

Ma come avevo fatto a non pensarci!

Il 26 luglio è Sant’Anna!

Quel giorno nel 1944, lì dove fu eretta l’edicola votiva, fu esploso un singolo colpo che colpi’ a morte quel soldato tedesco

Ecco perché alla mamma di Maria fu dedicata quell’edicola!

Fu un ‘ex voto, perché la Santa tenne fermo quel fucile puntato, verso quel soldato tedesco che aveva abusato di sua madre.

Ma sopratutto, S.Anna aveva preservato nascosto per tanto tempo, quel terribile segreto, dalle rappresaglie dei tedeschi, capaci di cose tremende per vendicare un loro commilitone.

Ritornai ancora un’altra volta a parlare con una persona del posto.

Sapeva dell’albero tedesco ma non quello che gli raccontai.

– Ora ho capito …e mi disse di aspettare, dopo poco ritornò con un fucile inservibile, irreparabilmente corroso che io riconobbi come i resti

di un Carcano mod 91

– Ho trovato il fucile e un elmetto tedesco con un buco, nascosti sotto alla pietra dell’edicola.

Pubblicai questa ritrovata storia, su un giornalino di quella frazione della mia città.

Uomini e donne di buona volontà ricostruirono su quel masso, il Niccio dedicato a S.Anna

Francesco Baggetti

Il racconto non è relativo di nessuna Edicola Votiva della nostra città.

La foto è quella du Nicciu du Giancu in località Muggine

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